Don Chisciotte della Mancia Vol. 2/Capitolo LX

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Capitolo LX

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CAPITOLO LX.


Di quello che avvenne a don Chisciotte andando a Barcellona.


LL
a mattina era fresca e dava indizio che tale sarebbe anche il giorno in cui don Chisciotte partì dall’osteria, informandosi prima quale fosse il più diritto cammino per condursi a Barcellona senza toccar Saragozza: sì grande era la sua brama di far restare mentitore quel novello istorico, il quale dicevasi che tanto lo vituperava. Ora è da sapere che per più di sei giorni non incontrò ventura degna di essere ricordata; dopo i quali, andando fuori di strada, lo sorprese la notte tra folte querce e sughereti: ma già nel determinare queste cose non osserva come nelle altre Cide Hamete l’usata puntualità. Smontarono padrone e servitore, e sdraiati sui tronchi degli alberi, Sancio, che aveva bene merendato in quel giorno, si abbandonò subito al sonno. Don Chisciotte cui tenevano desto più assai le sue fantasie che la fame, non poteva chiudere gli occhi, ed andava in vece e tornava col pensiero per infiniti e diversi luoghi. Ora sembravagli di essere nella grotta di Montèsino; ora di veder saltare e montare sopra la sua asina [p. 534 modifica]la trasformata Dulcinea; ora che gli stessero cantando agli orecchi le parole del savio Merlino, che dichiarava le condizioni ed i patti da eseguirsi per lo disincanto di lei. Disperavasi in considerare la lentezza e poca carità di Sancio suo scudiere, mentre, per quanto sapeva, egli erasi date sole cinque frustate, numero disuguale e minimo a fronte delle infinite che rimanevano. Derivò da tutto questo sì eccessiva tristezza e tant’ira, che tenne tra sè questo ragionamento: — Se il nodo gordiano fu tagliato dal grande Alessandro col dire: Tanto è tagliare come sciogliere; ed egli non lasciò per questo di essere dominatore dell’Asia intera; nè più, nè meno potrebbe avvenire adesso riguardo al disincanto di Dulcinea se io dessi le frustate a Sancio, io medesimo a suo dispetto. Se la condizione del rimedio consiste nel doversi ricevere da Sancio le tremila e tante frustate, che importa che se le dia da per sè o che le riceva da un altro, quando la sostanza del fatto è ch’egli le riceva, vengano di dove si voglia?„ Pieno di siffatta immaginazione, si accostò a Sancio, avendo prima prese le redini di Ronzinante ed avendole accomodate a modo da potergli con esse dare le scudisciate. Cominciò a sciogliergli le stringhe delle brache: ed è opinione che non avessero se non quella davanti che le reggesse. Ma non gli si accostò appena, che Sancio si svegliò con tutto il suo giudizio, e disse: — Chi è che mi tocca, e che mi scioglie le stringhe? — Sono io, rispose don Chisciotte, che vengo a supplire alle tue mancanze e ad alleviare i miei tanti travagli: vengo a frustarti, o Sancio, scaricandoti in parte del debito a cui ti obbligasti. Dulcinea perisce, tu vivi trascuratamente, ed io mi muoio desiderando; ora sciogli le brache di tua volontà: chè la mia è inalterabile, e consiste nel consegnarti in questa solitudine duemila frustate per lo manco. — Oh questo no, disse Sancio, non lo faccia vossignoria, o viva Dio che mi sentiranno i sordi. Le frustate me le ho da affibbiare io volontariamente; non vagliono niente date per forza da altri, e adesso non ho volontà di frustarmi: basti alla signoria vostra la parola che ho dato di cacciarmi le mosche di dosso allorquando me ne verrà desiderio. — Non posso rimettere ciò alla tua cortesia, disse don Chisciotte, giacchè tu sei di cuore inflessibile, e tuttochè villano, di carni dilicate:„ e frattanto procurava e faceva ogni studio per isciogliere le stringhe alle brache. Sancio, vedendo questo, rizzatosi