E-participation e comunità locali/5

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Verso una democrazia partecipata deliberativa

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Abbiamo cercato di chiarire precedentemente cosa differenzia i progetti partecipativi di tipo consultivo da quelli di tipo deliberativo.

Ma quali sono gli strumenti e i modelli necessari per realizzarla?

Cercheremo in questa prima parte di affrontare la questione, basandoci sui concetti espressi finora ed in un secondo momento vedere come i problemi e le soluzioni introdotte si coniugano all’interno delle piattaforme digitali.

La costruzione delle rappresentazioni.

Una delle necessita principali per un processo decisionale che richiede la partecipazione di un vasto numero di persone di composizione eterogenea è di produrre quella che abbiamo chiamato “costruzione sociale delle realtà territoriali”.

Per poter raggiungere questo obiettivo è necessario che vi sia un “luogo” comune attraverso il quale, partendo dalle rappresentazioni del se come identità parziale, si possa arrivare a formulare una meta-rappresentazione del territorio di riferimento attraverso l’interazione trai i cittadini.

Intraprendere questo percorso deve portare ad un riduzione della frammentazione delle realtà emergenti senza per questo implicare un annullamento delle reali differenze presenti nel territorio. La necessita e quindi quella di identificare, reciprocamente riconoscere le problematiche per poi lavorare alla fusione delle istanze ai fini di deliberarle.

Il lavoro di identificazione e catalogazione può essere effettuato sia da persone che abbiano un ruolo tecnico esterno rispetto alla comunità partecipativa sia svolto attraverso l’interazione sociale.

Nel caso venga affidato ad una persona questo può essere svolto da un rappresentante politico, da un professionista con ruolo di facilitatore oppure essere determinato attraverso una votazione della comunità partecipata stessa che arriva a determinare chi debba ricoprire ognil determinato ruolo.

La capacità sociale della comunità di svolgere questo compito di classificazione ed identificazione può essere svolta in maniera concreta attraverso l’utilizzo delle piattaforme digitali.

Dopo la classificazione e l’accorpamento delle istanze deve essere portato avanti il lavoro che permette di sviluppare le proposte deliberative. Èimportante in questa fase che le diverse soluzioni non vengano portate avanti in modalità oppositiva. Evitare questo significa trattare la varianti e le diverse visioni, che si separano dal nucleo condiviso, non in completo contrasto le une con le altre ma come percorsi alternativi alla risoluzione dello stesso problema. Gli spazi dialogici che si aprono all’interno di ogni proposta devono proprio servire a stabilire i pro e i contro di ogni alternativa facendo riferimento ad eventuali raffronti con le esperienze passate ma anche raffinando le previsioni sugli effetti previsti dalle scelte che si stanno delineando. Attraverso questo metodo si dovrebbe arrivare ad ampliare il nucleo condiviso della proposta fino a portarla in uno stato in cui ne sia possibile la deliberazione.

Questo processo deve essere totalmente trasparente all’interno della comunità con discussioni e modifiche portate avanti pubblicamente e rese disponibili in qualsiasi momento attraverso un archivio cronologico.

l’altro aspetto delle rappresentazioni e costituito dalla conoscenza tecnica sia degli argomenti che dei processi politico amministrativi che servono poi per attuare le proposte deliberate. l’accesso alla legislazione deve essere disponibile in maniera rapida per tutti dando la possibilità ai membri della comunità, che abbiano le competenze, di tradurre la complessità del linguaggio giuridico e riproporlo in forme utili al supporto della deliberazione.

Infine si deve arrivare ad una chiara percezione dei passaggi e delle procedure amministrative che determinano l’attuazione delle politiche: per ogni prostata deliberata deve essere chiaro, in ogni momento, lo stato di avanzamento.

La definizione delle policy

All’interno di un processo partecipativo-deliberativo le policy stabiliscono l’inseme di minimo si regole necessarie all’interazione tra i cittadini.

Come abbiamo visto precedentemente queste devono inoltre stabilire le opportunità offerte dal processo per i partecipanti.

