Dizionario militare Francese Italiano/Prefazione

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Prefazione

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Dedica Bibliografia militare italiana

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L
’italia la quale avanzò tutte quante le altre nazioni in ogni maniera di scienze, lettere ed arti, ebbe non pure a durare l’infortunio di vedersi negare da tali cui fu maestra, il debito tributo di gratitudine ed onoranza, ma udir parlare da labbri italiani parole d’ingrato suono forestiero, poi che i suoi figliuoli si ebbero dimenticato fin d’ogni gloria antica. Ed anzi fu tra noi lisciato il mal vezzo di abbracciare insozzati vocaboli si nelle Armerie, quali sono quelli di furgone, forgia, attelaggio, stiletta, bulone, punteria, frottante ed assai altri, sì nelle Fonderie dove si usano barena, massalotto, perciare, mortai a placca ed altrettali, sì nelle Ferriere o Magone, nelle Fabbriche Montature e Sale d’armi; e da ultimo nella Marineria e fra le soldatesche, siccome mattare e smattare, babordo e tribordo, rotta, organizzazione, pompiere, sciabracca, contabilità, borderò, bivacco, pompò, giberna, bricchè, e via dicendo. E troppo io trarrei per le lunghe se avvisassi di cennare solamente le tante strane voci poste da noi in luogo delle pure nostre e sonore, e le quali spesso spesso ni una cosa non dicono di ciò che dovrebbero andar significando. Chè se novelle cose si fosse costretti nominare, di vero sarebbe forza allora far tesoro di nuovi modi: non così ove abbiansi a discorrer materie notissime sin da allora che l’incivilimento italiano andava innanzi per alquanti secoli alla civiltà straniera. Non è dunque nauseosa ed increscevole l’abbiettezza di accattare espressioni ed attitudini dalle lingue di Oltralpe? A centinaia si varavano navi da traffico e da guerra negli arsenali di Venezia Amalfi Genova Pisa, le opere forti alzavano già superbamente i loro merli sulle terre italiane, i lavori delle orificerie della pirotecnia e della getteria qui procedevano oltre assai, le armi erano con sapere e valentia ordinate e maneggiate in Italia, allora quando per le altre nazioni d’Europa spuntava appena l’alba della umanità loro. Gran numero d’italiani, della scuola di Alberigo da Balbiano, illustraronsi nelle armi. Un Guglielmo da Genova dirige l’assedio di Gerusalemme alla prima Crociata, ed un Pazzi da Firenze ne scala [p. 8 modifica]