presto ed assalendo il suo padrone, si abbracciò con lui a corpo a corpo, e facendogli un gambetto lo gittò in terra colla bocca all’insù, gli mise il ginocchio diritto sopra il petto, e colle mani gli teneva le mani, dimodochè non lo lasciava voltarsi nè fiatare. Don [p. 535 modifica]Chisciotte gli andava dicendo: — Come, traditore! è possibile che tu giunga a tanto contro al tuo padrone e signore naturale? che tu metta le mani addosso a chi ti alimenta col suo pane? — Io non levo re, nè metto re, Sancio rispose, ma soccorro me stesso che sono il naturale mio signore: mi prometta vossignoria che desisterà dalla sua risoluzione, nè mi frusterà in alcun tempo, ed io la lascerò libero e sciolto: e quando che no, tu morrai qua, traditore nimico di donna Sancia.„

Don Chisciotte promise ogni cosa, e giurò per la vita de’ suoi pensieri di non toccargli più nemmanco un pelo del vestito e di lasciare in piena e libera sua volontà ed arbitrio il frustarsi quando gli piacesse. Sancio si alzò allora, si allontanò buon tratto ed andò ad appoggiarsi ad un albero: ma ecco ch’egli sente toccarsi la testa: ond’è che alzando le mani gli vengono presi due piedi di [p. 536 modifica]persona che aveva scarpe e calze. Tremò di paura, si accostò ad altro albero, e gli avvenne lo stesso. Chiamò allora forte don Chisciotte, gridando: — Aiuto!„ Accorse il padrone, e chiese che cosa mai fosse successo, e da che procedesse sì grande paura. Rispose Sancio che quegli alberi erano pieni di gambe e di piedi umani. Don Chisciotte tastò, si accorse subito di quello che poteva essere, e disse a Sancio: — Non è cosa da aver paura: i piedi e le gambe che tu tocchi e non vedi, sono di fuorusciti e assassini; chè quando la giustizia li ha nelle mani, li fa appendere qua a venti, a trenta per volta: ed ora congetturo da questo che noi siamo già arrivati presso a Barcellona;„ e così era per l’appunto. La notte passò frattanto, e all’apparire del giorno videro quei grappoli sugli alberi, e si confermarono sempre meglio ch’erano corpi di malfattori. Avanzava il giorno, e se i morti avevano dato occasione di spavento, vennero i vivi ad accrescerlo; perchè don Chisciotte e Sancio si trovarono contornati da quaranta banditi che all’improvviso li assalirono, e dissero in catalano che non si movessero un passo solo sino a tanto che non arrivasse il loro capo. Trovavasi allora don Chisciotte col cavallo senza briglia e colla lancia appoggiata ad un albero, in somma senza alcuna difesa; ond’è che giudicò savio partito d’incrocicchiare le mani e di abbassare la testa, riserbandosi a tempi e congiunture migliori. I [p. 537 modifica]banditi andarono subito a svegliare il leardo, spogliandolo di tutto ciò che portava nelle bisacce e nel valigiotto; e fu buona ventura di Sancio che teneva a cintola gli scudi del duca, ed anche quelli che aveva recati dal suo paese. Non l’avrebbe con tutto questo passata netta, e sarebbe stato frugato sino tra pelle e carne, se per migliore sua fortuna non fosse sopraggiunto il capo dei banditi, uomo di oltre trent’anni, robusto, di guardatura grave e di color bruno. Avanzavasi sopra poderoso cavallo, con fino giacco indosso e con ai lati quattro pistoletti, che in quel paese si chiamano pedregnali. Vide che gli scudieri (chè così sogliono chiamare i loro compagni) si affaccendavano a spogliare Sancio Panza, e tosto comandò che desistessero. Fu ubbidito, e il valigiotto restò illeso. Gittò poi gli occhi ad un albero vicino, e vi osservò con maraviglia appoggiata una lancia e vide uno scudo in terra; indi guatò don Chisciotte tutto pensieroso, e ch’era la più mesta e malinconiosa figura che potesse mai formare la stessa malinconia. Gli si accostò, e disse: — Non istate di tanta malavoglia, galantuomo, chè non siete già