Le policy, definendo le modalità di interazione e la struttura organizzativa all’interno degli spazi partecipativi, devono, fin dall’inizio essere oggetto di discussione ed accettazione tra membri. Non possono quindi essere determinate univocamente dalle amministrazioni poiché si rischia di relegare le dinamiche partecipative all’interno di assetti ed obiettivi precostituiti.

La diversificazione delle regole deve tenere conto delle specificità dei singoli territori ma dovrebbe arrivare, anche attraverso la sperimentazione, ad un nucleo di pratiche comuni considerate valide per tutti.

Ad esempio le regole dell’interazione a livello del singolo comune non solo dovrebbero avere un nucleo condiviso con quelle degli altri Comuni ma anche con le Province e le Regioni. Le stesse varianti che si applicano a livello Provinciale poi dovrebbero costituire il nucleo più ampio in comune tra tutte le amministrazione Provinciali.

Prevedere una certa autonomia territoriale non deve portare ogni volta a stabilire, partendo da zero, le regole più adatte gestione dello spazio partecipativo.

Il processo di definizione cooperativa delle policy deve portare ad una dinamica che stabilisca le best practices condivise lasciando uno spazio autonomo di derivazione per le singole realtà.

Le soggettività nel processo partecipativo.

Nei capitoli precedenti abbiamo sempre fatto riferimento il singolo individuo che interagisce insieme agli altri nello spazio partecipato. Non si è mai parlato del ruolo altre soggettività possono svolgere all’interno di questi processi.

La società civile non è composta soltanto da singoli cittadini, ma anche da un variegato numero di Istituzioni ed associazioni.

Le associazioni ed i gruppi di interesse hanno cercato di stabilire un rapporto con le istituzioni politico-rappresentative per poterne influenzare le scelte. Queste soggettività riescono quindi ad intervenire a livello politico più dei singoli che spesso riescono ad esprimersi politicamente soltanto al momento delle elezioni dei rappresentanti

Quando un processo partecipativo è aperto a tutti i cittadini che ruolo possono svolgere le associazioni presenti nella società civile?

La questione delle soggettività va affrontata tenendo presente l’effettiva capacità dei singoli individui di interagire all’interno degli spazi partecipativi.

Nella vita di tutti i giorni la complessità della conoscenza viene gestita attraverso un processo continuo di traduzione ed dall’instaurazione di rapporti di fiducia che si vanno a stabilizzare all’interno delle reti sociali. Ad esempio se ho bisogno di riparare la macchina e non mi intendo di meccanica avrò bisogno di rivolgermi ad un meccanico. Èprobabile che vada nell’officina in cui mi servo da anni: ormai ho stabilito un rapporto di fiducia sulla qualità del lavoro ed i prezzi applicati. Se mi sono trasferito in una nuova città cerco di informarmi dalla rete sociale delle mie conoscenze di un meccanico del quale possa fidarmi per effettuare la riparazione. Posso anche ricordarmi che al bar si “parlava” molto bene del meccanico che si trovava soltanto a pochi isolati da casa. In ogni caso essendo la risoluzione del problema in oggetto al di fuori della mia portata di conoscenze debbo instaurare un rapporto, anche se minimale, con un’altra persona.

E questo non vale soltanto per problemi di piccola entità ma anche per questioni rilevanti come esempio per i problemi di salute.

Quello che ci interessa quindi osservare è che i rapporti di fiducia permettono di oltrepassare le specificità delle sfere di conoscenza dei singoli.

All’interno degli ambienti partecipativi può crearsi quindi un rapporto di fiducia dei singoli cittadini verso altre soggettività.

Sia l’impegno temporale che cognitivo può essere molto elevato all’interno della gestione della sfera pubblica, considerando anche la molteplicità dei temi presenti in agenda diventa difficile immaginare che ogni individuo trovi le risorse o semplicemente sia interessato ad occuparsi di tutti gli aspetti della vita pubblica.

Cioè che va garantito quindi non è tanto l’effettiva partecipazione di ogni cittadino ad ogni questione di interesse pubblico ma piuttosto la possibilità concreta di partecipare rendendo gli spazi dell’interazione pubblici ed accessibili.

