Due lezioni all'Accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell'inferno di Dante/I

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Due lezioni all'Accademia fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell'inferno di Dante II

Se è stata cosa difficile e mirabile .... l’aver potuto gli uomini per lunghe osservazioni, con vigilie continue, per perigliose navigazioni, misurare e determinare gl’intervalli de i cieli, i moti veloci ed i tardi e le loro proporzioni, le grandezze delle stelle, non meno delle vicine che delle lontane ancora, i siti della terra e de i mari, cose che, o in tutto o nella maggior parte, sotto il senso ci caggiono; quanto più maravigliosa deviamo noi stimare l’investigazione e descrizione del sito e figura dell’Inferno, il quale, sepolto nelle viscere della terra, nascoso a tutti i sensi, è da nessuno per niuna esperienza conosciuto; dove, se bene è facile il discendere, è però tanto difficile l’uscirne, come bene c’insegna il nostro Poeta in quel detto:

Uscite di speranza, voi ch’entrate,

e la sua guida in quell’altro:

È facile il descendere all’Inferno;
Ma ’l piè ritrarne, e fuor dell’aura morta
Il poter ritornare all’aura pura,
Questo, quest’è impres’alta, impresa dura!

ché dal mancamento dell’altrui relazione viene sommamente accresciuta la difficultà della sua descrizione. Per lo che era necessario, allo spiegamento di questo infernal teatro, corografo ed architetto di più sublime giudizio, quale finalmente è stato il nostro Dante: onde se quelli che sì accortamente svelò la mirabil fabbrica del cielo e sì esquisitamente disegnò il sito della terra, fu reputato degno del nome di divino, non doverà già il medesimo nome essere, per le già dette ragioni, al nostro Poeta conteso.

Descrive dunque l’Inferno Dante, ma sì lo lascia nelle sue tenebre offuscato, che ad altri dopo di lui ha dato cagione di affaticarsi gran tempo per esplicar questa sua architettura; tra i quali due sono che più diffusamente ne hanno scritto: l’uno è Antonio Manetti, l’altro Alessandro Vellutello, ma però questo da quello assai diversamente, e l’uno e l’altro molto oscuramente, non già per loro mancamento, ma per la difficoltà del suggetto, che non patisce esser con la penna facilmente esplicato. Onde noi, per ubbidire al comandamento fattoci da chi comandar ci può, oggi qui venuti siamo a tentare se la viva voce, accompagnando il disegno, potesse, a quelli che comprese non l’hanno, dichiarare l’intenzione dell’una opinione e dell’altra; ed in oltre, se ci sarà tempo, addurre quelle ragioni per l’una e per l’altra parte che potessero persuadere, le diverse descrizioni esser conformi all’intendimento del Poeta; ingegnandoci nel fine, con alcune altre nostre dimostrare qual più di esse alla verità, ciò è alla mente di Dante, si avvicini: dove forse faremo manifesto, quanto a torto il virtuoso Manetti ed insieme tutta la dottissima e nobilissima Academia Fiorentina sia dal Vellutello stata calunniata.

Ma prima che più avanti passiamo, non sia grave alle vostre purgate orecchie, assuefatte a sentir sempre risonar questo luogo di quelle scelte ed ornate parole che la pura lingua toscana ne porge, perdonarci se tal ora si sentiranno offese da qualche voce o termine proprio dell’arte di cui ci serviremo, tratto o dalla greca o da la latina lingua, poi che a così fare la materia di cui parleremo ci costringe.

L’ordine che terremo nel nostro ragionamento, in dichiarare la prima opinione, sarà questo:

Prima considereremo la figura ed universal grandezza dell’Inferno, tanto assolutamente quanto in comparazione di tutta la terra.

Nel secondo luogo, vedremo dove ei sia posto, ciò è sotto che superficie della terra.

Terzo, vedremo in quanti gradi, differenti tra loro per maggiore o minor lontananza dal centro del mondo, ei sia distribuito, e quali di essi gradi siano semplici, e quali composti di più cerchi o gironi, e di quanti.

Nel quarto luogo, misureremo gl’intervalli che tra l’un grado e l’altro si trovono.

Quinto, troveremo le larghezze per traverso di ciascheduno grado, cerchio e girone.

Nel sesto luogo, avendo già considerate le predette principali cose, con brevità racconteremo tutto il viaggio fatto da Dante per l’Inferno, ed in questo accenneremo alcune cose particolari, utili alla perfetta cognizione di questo sito.