caduto nelle mani di qualche crudele Osiride, ma in quelle di Rocco Ghinart, il quale seconda più gl’impulsi della compassione che quei del rigore. — Non procede la tristezza mia, disse don Chisciotte, dall’essere caduto in tuo potere, valoroso Rocco, la cui celebrità non conosce limiti, ma n’è cagione l’essermi per soverchia trascuratezza lasciato cogliere da’ tuoi soldati senza lancia, quando io era obbligato, conformemente alle leggi della cavalleria errante che professo, a vivere continuamente in veglia, per essere a tutte le ore la sentinella di me medesimo: perchè voglio che tu sappia, o gran Rocco, che se trovato mi avessero sul mio cavallo con la lancia e collo scudo imbracciato, non ti sarebbe riuscito sì agevole di fare che mi arrendessi: e basti il dirti ch’io sono don Chisciotte della Mancia, quegli che tutto l’orbe ha riempiuto di sue segnalate prodezze.„ Rocco Ghinart conobbe subito che l’infermità di don Chisciotte sapeva più di pazzia che di altro. Quantunque avesse udito mentovare più volte il suo nome, contuttociò non mai tenne per vere le sue bravure, nè si persuase mai che in corpo d’uomo allignasse cotal umore; di maniera che si compiacque all’estremo di essersi avvenuto in lui per conoscere da vicino ciò che di lontano erasi divulgato. Gli disse dunque: — Valoroso cavaliere, non vi sdegnate, nè ascrivete a nemica sorte la presente condizione vostra, perchè potrebbe darsi che la vostra torta fortuna in questi inciampi si raddrizzasse, mentre il cielo per istrani e non più visti rigiri non dagli uomini immaginati, suole sollevare i caduti e arricchire i miseri.„ [p. 538 modifica]

Di già accingevasi don Chisciotte a rendergli grazie, quando intesero alle spalle rumore come di molti cavalli; ma era uno solo, [p. 539 modifica]sul quale veniva a briglia sciolta un giovine di bell’aspetto, d’intorno ai vent’anni, vestito di damasco verde, con passamani d’oro, con calzoni e saltambarco, con cappello rimboccato alla vallona, con un paio di stivali incerati e con isproni, pugnale e spada indorata. — Io veniva, egli disse, in traccia di te, valoroso Rocco, per trovare nel tuo aiuto, se non rimedio, almeno conforto alla mia sventura: e per non tenerti dubbioso, scorgendo che non mi hai conosciuta, ti dirò ch’io sono Claudia Geronima, figlia di Simone Forte, tuo singolare amico, e nemico particolare di Clauehel Torreglia, altro nemico tuo, e della fazione a te contraria: ti è già noto che questo Torreglia ha un figliuolo, il cui nome è don Vincenzo Torreglia, o almanco così si chiamava due ore fa: ora ti dirò alle corte la mia disgrazia, e tu ascoltami. Egli mi vide, mi parlò di amore, io lo ascoltai, e mi accesi di lui senza saputa de’ miei genitori, chè già non vi è donna sì ritirata e circospetta cui manchino occasioni di mettere in esecuzione i suoi precipitosi voleri. Vincenzo promise di esser mio sposo, io di esser sua, nè si passò innanzi. Seppi ieri che scordatosi di quella fede che mi aveva giurata, si ammogliava con altra donzella, e che la nuova sposa doveva questa mattina ricevere l’anello. Tutti i miei sensi si sono sconvolti, la sofferenza mi abbandonò, ed essendo mio padre lontano da casa, vestii questo mentito abito, diedi degli sproni a questo cavallo, raggiunsi don Vincenzo mezza lega di qua lontano, e senza perdermi in fare lamenti o in udire discolpe, gli sparai contro questo archibuso e queste due pistole ancora, sicchè mi avviso di avergli piantate in corpo più di due palle, aprendogli così più di una porta per dove potesse uscire il mio onore rinvolto nel suo sangue. L’ho lasciato in balia de’ suoi servi, che non ardirono fare le sue difese, ed ora vengo a te perchè mi faccia scortare in Francia, dove ho parenti che avranno cura di me, e perchè tu difenda ad un tempo stesso mio padre per sottrarlo alle crudeli vendette degli amici di don Vincenzo.„ Restò Rocco maravigliato della gagliardia, del coraggio, del successo della bella Claudia, e le disse: — Seguimi tosto, e andiamo a riconoscere se il tuo nimico sia morto, e di poi eseguiremo quello che sarà più opportuno.„