Il rapporto tra spazio e soggettività non può essere quindi prestabilito ma ognuno dovrà trovare di questione in questione il grado di approfondimento e di contributo alla partecipazione che vuole esercitare.

Sarà nell’interesse del singolo partecipante, per le questioni che vanno oltre le proprie competenze o i propri interessi, individuarne un altro cittadino, un’associazione od un qualsiasi gruppo con il quale egli ha stabilito un rapporto di fiducia, attribuendogli una delega.

Il mantenimento della delega è quindi in stretta correlazione al rapporto di fiducia che si instaura. Per mantenere questo livello di “osmosi” democratica deve essere possibile in ogni momento per il cittadino, il ritiro automatico dell’attribuzione della delega attraverso un suo intervento diretto nel processo partecipativo anche se effettuato in ultima istanza al momento del voto. Anche il delegato deve avere l’opportunità di rinunciare alla delega.

Si verrebbe anche in questo caso a configurare un “gioco” a somma diversa da zero. Il delegato sviluppando soluzioni inadeguate o portando avanti posizioni che favoriscano i propri interessi va a dissolvere il rapporto di fiducia con il delegante perdendo il parte del potere di mediazione all’interno del processo partecipativo. Il delegante d'altro canto pretendendo che il delegato ottenga soltanto dei limitati interessi di mandato compromettere il rapporto di fiducia insito nella delega dovendosi occupare, a quel punto, in prima persona di questioni che sono al di fuori della sua competenza o che comunque richiedono un impegno cognitivo e temporale molto elevato, senza nessuna garanzia, tra l’altro, che le sue posizioni individuali riescano a convogliare il consenso necessario all’interno della comunità.

In un processo asimmetrico dove le conoscenze personali si differenziano, sia dal punto di vista tematico che dal livello di approfondimento è importante non racchiudere gli spazi partecipativi all’interno di sfere di riserva degli individui che si proclamano maggiormente competenti sul tema.

Il valore di questa competenza deve essere sempre stabilito socialmente attraverso una continua opera di traduzione che permetta di far avvicinare i cittadini meno competenti alle loro posizioni guadagnando così anche eventuali deleghe.

La soggettività che vogliamo proporre, all’interno di un processo partecipativo deliberativo, ha le caratteristiche di dinamicità che rendono possibile la formazione, il mantenimento e la revoca dei rapporto di fiducia sia tra i cittadini e tra cittadini e realtà associative di ogni ordine e grado.

Le associazioni ed i gruppi possono intervenire quindi all’interno del processo deliberativo il cittadino attribuisca a loro una delega sulla singola proposta o su un tematica. l’atto formale viene espletato attraverso l’attribuzione della delega stessa al singolo individuo o a più individui che interagiranno in rappresentanza revocabile delle associazioni.

Moderatori e facilitatori.

Per permettere che l’interazione e lo sviluppo del dialogo all’interno di processi partecipativi vasti ed eterogenei è richiesta la presenza di ruoli di moderazione che aiutino a mantenere fruibili questi. La discussione deve essere il più possibile auto regolamentata ma le policy devo comunque definire un chiaro e delimitato potere ai moderatori. Comportamenti aggressivi anche portati avanti da pochi partecipanti tendono a far degenerare il livello della discussione deliberativa tenendo in ostaggio il flusso della discussione stessa.

Nei casi in cui l’autogestione degli spazi venga meno il moderatore deve intervenire attraverso gli strumenti affidati dalle policy accettate e stabiliti a seconda dalla natura degli spazi partecipativi.

Anche il facilitatore dovrà ricoprire un ruolo importante all’interno del processo deliberativo.

A differenza del moderatore il suo ruolo è quello di essere il “conduttore” d'orchestra dei gruppi cooperanti, ovvero di gestire e generare la sincronia tra gli individui sia all’interno delle singole proposte che, in generale, nell’intera comunità partecipativa.

La figura del facilitatore è legata alle policy, dovendo principalmente gestire l’inizio e la fine delle varie fasi in cui è strutturata la partecipazione, costituire il punto di riferimento per la gestione dei contenziosi nati sulle procedure e l’interepretazioni del regolamento e svolgere tutti qui compiti di supporto alla comunità che ne facilitino l’interazione.