Venendo dunque all’esplicazione dell’opinione del Manetti, e prima quanto alla figura, dico che è a guisa di una concava superficie che chiamano conica, il cui vertice è nel centro del mondo, e la base verso la superficie della terra. Ma che? abbreviamo e facilitiamo il ragionamento; e congiungendo la figura, il sito e la grandezza, immaginiamoci una linea retta che venga dal centro della grandezza della terra (il quale è ancora centro della gravità e dell’universo) sino a Ierusalem, ed un arco che da Ierusalem si distenda sopra la superficie dell’aggregato dell’acqua e della terra per la duodecima parte della sua maggior circonferenza: terminerà dunque tal arco con una delle sue estremità in Ierusalem; dall’altra sino al centro del mondo sia tirata un’altra linea retta, ed aremo un settore di cerchio, contenuto da le due linee che vengono dal centro e da l’arco detto: immaginiamoci poi che, stando immobile la linea che congiugne Ierusalem ed il centro, sia mosso in giro l’arco e l’altra linea, e che in tal suo moto vadia tagliando la terra, e muovasi fin tanto che ritorni onde si partì; sarà tagliata della terra una parte simile ad un cono: il quale se ci immagineremo esser cavato della terra, resterà, nel luogo ov’era, una buca in forma di conica superficie; e questa è l’Inferno. E da questo discorso ne aviamo, prima, la figura; secondo, il sito, essendo talmente posto, che il suo bassissimo punto è il centro del mondo, e la base o sboccatura viene verso tal parte della terra, che nel suo mezzo racchiude Ierusalem, come apertamente si cava da Dante, quando, immediate che fu passato oltre il centro all’altro emisfero, ode da Virgilio queste parole:

E se’ or sotto l’emisfero giunto,
Ch’è opposito a quel che la gran secca
Coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto
Fu l’Uom che nacque e visse senza pecca;

e nel secondo canto del Purgatorio, essendo pure nell’altro emisfero, conferma il medesimo, dicendo:

Già era ’l Sole all’orizzonte giunto,
Lo cui meridian cerchio coverchia
Ierusalem col suo più alto punto.

E quanto alla grandezza, è profondo l’Inferno quanto è il semidiametro della terra; e nella sua sboccatura, che è il cerchio attorno a Ierusalem, è altrettanto per diametro, per ciò che all’arco della sesta parte del cerchio gli è sottesa una corda uguale al semidiametro.

Ma volendo sapere la sua grandezza rispetto a tutto l’aggregato dell’acqua e della terra, non doviamo già seguitare la opinione di alcuno che dell’Inferno abbia scritto, stimandolo occupare la sesta parte dello aggregato; però che, facendone il conto secondo le cose dimostrate da Archimede ne i libri Della sfera e del cilindro, troveremo che il vano dell’Inferno occupa qualcosa meno di una delle 14 parti di tutto l’aggregato: dico quando bene tal vano si estendessi sino alla superficie della terra, il che non fa; anzi rimane la sboccatura coperta da una grandissima volta della terra, nel cui colmo è Ierusalem, ed è grossa quanto è l’ottava parte del semidiametro, che sono miglia 405 15/22.

Avendo compresa così generalmente la sua figura, è bene che venghiamo a distinguerlo ne i suoi gradi; però che la sua interna superficie non è così pulita e semplice come da la descrizione che ne aviamo data ne conseguirebbe, anzi è distinta in alcuni gradi, ne i quali diversi peccati con diverse pene sono puniti: e di questi gradi doviamo ora assegnare il numero e l’ordine, e poi più distintamente le larghezze e distanze da l’uno all’altro, e le distribuzioni di alcuni in varii gironi, così distinti e nominati dal Poeta.

È dunque questa grandissima caverna distribuita in 8 gradi, differenti tra loro per maggiore o minor lontananza dal centro: tal che viene l’Inferno ad essere simile ad un grandissimo anfiteatro, che, di grado in grado descendendo, si va ristringendo; salvo che l’anfiteatro ha nel fondo la piazza, ma l’Inferno termina quasi col suo profondo nel centro, che è un punto solo.