Don Chisciotte, che aveva attentamente ascoltate le parole di Claudia e la risposta di Rocco Ghinart, disse: — Non occorre che alcuno si prenda pensiero di accingersi alla difesa di questa signora, mentre tolgo io questa protezione a mio carico: dienmi il mio cavallo e le mie armi, e qua mi aspettino, chè andrò io stesso in traccia di questo cavaliere, e o morto o vivo farò che adempia [p. 540 modifica]la parola che diede a tanta bellezza. — Nessuno ne dubiti, disse Sancio, perchè il mio padrone ci ha buona mano in materia di far parentadi, e non sono molti giorni ch’egli obbligò un altro a maritarsi che non voleva mantenere la parola data ad una ragazza: e se non fosse stato che i perfidi incantatori, i quali lo perseguitano, gli cambiarono la vera figura in quella di uno staffiere, adesso non si discorrerebbe più della integrità della giovane.„ Rocco, che attendeva più all’avvenimento della bella Claudia che alle dicerie del padrone e del servo, senza dare loro retta prescrisse ai suoi scudieri che restituissero a Sancio tutto quello che tolto gli avevano dal leardo, e comandò loro egualmente che dovessero ritirarsi nel luogo dove avevano alloggiato la notte precedente, e senz’altro dire partì frettolosamente con Claudia a cercare del ferito o morto don Vincenzo. Giunsero al sito da essa indicato, ma non vi trovarono che sangue sparso di fresco sopra il terreno. Distendendo la vista per ogni banda, scoprirono in lontananza alcune persone, e sospettarono, com’era in fatto, ch’ivi dovesse essere don Vincenzo o vivo o morto, trasportato dai servi per medicarlo o per dargli sepoltura. Si affrettarono a raggiungerli; il che loro riuscì ben facile, perchè gli altri procedevano con lentezza. Stava l’infelice tra le braccia de’ suoi domestici, i quali egli pregava con istanca e fiacca voce a lasciarlo ivi morire, chè non poteva passar oltre per lo spasimo delle ferite. Si slanciarono da cavallo Claudia e Rocco, e si appressarono a lui. I domestici spaventaronsi della presenza di Rocco, e Claudia turbossi tutta in vedere quella di don Vincenzo. Intenerita e sdegnosa ad un tempo, gli si avvicinò, gli prese le mani e gli disse: — Se tu mi avessi date queste mani conformemente ai nostri patti, non saresti adesso a sì terribile frangente.„ Il ferito cavaliere aprì gli occhi socchiusi, riconobbe Claudia, e rispose: — Conosco bene, donna ingannata, che tu sei quella che mi ha ucciso, dando pena indegna e non dovuta a quella fede a cui non ho mancato, non avendoti giammai recato offesa. — Come? non è dunque vero, disse Claudia, che tu andavi in questo giorno a farti sposo alla ricca Leonora, figlia di Balbastro? — No certo, rispose don Vincenzo, ma l’avversa mia sorte ti portò queste false nuove, perchè nell’eccesso di tua gelosia tu avessi a privarmi della vita, della vita che tengo ancora per venturosa se termina nelle tue mani e fra le tue braccia. E credimi, o Claudia, e in pegno di mia fede porgimi le tue mani e accettami se vuoi per tuo sposo, chè non ho ora più altri mezzi per dimostrarti la mia costanza.„ Gli strinse Claudia la mano, e se le serrò allora il cuore in maniera che [p. 541 modifica]svenata cadde sul petto esangue di Vincenzo; il quale fu sul punto stesso assalito da mortale parossismo. Stava Rocco confuso, e non sapeva a che partito appigliarsi. I domestici spruzzavano d’acqua il volto di Claudia; essa si riebbe dal perdimento dei sensi, ma non fu così di Vincenzo, che passò dal parossismo alla morte.