valorosamente le mura. Un italiano, il Sammicheli, inventava i bastioni per cingerne la sua patria Verona, e forse prima di lui un napolitano avevane già afforzate le mura di Otranto contro le offese barbaresche, comechè più innanzi, cioè nel 1464, vuolsi in piedi il Garitone de’ fiori, in Torino. Luigi di Capua famoso capitano dell’ infelice Federico d’Aragona apre il campo alla guerra sotterranea delle mine; ed anche l’intelletto di Martinengo incarna il disegno delle contrammine nell’assedio di Rodi. Barocci italiano tra le file dell’italiano Alessandro Farnese immagina le batterie galleggianti per espugnare Anversa a pro del secondo Filippo; ma un altro ingegno d’Italia Federico Giambelli mantovano, il quale stava fra gli assediati, inventa le barche incendiarie dette francescamente brulotti; sicché lo Schiller toglie meritamente a chiamarlo l’Archimede d’Anversa. Gli sparì a rimbalzo, ond’è venuta manco ogni più ostinala difesa, furono opera del veneziano Moretti: le tanaglie per coprirla cortina hanno la prima immagine nel barbacannone dell’italiano Tensini, e la scienza del diffilamento o sottraimento era stata divinata nel capitolo de’ siti dal romano Pietro Sardi; pure vi corsero due secoli insino a che gli Oltramontani non ne avessero trattato. Francesco Laparelli da Cortona, Baldassarre Lanza, e Bartolomeo Genga urbinate già fortificato aveano La Valletta, e Polito di Clemente le adiacenze di Recanati. Per opera del Buonarroti s’innalzano i baluardi di Firenze, San Miniato, ed il borgo di Roma. Sapientemente afforzano, Pellegrino Tibaldi Ravenna, Giambattista Rainaldi Ferrara, Bernardo Buon talenti Civitella del Tronto Porto ferraio Livorno Pistoia Prato e il Belvedere di Firenze. Sono pregevoli lavori di Giovanni Aleotti la cittadella di Ferrara, di Mario e Germanico Savorgnano molte fortificazioni del Veneziano, di Girolamo Cataneo i merli di Sabionetta, di Bonaiuto Lorini Zara ed il castello di Brescia. Debbonsi a Gabriello Busca le muraglie di Suza Demonte e Momigliano, a Francesco Maurolico la cinta di Messina, a Giovanni Rinaldini quelle dell’isola del Gozzo, di Reggio, di Cotrone e di Lipari, a Vincenzo Scamozzi Palmanuova, a Giorgio Capobianco il Castello di Milano. Pier Francesco da Viterbo, Sammicheli e Sangallo rendon forti Parma, Piacenza, Ancona, Castro, Nepi, Ascoli e Perugia, il Paciotto le cittadelle di Torino e di Anversa, Giovanbattista Belici Boulogne in Piccardia, Giacomo Castriotto la città di Calesse, molti luoghi della Linguadocca della Provenza del Lionese della Sciampagna della Normandia e di altri punti sulla frontiera. Seguitano in Francia la Catterina de’ Medici nel 1534 il cavaliere Relogio i due Marini Campi Bellarmata Befani e parecchi altri ingegneri italiani; e vediam sorgere colà altre opere forti, fra le quali Brovage, Perpignano, San Desiderio e Metz. Ma v’ ha più ancora: a munire Sedan ecco il Pasino ferrarese; Vincenzo Casali risarcisce ed immeglia alquante fortezze del Portogallo, Francesco Giuramella ricinge Custrin e Spandau, Pietro Floriani da Macerata e Giovanni Pieroni da Firenze muniscono Vienna. Queste e mille altre cose operaron tra noi ed altrove valorosi italiani; sicché lo stesso Allent il quale discorre le condizioni dell’arme del Genio francese sotto l’impero scrive queste parole «l’Italia forniva gl’ingegneri al resto di Europa». E mentre qui si andavano illustrando la filosofia e le ingenue discipline, non lasciaronsi neglette le opere militari. Infatti nel 1521 pubblicava il Machiavelli l’Arte della Guerra, e volgendo lo stesso anno apparisce il primo trattato di fortificazione di Giambattista de la Valle della nostra Venafro; nè indugia gran fatto la pubblicazione delli quisiti et invenzioni diverse di Niccola Tartaglia, al quale si dee il primo pensiero del cammino curvilineo de’ proietti, [p. 9 modifica] nè la balistica sarebbesi alzata ad esatta scienza senza la mente stupenda del Toscano Galilei che può dirsi il legislatore del moto di proiezione, ed al quale si dee eziandio un trattato di fortificazione. E dopo che Tartaglia correva per tre secoli innanzi alla invenzione dell’uffiziale francese Choumara di tirare addietro i parapetti, e Marchi insegnava tutti gli espedienti dell’arte fortificatrice, le contragguardie, gli aloni, le mezze lune, i rivellini, le frecce, i ridotti, le berrette da prete, le opere a corno ed a corona, i giuochi delle inondazioni, i principii della fortificazione perpendicolare; dopo che ebbero il Lanteri da Paratico innalzato a scienza ma tematica l’arte del fortificamento, il Theti da Nola tagliati a denti i fianchi e distaccati i bastioni, il Floriani Pompeo costrutta la barca da ponti scomponibile in tre parti, il Montecuccoli dettato sì grandi aforismi per l’assedio e la difesa, dopo tutto questo direm noi che non avendo opere non possiamo aver lingua? Ventinove scrittori italiani conta la militare architettura nel secolo XV, quando sullo spirare del XVI apparve in Francia il primo trattato di fortificazione di Errard ingegnere di Errico IV. Arrovelliamo dunque d’italiano rossore nel vedere chi ancora voglia esser tenero della lingua militare francese, adoperando nelle scritture e nei parlari un bastardume di voci. Purghiamo l’azzurro del nostro Cielo dai miasmi del gallicismo; chè oramai non ha d’uopo la militare favella italiana di altra veste che non sia la sua, candida quanto le nevi delle sue Alpi.