Vanno questi gradi rigirando intorno intorno la concavità dell’Inferno: ed il primo, e più vicino alla superficie della terra, è il Limbo; il secondo è quello dove sono puniti i lussuriosi; nel terzo sono castigati i golosi; il quarto comprende i prodighi e gli avari; il quinto grado è diviso in dui cerchi, il primo de i quali comprende la palude Stige e le fosse attorno alla città, luogo deputato alle pene de gl’iracondi e degli accidiosi; il secondo contiene essa città di Dite, dove sono castigati gli eretici. E qui è da avvertire che noi non intendiamo per gradi quelli che da Dante sono chiamati cerchi, perché noi ponghiamo, i gradi esser distinti tra loro per maggiore o minor lontananza dal centro, il che non sempre accade ne i cerchi, atteso che nel quinto grado ponga il Poeta al medesimo piano dui cerchi. Ma perché gli altri gradi sono dal Poeta chiamati cerchi ancora, possiamo dire, tutti essere 9 cerchi in 8 gradi.

Seguita poi il sesto grado e settimo cerchio, tormento dei violenti, il quale è distinto in 3 gironi, così nominati dall’Autore. E qui possiamo notare la differenza che pone Dante tra cerchio e girone, essendo i gironi parti de i cerchi, come di questo settimo, diviso in 3 gironi, de i quali l’uno racchiude l’altro; ed il primo, e maggiore di circuito, che è un lago di sangue, racchiude il secondo, che è un bosco di sterpi, il quale rigira intorno al terzo girone, che è un campo di rena: onde nel 13° si legge:

E ’l buon Maestro: Prima che più entre,
Sappi che sei nel secondo girone,
Mi cominciò a dire, e sarai mentre
Che tu verrai nell’orribil sabbione.

Il settimo grado ed ottavo cerchio contiene tutte Malebolge, dove sono puniti i fraudolenti. L’ottavo ed ultimo grado, che è il nono cerchio, abbraccia le quattro spere di ghiaccio de i traditori.

Ma passando alle distanze da l’un grado all’altro, le quali sono 8, dico che le prime sei sono uguali tra di loro, e ciascheduna è l’ottava parte del semidiametro della terra, che sono miglia 405 15/22: e tanto è distante il Limbo da la superficie della terra, altrettanto il secondo grado da esso Limbo, il terzo dal secondo, il quarto dal terzo, il quinto dal quarto, ed il sesto dal quinto.

Restano le due ultime distanze, ciò è la distanza dal cerchio de i violenti a Malebolge, che è la profondità del burrato di Gerione, e quella da Malebolge alle ghiacce, che è il pozzo de i giganti; le quali due distanze sarebbono state ancor esse poste dal Manetti uguali tra di loro ed all’altre, ciò è ciascheduna l’ottava parte del semidiametro, se non avesse osservato in Dante luoghi da i quali necessariamente si cava, esse dovere essere disuguali. Ma perché Dante dice, la nona e penultima bolgia girare miglia 22, sentendo nel canto ventesimo nono da Virgilio queste parole:

Tu non hai fatto sì all’altre bolge:
Pensa, se tu annoverar le credi,
Che miglia ventidue la valle volge,

e, per consequenza, viene ad aver di diametro miglia 7; e girando la decima miglia 11, come si vede nel canto sequente, dove dice:

S’io fussi pur di tanto ancor leggiero,
Ch’io potess’in cent’anni andar un’oncia,
Io sare’ messo già per lo sentiero,
Cercando lui tra questa gente sconcia,
Con tutto che la volga undici miglia,
E men d’un terzo di traversa non ci ha,

ed avendo, per conseguenza, di diametro miglia 3 1/2; resta che la larghezza della nona bolgia sia miglia 1 3/4; e dando tanto di larghezza a ciascuna delle altre, la prima e maggior bolgia viene ad aver di diametro miglia 35; e tanto è il diametro del fine della penultima distanza, che è, come si è detto, l’intervallo dal grado de i violenti a Malebolge. E se tanto è lì di diametro l’Inferno, facendo il conto troveremo, dovere esser distante tal luogo dal centro miglia 81 3/22, come appresso, quando parleremo delle larghezze delle bolge, si dimostrerà; e se miglia 81 3/22 è l’ultima distanza, il restante sino a i 2/8 del semidiametro della terra sarà la penultima, ciò è miglia 730 5/22. Tanta dunque è la profondità del burrato, essendo la profondità del pozzo miglia 81 3/22.