Vedendo Claudia ch’era troncato il filo della vita del suo amato sposo, ruppe l’aria co’ suoi gemiti, ferì i cieli colle sue strida, si strappò e sparse al vento i capelli, si graffiò il viso e lasciò libero campo al dolore e alla disperazione. — Ahi! me crudele e sconsiderata, diceva, con quanta facilità mi lasciai trasportare a sì reo divisamento! ah arrabbiata forza di gelosia, a che sciagurato fine strascini chi ti dà ricetto in suo cuore! ah sposo mio, quando stavi per essere la mia gioia, fatalmente passasti dal talamo al sepolcro!„ [p. 542 modifica]Tali e tanto dolenti erano le querele di Claudia che strapparono lagrime dagli occhi di Rocco, non accostumato a mandarne fuori in alcuna occasione. Piagnevano i domestici, Claudia ad ogni tratto ricadeva, e tutta quella campagna era divenuta l’asilo della tristezza e l’albergo della sventura. Finalmente Rocco ordinò ai servi di Vincenzo che portassero l’estinto al paese del suo genitore, ch’era poco discosto, e che ivi gli dessero sepoltura. Disse Claudia a Rocco che volata sarebbe a rinserrarsi in un monastero dov’era badessa una sua zia, e dove aveva bisogno di terminare gl’infelici suoi giorni procurando di rendersi non indegna di uno sposo migliore ed eterno. Lodò Rocco questo proposito, si offerse di accompagnarla dove volesse e di difenderla dal genitore di Vincenzo, dai parenti e da chiunque fosse per recarle offesa; ma Claudia non lo volle a suo compagno, e ringraziandolo il meglio che potè, in mezzo ad un mare di pianto si licenziò e partì. I servi di Vincenzo trasportarono via il cadavere, Rocco ritornò ai suoi fidi, e così ebbe fine l’innamoramento di Claudia Geronima: nè molto è da stupirne, essendo state le rigorose e invincibili forze della gelosia quelle che condussero la trama di questa compassionevole istoria.

Ritornato Rocco Ghinart nel luogo di prima, trovò i suoi scudieri e don Chisciotte con essi, il quale salito già sul suo Ronzinante, stava eccitandoli ad abbandonare un tenore di vita pericoloso e all’anima e alle persone: ma essendo la più parte gente guascona, zotica e sregolata, non persuadevasi molto dei suoi sermoni. Rocco dimandò a Sancio se gli fossero state restituite le masserizie e le gioie che i suoi avevano derubate dal leardo. Rispose che sì, eccettuate tre cuffie che valevano tre città. — Che dici tu, galantuomo? soggiunse uno di quegli scudieri: io le ho qua, e non valgono tre reali. — E così è, disse don Chisciotte: ma il mio scudiere le tiene in sì alto pregio per considerazione della persona onde vengono.„ Comandò Rocco sul fatto che fossero a Sancio restituite, e ordinò che i suoi si mettessero tutti in ala, prescrivendo che fossero ivi recati dinanzi a lui i vestiti, le gioie, i danari e tutto quello che dopo l’ultimo assalto avevano rubato. Ne fece brevemente lo scandaglio, restituendo ciò che non si poteva dividere, e riducendo ogni cosa a danari, la scompartì fra i compagni suoi con tanta prudenza ed equità, che non mancò di un puntino, nè defraudò la giustizia distributiva. Fatto questo, con che restò contento ciascuno e soddisfatto e pagato, disse Rocco a don Chisciotte: — Se non si usasse con questa gente sì scrupolosa esattezza, non potrebbesi vivere con esso [p. 543 modifica]loro.„ Sancio soggiunse: — Secondo quello che ho visto adesso si trova tanto buona la giustizia, ch’è necessario che si usi anche tra gli stessi ladroni.„ Uno scudiere lo intese, e gli appuntò un archibuso, con cui lo avrebbe senza dubbio spacciato, se Rocco Ghinart non gli avesse gridato che si fermasse. S’impaurì Sancio, e seco stesso propose di non muovere più bocca in tutto il tempo che fosse restato ancora tra quella canaglia.