Ad ammendare sì grave fallo surse primo in Italia il Grassi, il quale era segretario dell’Accademia di Torino, e metteva a stampa nel 1816 la prima edizione del Dizionario militare italiano. Pure non soldato egli, nè tra quelli che vivon vita operosa in mezzo ad artefici fabbriche e ministeri militari, ebbe a cadere in qualche errore, dottamente notato dal chiarissimo maresciallo dell’esercito nostro Desauget, già troppo noto e caro a tutti coloro i quali abbiano in pregio dottrina erudizione e cortesia. La morte intanto del celebrato Torinese, autore del dettato su’sinonimi, sventuratamente avvenuta nel 1831, già ridotto com’era a valersi dell’opera di amanuensi per la vista perduta, fece sì che affidati i nuovi manoscritti del suo vocabolario agli accademici cavalieri Salluzzo Carena Omodei ed abate Gazzera, costoro dopo lungo considerare con troppa gelosia di amichevoli officii si determinarono di farli pubblici tali quali il dotto autore aveali lasciati, non quali li avrebb’egli ridotti. È però necessario di apporvi e giunte ed osservazioni, perchè vie meglio vada raccomandato l’uso di un libro, che dovrebb’essere come presidio di colui il quale nello scrivere di cose di guerra cerca lode di purgato scrittore.

In fatto poi di cose pertinenti all’artiglieria è povero anzi che no il Dizionario del Grassi, ed il Maggiore dell’arme nel Ducato di Parma barone Giuseppe Ferrari vi avea volto il pensiero, e due egregi uffiziali delle artiglierie piemontesi uno ne posero a stampa nel 1835 tutto particolare alle milizie scienziate. Ultimamente intorno alle cose marinaresche v’è a consultare il Pantera, comunque difettosissimo, ed il più recente Stratico, tuttochè senta del veneziano dialetto. Delle quali opere ho fatto io tesoro e di libri italiani eziandio, de’quali darò in principio una breve bibliografia, perchè chi voglia, possa più ampiamente consultarli. Nè mi sono tenuto a’ pochissimi che van considerati siccome classici; perocché mi ebbi una legge nella sentenza del chiarissimo Pietro Giordani, principe degl’italiani prosatori. «I vocaboli sono arbitrario segno delle cose; e ogni cosa dee avere il segno proprio; altrimenti non sarà enunciata, e l’idea di lei non potrà passare dall’uno nell’altro cervello. Questi segni, questi vocaboli bisogna prenderli come sono [p. 10 modifica] e dove si trovano. Non li pigliate voi dalle nazioni lontane anche barbare, quando vi danno la cosa, prima ignota? E se li pigliate dalla Giua o dalla America, perchè no da uno scrittorucciò anche rozzo o di Bergamo o di Messina, o di jeri o di quattrocento anni fa?»

Ho io creduto intanto che meglio soddisfacesse ai bisogni degli uffiziali l’avere un dizionario francese-italiano, perocché la maggior parte dei libri militari d’oggidi sono in cotal favella dettati o tradotti, e più facilmente si possono in tal guisa vedere i francesismi troppo facilmente adoperati. E per non rendere molto grande il volume nè ho aggiunto esempio, almeno in questa prima edizione, nè date certe definizioni troppo note, siccome di àncora bussola cannone ferro leva sella timone e vattene là.