Ora, devendo venire al modo tenuto dal Manetti per investigare le larghezze per traverso de i gradi tutti dell’Inferno, giudichiamo esser necessario preporre una proposizione geometrica, la cui cognizione grandemente ci aiuterà all’intelligenza di quanto si ha da dire, ed è questa:

Se tra due linee concorrenti siano descritte alcune parti di circonferenze di cerchi, che abbino per centro il punto del concorso delle linee, averanno dette circonferenze tra di loro la medesima proporzione che i semidiametri de i lor cerchi. E questo è manifesto, perché si faranno settori di cerchi simili, de i quali i lati sono proporzionali agli archi, come in geometria si dimostra.

Posto questo, torniamo alle larghezze. Riprese dunque il Manetti le linee rette che di sopra tirammo dal centro del mondo, l’una a Ierusalem, l’altra all’estremità, o vogliamo dire all’orlo, della sboccatura dell’Inferno (quando arrivasse sino alla superficie della terra); e nell’arco che da l’una all’altra di esse si tirò, che in lunghezza è miglia 1700, segnati 10 spazii, ciascheduno di miglia 100, cominciando dalla sboccatura, da questi cavò le larghezze di alcuni gradi e gironi, come più particolarmente adesso vedremo.

Perciò che, preso il termine del primo centinaio e da esso tirata una linea al centro del mondo, terminò con essa la larghezza del Limbo, ciò è del primo cerchio; e perché questa linea con quella purdianzi tirata dall’orlo della sboccatura al centro si va proporzionatamente ristringendo sino al centro, nel quale ad essa si unisce, e la distanza del Limbo dalla superficie della terra si pose esser l’ottava parte del semidiametro, seguirà, per la proposizione preposta, che detta larghezza del Limbo sia ristretta per l’ottava parte di quello che era nella superficie della terra; e perché quivi era miglia 100, cavandone l’ottava parte, ciò è miglia 12 1/2, resterà la larghezza del Limbo miglia 87 1/2.

Ripreso poi il secondo centinaio, e dal suo termine verso Ierusalem tirata un’altra linea sino al centro, con essa terminò la larghezza del secondo cerchio; il quale per esser lontano dalla superficie della terra per 2/8 del semidiametro, scemata con la medesima proporzione la larghezza, che su la superficie è miglia 100, restò la larghezza del secondo cerchio miglia 75. Ed osservando simil ordine nel terzo e quarto grado, di scemare le larghezze con la proporzione delle distanze loro dalla superficie della terra, al terzo assegnò di larghezza miglia 62 1/2, ed al quarto miglia 50.

Ma per determinare la larghezza del quinto grado, prese nell’arco detto, sopra la superficie della terra, 3 centinaia, e questo perché il quinto grado si divide in 2 cerchi, il primo de i quali ancora si divide in 2 gironi, ciò è nella palude Stige e nelle fosse, ma il secondo cerchio, ciò è la città, resta indiviso: e perché questo grado è lontano dalla superficie della terra 5/8 del semidiametro, scemando con simil proporzione la larghezza, che nella superficie della terra è miglia 300, cavò la larghezza del quinto grado, ciò è miglia 112 1/2; delle quali la terza parte, ciò è 37 1/2, ne diede alla palude, altre 37 1/2 alle fosse, l’altra terza parte al cimitero degli eresiarchi, dentro la città. E così sino a questo grado si sono consumate 7 delle 10 centinaia che nell’arco sopra la terra si notarono, ciò è 4 per i 4 primi cerchi, e 3 per il quinto.

Restano dunque 3 centinaia, le quali ci danno la larghezza del sesto grado, che, per esser distinto in 3 gironi, ciò è nel lago sanguigno, nel bosco e nel campo arenoso, acconciamente se gli convengono: e per esser questo grado lontano dalla superficie della terra per 6/8 del semidiametro, scemando a tal proporzione le 300 miglia che aviamo in superficie, resteranno miglia 75, delle quali 25 a ciascun girone ne assegneremo.

Aviamo sin qui delle 1700 miglia, notate nella superficie sopra l’arco da Ierusalem alla sboccatura, distribuitene 1000 in assegnare le larghezze a i 6 gradi predetti: restanci dunque miglia 700 da distribuirsi per le larghezze de i cerchi rimanenti, ciò è per Malebolge e per il pozzo dei giganti; la quale distribuzione, perch’io la trovo tanto esquisitamente corrispondere alle larghezze che dal Poeta stesso al pozzo ed alle bolge sono assegnate, m’induce, e non senza stupore, a credere, la opinione del Manetti in tutto esser conforme all’idea conceputa da Dante di questo suo teatro.