Sopraggiunsero in questo alcuni di quegli scudieri ch’erano collocati come sentinelle ai varii posti delle strade a spiare la gente che per esse passava, e dare avviso al loro capo di quanto occorrere potesse; ed uno di costoro disse: — Signore, non lungi di qua e per la strada che va a Barcellona, si avanza una gran truppa.„ Cui Rocco rispose: — Hai tu visto bene se sia di gente che ci venga a cercare, o di quella che cerchiamo noi? — È di quella che noi cerchiamo, ripigliò lo scudiere. — Ebbene, uscite tutti, replicò Rocco, e menatemi qua subito costoro e senzachè pur uno vi scappi.„ Ubbidirono, e rimasti soli don Chisciotte, Sancio e Rocco, stavano a vedere che cosa gli scudieri conducessero: frattanto disse Rocco a don Chisciotte: — Nuovo modo di vivere dee certo sembrare questo nostro al signor don Chisciotte, nuove le [p. 544 modifica]avventure, nuovi i successi, e perigliosi tutti: nè mi fo maraviglia se così gli apparirà; perchè ad onore del vero io confesserò che non avvi tenore di vita più inquieto, nè più pauroso del nostro. Mi vi strascinò non so qual desiderio di vendetta, che ha la possa di sconvolgere ogni più riposato cuore; ma io sono di mia natura compassionevole e proclive al ben fare; nè fu, come ho detto, se non la voglia di lavare la macchia di un torto sofferto che mi rimosse dalle mie buone inclinazioni, e che mi fa ora perseverare nel presente stato in onta e in contrapposizione della mia volontà. E siccome un abisso chiama l’altro, e una un’altra colpa, così le vendette si vennero talmente concatenando, che non solo le mie, ma prendo anche le altrui sopra di me. Pure Iddio mi concede, quantunque io viva in messo al labirinto delle mie contraddizioni, di non fermi perdere la speranza di uscirne fuori per afferrare un porto di sicurezza.„ Restò edificato don Chisciotte nell’udire da Rocco sì lodevoli e sensati concetti: e tanto più che davasi egli a credere che in mezzo al mestiere di rubare, di uccidere, di assassinare non vi potesse esser uomo che ragionasse con buoni principii. Soggiunse dunque: — Signor Rocco, il fondamento della salute consiste nel conoscere l’indole della malattia e nel cercare che l’infermo prenda le medicine ordinate dal medico. L’infermo siete voi, voi conoscete il vostro male, e il cielo, o Iddio, a meglio dire, ch’è il nostro medico, vi applicherà medicine atte a guarirvi; le quali sogliono risanare a poco a poco, e non repentinamente e per miracolo: e molto più che i falli dei peccatori di talento sono più presso all’emenda di quelli degli sciocchi. Poichè mi avete nei vostri discorsi data a conoscere molta prudenza, non altro occorre se non che vi facciate animo e speriate il miglioramento delle infermità della vostra coscienza; e se voleste abbreviare il cammino e mettervi con facilità su quello della salute, venite meco, ed io vi insegnerò ad essere cavaliere errante, nel cui esercizio tanti travagli si soffrono e tante sventure, che tolte come penitenza dei nostri peccati, in due salti vi porteranno al cielo.„

Rise Rocco del consiglio di don Chisciotte, cui (cambiando discorso) diè conto del tragico avvenimento di Claudia Geronima, di che n’ebbe gran dolore Sancio, al quale erano andate a sangue la bellezza, il brio e la disinvoltura della giovane. Tonarono in questo gli scudieri dalla presa fatta, e condussero con loro due cavalieri a cavallo, due pellegrini a piedi e un cocchio con varie donne, le quali erano seguite da sei servitori, parte a piedi e parte a cavallo, con altri due vetturini che menavano i cavalieri. Tutti stavano attorniati dagli scudieri, conservando e vincitori e vinti [p. 545 modifica]gran silenzio, e in attenzione di ciò che il gran Rocco Ghinart fosse per dire. Dimandò egli ai cavalieri chi fossero, ov’erano diretti, e che danari seco recassero. Rispose uno di loro: — Signore, noi siamo due capitani d’infanteria spagnuola, abbiamo in Napoli le nostre compagnie, e ci rechiamo ad imbarcarci su quattro galee, che dicono starsene in Barcellona pronte alla vela con ordine di passare in Sicilia: siamo possessori di dugento o trecento scudi, coi quali andiamo, secondochè ci pare, ricchi e contenti, perchè le ristrettezze inseparabili d’ordinario dai soldati non permettono loro di possedere tesori.