La scelta dei moderatori e dei facilitatori all’interno di un contesto partecipativo non può essere effettuata dall’amministrazione ma deve essere stabilita dalla comunità partecipante stessa attraverso l’espressione di maggioranze qualificate.

Inoltre, per evitare che alcuni individui acquisiscano un potere eccessivo attraverso l’esercizio di queste funzioni, può essere prevista sia la rotazione degli incarichi che dalla possibilità per i partecipanti di richiedere un annullamento del provvedimento presi attraverso i meccanismi di voto.

I tempi della deliberazione.

Abbiamo parlato, nel corso del teso, di comunità partecipanti che cooperano all’interno del processo, della loro necessita di costruire realtà territoriali condivise, dell’identificazione reciproca delle esigenze, dello sviluppo delle soluzioni ai problemi.

Ma di quali tempi ha bisogno questo tipo di deliberazione?

Per trattare questo aspetto possiamo principalmente distinguere tra i processi a tempo determinato e quelli a tempo indeterminato.

In quelli a tempo determinato, ogni fase in cui è strutturate la partecipazione, ha delle scadenze entro le quali deve essere raggiunto il grado di consenso necessario per passare ai livelli successivi. Ad esempio potrà esserci una scadenza per la fase esplorativa tra i partecipanti, una per quella della presentazione delle proposte, un’altra per l’accorpamento e la costruzione della conoscenza a supporto della decisione.

Nei processi a tempo indeterminato non si pone dei limiti di tempo ma ciò su cui si punta è il raggiungimento dell’obiettivo.

La costruzione di visioni condivise e la strutturazione di un certo grado di consenso non possono essere garantite.

Stabilire un tempo indeterminato per i processi deliberativi potrebbe portare quindi ad una mancata risoluzione dei contrasti e ad un prolungamento delle discussioni senza che si riesca a produrre una decisione finale.

Il mancato raggiungimento di una decisione, nel corso del tempo, genererebbe una progressiva perdita d'interesse nei confronti del processo deliberativo poiché a fronte dell’impegno cognitivo dei partecipanti non si intravederebbe la prospettiva di esercitare un potere decisionale finale.

Anche quando vengono definite delle fasi a tempo determinato il raggiungimento di posizioni condivise non è garantito.

La scelta a priori di una scadenza non può tenere conto dei diversi fattori presenti nel sistema in cui i partecipanti si trovano ad interagire. Il grado di convergenza iniziale tra i membri, il livello di omogeneità della conoscenza, la diversa intensità delle posizioni e degli interessi intorno ad un tema sono tutti fattori di difficile valutazione ai fini di prevedere i tempi necessari di sviluppo del consenso. Inoltre lo svolgimento stesso della discussione può portare a situazioni di stallo, polarizzazioni, formazione di loiche di gruppo, affermazioni di leadership di competenza o autoritarie che rendono davvero difficile stabilire, anche durante il processo lo stato di avanzamento dei lavori.

Quando parliamo dei tempi della deliberazione un’altra questione che si pone è quella relativa alla gestione di problemi che necessitano una soluzione urgente o comunque in tempi rapidi.

Per risolve questo tipo di problematiche si potrebbe arrivare all’introduzione di sistemi temporali misti.

Da un lato il definire tempi certi può portare ad una consapevolezza dei partecipanti della necessità di doversi coordinare ed organizzare i confronti e la costruzione delle proposte entro orizzonti definiti. Questa consapevolezza potrebbe aumentare se è la comunità stessa a decidere sulle singole tematiche la necessità di definire tempi certi per la deliberazione oppure se può essere portata avanti senza limite temporale.

Tra l’altro una definizione dei tempi, che non tenga conto dello stato di sviluppo del processo, sarebbe di per sé controproducente trattando allo stesso modo proposte che hanno raggiunto un grado di consenso più avanzato ad altre sulle quali c'è ancora una completa discordanza tra le posizioni dei partecipanti. Anche nel caso di definizione di tempi certi entro i quali raggiungere una decisione è necessario prevedere la possibilità di poter procrastinare i termini attraverso il raggiungimento di maggioranze qualificate incrementali.