Dovendo dunque venire a tal distribuzione, è bene che dimostriamo prima quello che poco fa promettemmo; ciò è che se Malebolge è, nella sua maggior larghezza, di semidiametro miglia 17 1/2, come da Dante stesso si trae, devano necessariamente da Malebolge al centro esser miglia 81 3/22.

È manifesto che alle 17 miglia e 1/2, che ha per semidiametro Malebolge nella sua maggior larghezza, corrispondono nella superficie della terra miglia 700; ne seguita dunque necessariamente, per la preposta proposizione, che tanto maggiore sia la distanza della superficie della terra dal centro, della distanza di Malebolge dal medesimo centro, quanto la larghezza delle miglia 700 è maggiore della larghezza delle miglia 17 1/2: ma le miglia 700 sono 40 volte a punto maggiori che le miglia 17 1/2; dunque la distanza dalla superficie della terra al centro sarà 40 volte maggiore che la distanza di Malebolge dal medesimo centro. In oltre la distanza della superficie dal centro, ciò è il semidiametro della terra, è miglia 3245 5/11, la cui quarantesima parte è 81 3/22: la distanza dunque di Malebolge dal centro è necessariamente miglia 81 3/22. E questo è quello che noi dimostrar doveamo.

Ora, ripigliando quello che a dir si avea della distribuzione delle 700 miglia per assegnare le larghezze alle bolge ed al pozzo, dico che cavandosi da Dante, come di sopra dicemmo, la larghezza del pozzo esser di semidiametro un miglio, la larghezza di quello spazio che resta tra l’ultima bolgia ed il pozzo esser 1/4 di miglio, quella dell’ultima bolgia 1/2, e finalmente le larghezze delle nove bolge rimanenti esser, di ciascheduna, un miglio e 3/4, se troveremo tal quantità di miglia nel cerchio di Malebolge importare nella superficie della terra miglia 700, indubitatamente potremo affermare, con maravigliosa invenzione avere il Manetti investigata la mente del Poeta. E perché si è dimostrato, la distanza della superficie della terra dal centro esser 40 volte maggiore della distanza di Malebolge dal medesimo, ed a le distanze proporzionatamente rispondono le larghezze, quello che in Malebolge per larghezza sarà 1, nella superficie della terra importerà 40: ma si è trovato che, secondo la mente del Poeta, il semidiametro del pozzo è miglia 1; questo dunque nella superficie della terra importa miglia 40: la distanza tra ’l pozzo e l’ultima bolgia è 1/4 di miglio, che nella superficie importa miglia 10: l’ultima bolgia per larghezza è 1/2 miglio; ad essa dunque nella superficie rispondono miglia 20: ciascuna delle rimanenti 9 bolge ha di traversa miglia 1 3/4; a ciascuna dunque di esse nella superficie corrispondono miglia 70: ma sommando insieme 9 volte 70, per le 9 bolge, con 20 per la decima bolgia, con 10 per lo spazio tra la decima bolgia ed il pozzo, e con 40 per il semidiametro del pozzo, fanno a punto miglia 700, che è quello che ci restava da consumare sopra la superficie. Mirabilmente, dunque, possiamo concludere aver investigata il Manetti la mente del nostro Poeta.

Questo discorso e la dimostrazione della distanza da Malebolge al centro aviamo noi aggiunto a quello che per esplicazione del ritrovamento del Manetti da’ suoi amici fu scritto, parendoci, come veramente è, che avessino tralasciata di dichiarare la più sottile invenzione dal gentile ingegno del Manetti investigata.

Ora ci resta, per compita esplicazione del nostro proponimento, addurre le grandezze di ciascuna delle 4 giacce cavate da l’istesso Poeta: ed il modo che si ha da tenere per conseguir questo, sarà tale.

Noi aviamo nel canto trentesimoquarto queste parole:

L’imperador del doloroso regno
Da mezzo ’l petto uscia fuor della giaccia;
E più con un gigante io mi convegno,
Ch’i giganti non fan con le sue braccia:
Pensa oramai quant’esser dee quel tutto,
Ch’a così fatta parte si confaccia.