„ Fece Rocco ai pellegrini la dimanda medesima, ed essi risposero che andavano ad imbarcarsi per passare a Roma, e fra tutti e due contar potevano fino a sessanta reali. Volle anche sapere chi fosse nel cocchio e di dove venisse e del danaro che si recava; ed uno tra quelli ch’erano a cavallo, disse: — La mia signora donna Ghioncar di Chignones, consorte del reggente della vicaria di Napoli, con una figliuoletta, una donzella e una matrona sono quelle che trovansi nel cocchio: e noi siamo sei servitori che le accompagniamo, e seicento scudi sono il totale dei nostri danari. — Dimodochè, soggiunse Rocco, noi abbiamo qui a nostra disposizione novecento scudi e sessanta reali: sessanta sono i soldati miei, facciasi il conto di ciò che ne tocca per testa, giacchè io per me sono cattivo aritmetico.„ Ciò udendosi dagli assassini, alzarono la voce, dicendo: — Viva mille anni Rocco Ghinart a dispetto dei malvagi che tentano la sua perdizione.„ Se ne mostrarono in vece afflitti i capitani, si rattristò la signora reggente, e non meno rimasero mortificati i pellegrini, vedendosi confiscato ogni loro piccolo avere. Li tenne Rocco per buona pezza a tal modo sospesi; ma non gli piacque che passasse innanzi tanta tristezza dipinta su tutti quei visi, e voltosi ai capitani, disse: — Le signorie vostre, signori capitani, si compiacciano di prestarmi sessanta scudi per atto di cortesia, ed ottanta la signora reggente, ad oggetto di rendere soddisfatta questa squadra che mi accompagna: perchè l’abate mangia di quello che canta; e poi potranno proseguire liberamente il loro viaggio senza imbarazzo di sorta, mercè il salvocondotto che io loro darò, per cui incontrando taluna delle squadre che io tengo sparse per questi contorni, non ne abbiano danno; chè non è mia intenzione di far torto ai soldati, nè a donna alcuna, soprattutto a quelle di condizione distinta.„ Infiniti e vivamente espressi furono i concetti dai capitani impiegati a fine di render grazie a Rocco per la sua cortesia e liberalità: chè tale chiamarono l’aver loro lasciati i danari. La signora donna Ghioncar di Chignones voleva gittarsi dal cocchio per baciare le mani e [p. 546 modifica]i piedi al gran Rocco: ma non vi acconsentì egli a verun patto, ed anzi le chiese perdono del dispiacere che le aveva fatto, scusandosi con dire che a ciò lo sforzava il suo sciagurato mestiere. Ordinò la signora reggente ad un suo servidore che gli desse incontanente gli ottanta scudi di sua parte; e già avevano i capitani sborsati i sessanta. Andavano i pellegrini a rassegnare tutto il loro miserabile avere, ma Rocco disse loro che se ne stessero fermi, e voltosi ad un compagno, soggiunse: — Di questi scudi ne toccano due a ciascuno, e ne avanzano venti: dieci si dieno a questi pellegrini, e dieci a questo buon scudiere, affinchè possa dir bene di quest’avventura.„ Cavato poi di saccoccia quanto occorreva per iscrivere, Rocco diede loro in pergamena un salvocondotto per capi delle sue squadre. Licenziatosi da tutta questa gente, la lasciò andare libera e attonita della nobiltà del suo operare, della sua bella disposizione e della sua strana liberalità, riputandolo più un Alessandro Magno che un ladrone. Disse uno degli scudieri in sua lingua guascona o catalana: — Questo nostro capitano starebbe meglio frate che bandito: ma se da ora in avanti vuol fare l’uomo liberale, lo faccia col suo, e non già col nostro.„ Non parlò quello sventurato sì piano che Rocco non lo avesse inteso, e cacciata fuori la spada, gli spaccò la testa quasi in due parti, dicendo: — Punisco in tal modo i linguacciuti ed i temerarii.„ N’ebbero gli altri spavento, e nessuno osò aggiugnere parola: sì grande era l’ubbidienza che gli portavano.

Si appartò Rocco, e scrisse una lettera ad un suo amico di Barcellona, partecipandogli che aveva seco il famoso don Chisciotte della Mancia, quel cavaliere errante di cui tante cose erano sparse, e facendogli sapere ch’era il più grazioso ed assennato uomo del mondo, e che dopo quattro giorni, ricorrendo la solennità di san Giovanni Battista, glielo condurrebbe in mezzo alla piazza della città, armato di tutto punto, sopra il cavallo detto Ronzinante, con Sancio scudiere montato sopra il suo asino: che di ciò desse contezza ai Niarri suoi amici, affinchè ne pigliassero diletto, non volendo che ne godessero punto i Cadegli suoi avversarii, quantunque conoscesse essere impossibile quasi l’ottenere questo, perchè le pazzie e discrezioni di don Chisciotte e le graziosità del suo scudiere Sancio Panza non avrebbero potuto fare a meno di non divertire il mondo intero. Mandò queste lettere per uno de’ suoi scudieri, il quale cambiando l’abito di bandito in quello di contadino, entrò in Barcellona, e le ricapitò a chi erano dirette.