Il sistema a maggioranze qualificate incrementali il tempo verrebbe allocato dinamicamente a partire della definizione di alcune scadenze.

Prendiamo ad esempio un processo partecipato diviso in fasi in cui la prima stabilisce come obiettivo la necessita di costruire, cooperando, l’informazione necessaria a supporto della decisione e rappresentazione del problema. Tempo allocato dalla comunità partecipante per questa fase un mese. l’obiettivo per passare alla fase successiva è che alla scadenza il 70% dei partecipanti sia soddisfatto dell’informazione prodotta. Quindi a distanza di un mese se il consenso espresso è superiore al 70% si può passare alla fase successiva. Se si raggiunge una percentuale più bassa invece vorrà dire che il consenso raggiunto sulla completezza dell’informazione è molto basso è quindi le visioni dei partecipanti sono talmente divese da portare all’interruzione del processo decisionale su quella singola proposta. La differenza del sistema a maggioranze qualificate incrementali invece pone l’accento sulla differenza dello stato di avanzamento del consenso ad ogni scadenza di fase. Invece di definire soltanto le situazioni al di sopra e al di sotto dello 70% nella valutazione dei risultati di fase si potrebbero identificare dei risultati intermedi entro i quali sia possibe procrastinare le scadenze. Ad esempio se dopo un mese il consenso raggiunto è al di sotto del 39% il processo deliberativo sul tema viene chiuso, se è tra il 40% e il 59% viene data la possibilità di una proroga di due mesi, mentre dal 60% al 69% si può ottenere una proroga di un mese. Nelle successive scadenze se si ottengono di nuovo le stesse percentuali il processo viene chiuso, se invece si riesce a passare alla fascia di consensi superiore si può ottenere un’ulteriore proroga o addirittura il raggiungimento dell’obiettivo di fase. Nel nostro esempio quindi, nel caso alla scadenza del primo mese si raggiunga un consenso tra il 40% e il 59% e si abbia quindi il rinvio della scadenza, dopo due mesi se il consenso è ancora fermo in questa fascia il processo si chiude altrimenti si ottiene un’ulteriore rinvio di un mese se si raggiunge almeno il 60% fino ad ottenere il passaggio di fase in presenza di un consenso del 70%.

La presenza quindi di scadenze dinamiche da un lato permetterebbe di stabilire l’acquisizione di una coscienza dei tempi entro i quali cercare di costruire il consenso intorno agli obiettivi di fase, dall’altra la necessità di ottenere ulteriore tempo sarebbe legata alla necessita di costruire una visione del problema sempre più condivisa e che tenda quindi a ridimensionare le visioni particolaristiche e a premiare i processi più cooperativi.

Siamo coscienti del fatto che stabilire scadenze scadenze rigide e introdurre un voto di maggioranza semplice al termine di ogni fase permettere di raggiungere decisioni in tempi più rapidi. Ma il fallimento del processo partecipativo stesso sarebbe proprio quello di rinunciare a costruire una visione comune attraverso il riconoscimento reciproco delle posizioni dei partecipanti ovvero della rappresentazione della realtà di sistema. Se all’interno del processo si viene a formare una maggioranza semplice intorno ad una certa soluzione o proposta in membri che si identificano in quella maggioranza sarebbero tentati di abbandonare il processo di costruzione cooperativa e attendere la scadenza dei termini definiti pur di poter esercitare il proprio potere al momento del voto.

Riteniamo quindi che la gestione dei tempi sia un’operazione delicata che determina fortemente la struttura stessa del processo partecipativo. Se da un lato la certezza delle scadenze può essere un fattore di responsabilizzazione e di sincronizzazione per il lavoro cooperativo dei partecipanti dall’altro, come abbiamo proposto, deve potersi adattare alle dinamiche di svolgimento del processo stesso premiando l’avanzamento delle proposte in cui aumenta il livello di condivisione tra i partecipanti.


Note