Sendo dunque nostro scopo investigar la grandezza delle giacce, e sapendo che Lucifero uscia fuori della minore (ché di quella si parla nel luogo citato) da mezzo ’l petto in su, e sapendo in oltre che il medesimo Lucifero ha l’ombelico nel centro del mondo, come dall’istesso Poeta nel medesimo canto si trae, dove dice:

Quando noi fummo là dove la coscia
Si volge a punto sul grosso dell’anche,
Lo Duca con fatica e con angoscia
Volse la testa ov’egli avea le zanche,
Ed aggrappossi al pel com’uom che sale,
Sì ch’in Inferno io credea tornar anche;

se dunque saperemo quanta sia la grandezza di Lucifero, aremo la distanza ancora che è dall’ombelico al mezzo del petto, e per consequenza il semidiametro della minore sferetta. Ma quanto alla grandezza di Lucifero, aviamo ne i citati versi esser tale, che maggior convenienza ha Dante con un gigante, che un gigante non ha con un braccio di Lucifero: se dunque noi saperemo la grandezza di Dante e quella d’un gigante, potremo da queste investigar la grandezza di Lucifero. Ma di Dante aviamo, da quelli che scrivono la vita di esso, essere stato di commune statura, la quale è 3 braccia: restaci dunque solamente da investigare la grandezza di un gigante; e così aviamo risoluto la nostra proposta, che era di trovare la grandezza delle giacce, a dover solamente investigare la grandezza d’un gigante, onde poi, con ordine compositivo, potremo conseguire il nostro intento: però che, essendoci data la grandezza d’un gigante, sarà nota la proporzione che ha ad esso un uomo, e però la proporzione che ha un gigante ad un braccio di Lucifero; ma è nota la proporzione che ha un braccio a tutto ’l corpo, onde la grandezza di Lucifero ci sarà manifesta; ed auta questa, aremo la distanza dal mezzo del petto all’ombelico, e per consequenza il semidiametro della minore sfera, e finalmente essa sfera, con la quale alle sfere rimanenti assegneremo le grandezze. Passiamo dunque ad investigar la grandezza d’un gigante.

Scrive il Poeta, parlando di Nembrot, primo de i giganti che lui trovasse nel pozzo:

La faccia sua mi parea lunga e grossa
Come la pina di San Piero a Roma;
Ed a sua proporzione eron l’altr’ossa.

Se dunque la faccia d’un gigante è quanto la Pina, sarà 5 braccia e 1/2, ché tanto è essa: e perché gli uomini ordinariamente sono alti otto teste, ancor che i pittori e gli scultori, e tra gli altri Alberto Durero, nel suo libro della misura umana, tenga che i corpi ben proporzionati devano esser 9 teste, ma perché di sì ben proporzionati rarissimi si trovano, porremo il gigante dovere esser alto 8 volte più che la sua testa; onde sarà un gigante in lunghezza braccia 44, ché tanto fa moltiplicato 8 per 5 1/2. Dante dunque, ciò è un uomo commune, ad un gigante ha la proporzione di 3 a 44: ma perché un uomo ad un gigante ha maggior convenienza che un gigante ad un braccio di Lucifero, se noi faremo, come 3 a 44, così 44 a un altro numero, che sarà 645, aremo, un braccio di Lucifero dovere essere più che 645 braccia. Ma lasciando quel più, che ci è incerto, riservandoci a computarlo nel fine, diciamo, un braccio di Lucifero esser braccia 645: ma perché la lunghezza di un braccio è la terza parte di tutta la altezza, sarà l’altezza di Lucifero braccia 1935, ché tanto fa moltiplicato 645 per 3. Ma perché maggiore è la convenienza tra un uomo ed un gigante che tra ’l gigante ed un braccio di Lucifero, e noi aviamo fatto questo conto quasi che tal proporzione fosse la medesima, e se la fosse sarebbe alto Lucifero braccia 1935, aggiungendoli quel più incerto che li manca, potremo ragionevolmente concludere, Lucifero devere esser alto braccia 2000; e questo se è così, sarà l’intervallo che è dall’ombelico al mezzo del petto braccia 500, però che è la quarta parte di tutto ’l corpo; e tanto sarà il semidiametro della minore sferetta. E perché non è in Dante luogo dal quale si possino cavar le grandezze dell’altre tre sfere rimanenti, giudica il Manetti, doversi ragionevolmente credere, le altre ancora aver la medesima grossezza: e perché una cinge l’altra, non altramente che l’un cielo l’altro circondi, sarà il semidiametro della penultima braccia 1000, quello della seconda 1500, e finalmente la prima e maggiore arà per semidiametro braccia 2000.

Questo è quanto all’universale esplicazione della figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante secondo l’opinione del Manetti, mi parea necessario doversi dire. Resta ora, per intera satisfazione di quanto al principio promettemmo, con una breve narrazione del viaggio fatto dal Poeta per tale Inferno, che comprendiamo alcune cose particolari e degne d’esser sapute; e nel medesimo tempo accenneremo di nuovo l’ordine, numero, distanze e larghezze de i cerchi infernali, acciò che meglio nelle menti vostre restino impressi.

Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai in una selva oscura,
Che la diritta via era smarrita;

e questo fu l’anno della nostra salute 1300, anno di giubbileo, di notte, essendo la luna piena. La selva dove si trovò è, secondo il Manetti, tra Cuma e Napoli, e qui era l’entrata dell’Inferno; e ragionevolmente la finge esser quivi: prima, perché ’l cerchio della sboccatura dell’Inferno passa a punto intorno a Napoli; secondo, perché in tal luogo, o non molto lontani, sono il lago Averno, monte Drago, Acheronte, Lipari, Mongibello e simili altri luoghi, che da gli effetti orribili che fanno paiono da stimarsi luoghi infernali; e finalmente giudica, aver il Poeta figurata ivi l’entrata dell’Inferno per imitar la sua scorta, che in tal luogo la pose. Quindi arrivati alla porta dell’entrata, sopra la quale erano scritte di colore oscuro le parole:

Per me si va nella città dolente,
Per me si va nell’eterno dolore,
Per me si va tra la perduta gente;

cominciarono a scendere per una china repente, finché arrivarono alla grotta de gli sciagurati, spiacenti a Dio ed al suo inimico.

È questa grotta una amplissima caverna, posta tra la superficie della terra e l’orlo dell’Inferno, quasi che quelli che vi abitano abbiano bando del cielo e dell’abisso: in questa trovarono gli sciagurati correr dietro ad una insegna.

Seguitando poi pur di scendere, arrivarono al fiume Acheronte. Questo fiume passa intorno al primo cerchio d’Inferno, ciò è al Limbo; e qui trovarono Caron demonio, che nella gran barca tragetta le anime all’altra riva. In questo luogo, per il tremore della terra e per il lampo d’una vermiglia luce, tramortì ’l Poeta, e di poi, da un gran tuono risvegliato, si trovò su l’altra ripa; per la quale camminando, pervenne alla calle del primo cerchio, e per essa entrato, insieme con Virgilio, nel Limbo, si volse camminando a man destra, e vedde i parvoli innocenti, morti senza battesmo, e quelli che vissono moralmente, ma senza la fede cristiana, né ivi hanno altro tormento che la sola privazione della vision di Dio: in questo cerchio trovarono la fiamma ardente ed il nobile castello, circondato da 7 circuiti di mura. È questo cerchio distante da la superficie de la terra l’ottava parte del semidiametro, ciò è miglia 405 15/22, ed è largo per traverso miglia 87 1/2. Di questo cercatane la decima parte, calarono nel secondo, minore e più basso, dove sotto Minos, giudice de i dannati, sono puniti da continua agitazione, tra le nugole, i lussuriosi: e la distanza di tal cerchio dal primo è quanto la distanza del primo dalla superficie della terra, ciò è miglia 405 15/22, ed è largo miglia 75. Di questo cercatane pure la decima parte, calarono al terzo, distante dal secondo similmente miglia 405 15/22, e largo miglia 62 1/2, dove i golosi sotto Cerbero da continua pioggia e grandine sono travagliati. Scesero di poi nel quarto e del terzo minore, avendo di traversa miglia 50, e dal terzo è lontano similmente miglia 405 15/22; nel quale sotto Plutone si tormentano i prodigi e gli avari, col volgersi l’un contro l’altro gravissimi pesi. Di questo cercando, pure su la man destra, la decima parte, trovarono vicino al fine un fonte, dal quale deriva una fossa, che, cadendo nel quinto cerchio, fa di sé la palude Stige. Per questo fossato scendendo ’l Poeta al quinto grado, che del quarto è più basso miglia parimente 405 15/22, distinto in 2 cerchi, il maggior de i quali contiene due gironi, ciò è la palude Stige, larga miglia 37 1/2, dove sotto Flegias sono punite due specie di peccatori, ciò è gl’iracondi sopra e gli accidiosi sotto la belletta; e le fosse intorno alla città, larghe pur miglia 37 1/2, tormento de gl’invidiosi e de i superbi; l’altro cerchio è la città di Dite, dentro la quale, sotto l’imperio delle Furie, nelle sepolture infocate sono castigati gli eretici. A questa città, che per traverso è larga miglia 37 1/2, passarono dalla riva della palude sopra la barca di Flegias, cercando, sì di essa palude, come delle fosse ancora e di essa città, la decima parte, camminando sempre su la man destra.

Di questo grado, per una grandissima rovina di pietre, scesero nel sesto, del quinto più basso parimente miglia 405 15/22, ed è diviso in 3 gironi, ciascheduno de i quali è per larghezza miglia 25: e nel primo, che è un lago di sangue, detto Flegetonte, sono puniti sotto ’l Minotauro i violenti al prossimo, il cui tormento è l’esser saettati da i Centauri qual volta ardissono alzarsi fuor del sangue: nel secondo son tormentate due sorti di violenti, ciò è i violenti contro a lor medesimi, e questi sono trasformati in nodosi sterpi, delle cui foglie si cibano ingorde Arpie; ed i violenti contro i proprii beni, e di questi la pena è l’esser dilaniati da nere ed affamate cagne: nel terzo girone, sopra cocente arena, da continue fiamme che ivi piovono, sono afflitti i violenti a Dio, alla natura ed all’arte. Di questi 3 gironi cercatane, pure su la man destra, la decima parte, essendo nel campo arenoso trovarono uno stretto rivo di sangue, il quale, dalla statua posta dal Poeta sopra ’l monte Ida in Creta dirocciando per l’abisso, fa Acheronte, Stige, Flegetonte, e Cocito, fiumi principali d’Inferno. E camminando Dante lungo detto rivo verso il mezzo, pervenne alla sponda del burrato di Gerione, dove, salito insieme con Virgilio sopra le spalle della fiera, fu per quell’aer cieco calato su ’l settimo grado, che è quello che in 10 bolge è distinto, nelle quali sotto Gerione dieci specie di fraudolenti son castigati, de i quali troppo lungo sarebbe raccontare tutte le pene. È questo grado lontano dal superiore miglia 730 5/22, e tanta viene ad esser la profondità del burrato. Ha ciascuna delle bolge, di traversa, un miglio e 3/4, eccetto l’ultima, che è larga 1/2 miglio, dalla quale sino al pozzo de i giganti, posto nel mezzo, è uno spazio di 1/4 di miglio; talché in tutta la traversa di Malebolge è miglia 16 1/2: e sono da uno stretto argine o ponticello attraversate tutte, eccetto però che la sesta, sopra la quale per certo accidente è rovinato il ponte.

Attraversate che ebbe Dante le bolge, essendo pervenuto al pozzo, fu da Anteo gigante, insieme con Virgilio, calato su la diaccia, detta Caina, che è la prima e maggiore spera e che le altre circonda, nelle quali sotto Lucifero sono castigati i traditori: e nella prima, i traditori al prossimo; nella seconda, detta Antenora, i traditori contro la patria; nella terza, detta Tolomea, i traditori a i lor pari benefattori; nella quarta, detta Giudecca, i traditori contro al lor signore. È la distanza delle diacce da Malebolge, ciò è la profondità del pozzo de i giganti, miglia 81 1/2.

Nel mezzo di esse diacce è posto Lucifero; al quale arrivati Virgilio e Dante, descendendogli per i suoi velli sino all’ombelico, dove è il centro del mondo, e quindi cominciando a salirgli su per l’irsute cosce, finalmente trapassarono a i suoi piedi verso l’altro emisfero, dove per una attorta via salirono, e quindi uscirno a riveder le stelle.

Resterebbeci ora da vedere l’opinione del Vellutello, e poi le ragioni che per l’una e per l’altra opinione addur si potrebbono: ma perché il discorso sin qui auto mi è riuscito più lungo assai che non credeva, per non tener più a tedio tanti nobilissimi uditori, trasferiremo il nostro ragionamento a tempo più oportuno.