Economia collaborativa: origine ed evoluzione dell'approccio wiki e sua adozione nelle imprese/La nascita e l'evoluzione del Web/La transizione, ovvero il risveglio dal sogno

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La nascita e l’evoluzione del Web

La transizione, ovvero il risveglio dal sogno

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Sul finire dei “ruggenti anni Novanta” (STIGLITZ 2003) iniziò ad emergere un contrasto tra quanto affermato dai teorici del Web ed il modo in cui tali visioni trovavano realizzazione pratica. Se da un lato, infatti, gli studi sulle implicazioni competitive di internet sui mercati descrivevano una tecnologia in grado di generare trasformazioni radicali sul sistema economico e sociale (CRONIN 1994), d’altro canto tali cambiamenti non erano ancora visibili, se non in minima parte, agli occhi delle imprese e dei consumatori.

Una cosa era affermare che l’adozione delle tecnologie digitali del Web avrebbe consentito alle imprese di perseguire la mass customization (VALDANI 1995) o evidenziare l’impatto di internet in termini di maggior efficienza nei processi produttivi e di miglioramento dei livelli di qualità (CAMUSSONE 2000), altro era rendere concreti tali cambiamenti.

Si voglia per i limiti dei modelli di business adottati dalle imprese operanti sul Web o per il fisiologico lasso temporale che intercorre tra la definizione di un nuovo paradigma tecnologico e la sua affermazione, fatto sta che si era creato un divario tra quanto teorizzato e quanto realizzato in pratica. In altri termini le aspettative avevano di lunga superato la realtà ed una sorta di “euforia irrazionale”1 aveva preso il sopravvento trascinando le persone verso una enorme illusione collettiva (MACKAY 2000).

Non a caso tra il 1995 ed il 2000 si registrò un boom dei mercati azionari2 che consolidò la fiducia dei consumatori e stimolò gli investimenti nelle telecomunicazioni e nelle nuove tecnologie digitali. Quella che sarebbe stata riconosciuta successivamente come una bolla finanziaria, agì da traino per il sistema spingendo da un lato alla costituzione di nuove società con finalità puramente speculative e dall’altro all’adozione in molte imprese tradizionali delle tecnologie Web in modo scoordinato. Ciò in coerenza con il bandwagon effect (”effetto carrozzone”) descritto da ROSENKOPF e ABRAHMSON (1999) secondo il quale le innovazioni, anche se riconosciute come poco profittevoli, riescono comunque a diffondersi all’interno delle organizzazioni in contrasto con la teoria della scelta efficiente. La pressione sociale, spinta dagli opinion leader, fu tale da convincere anche i dubbiosi ad adottare dei modelli che già manifestavano limiti evidenti. Un tale approccio, basato sulla lettura dei segnali sociali relativi al comportamento degli altri attori, era del tutto svincolato dai contenuti dell’innovazione delle tecnologie Web.

Relativamente alle dotcom si ricordi la regola base sintetizzabile nel motto get big fast (“cresci rapidamente”) (SPECTOR 2002). Maggiore era il numero di clienti raggiunti in tempi estremamente rapidi e maggiore era il valore dell’impresa, anche a costo di operare in condizioni di non economicità e indipendentemente dal servizio offerto. Sul perché questo approccio rimase una peculiarità delle imprese operanti nella new economy e non fu adottato dalle imprese tradizionali consideriamo il modello di adozione dell’innovazione di Moore (Figura 3.4), evoluzione del modello omologo di Rogers (v. Figura 3.2). Tra le categorie proposte da Rogers (innovators, early adopters, early majority, late majority e laggards) esistono delle zone di discontinuità (MOORE 2002) nelle quali parrebbero essere cadute le dot-company. In particolare si evidenzia come il modello di business analizzato in precedenza non fu in grado di trasferirsi delle imprese innovatrici e visionarie a quelle pragmatiche (early majority) che necessitavano di modelli ben più solidi e con prospettive di lungo periodo.

Figura 3.4
Modello di adozione delle tecnologie di Moore. Si noti la zona di discontinuità tra le categorie degli early adopters e della early majority.

Fonte: Elaborazione da MOORE (2002)

D’altro canto, le imprese tradizionali, che si erano limitate ad utilizzare il Web con finalità di marketing attraverso attività di promotion dei prodotti e di potenziamento della brand awareness, non riuscirono a vedere i frutti del loro impegno. Per raggiungere gli obiettivi ipotizzati dai teorici del Web (maggiore efficienza dei processi, maggiore penetrazione sul mercato, maggiore personalizzazione dei prodotti), esse si limitarono a traslare i modelli tradizionali sui nuovi media senza sviluppare strategie dedicate usando in modo inefficiente le potenzialità del mezzo. La mancanza di comprensione delle caratteristiche peculiari del nuovo media le portò ad intraprendere investimenti che si rivelarono fallimentari. Due esempi su tutti: il mercato pubblicitario e l’informazione digitale.

Le potenzialità del Web come strumento per veicolare messaggi pubblicitari furono evidenti fin dall’inizio. Disporre di ipertesti permetteva alle imprese di inserire in spazi dedicati inserzioni interattive per promuovere i propri prodotti. Gli operatori del settore advertising (concessionarie, centrali media, agenzie) adattarono le logiche tradizionali vendendo spazi all’interno delle pagine (i così detti banner) che permettevano agli utenti di visitare i siti dei produttori. La valutazione dei costi per i clienti era basata sui modelli della carta stampata, quindi legati al numero di esposizioni che tali banner avrebbero avuto in un arco di tempo definito. Così facendo si perdeva di vista da un lato l’interattività del media, non vincolando il costo all’effettiva visita dell’utente al sito oggetto di pubblicità, dall’altro non si considerava la natura “anarchica” del navigatore che non apprezzava la presenza di pubblicità invasiva sul Web. Ciò portò ad errori di valutazione con conseguenti investimenti inefficaci da parte degli inserzionisti.

Emblematico poi è il caso dei portali informativi che vennero realizzati dalle testate giornalistiche come cloni delle versioni cartacee. Si riteneva che il target di riferimento fosse il medesimo e, di conseguenza, non venne usato un linguaggio dedicato e specifico per il Web. A gestire i contenuti furono ricercate professionalità della carta stampata (giornalisti, redattori e direttori responsabili) con indubbie competenze nel mondo reale ma senza capacità di comprendere le reali esigenze degli utenti. Il risultato fu che la tanto prospettata fine del giornalismo cartaceo a favore della versione digitale non si realizzò costringendo le imprese a tornare sui propri passi riconsiderando in modo radicale l’approccio usato.

Il Web si era evoluto da show room globale a terra di conquista per imprese la cui attività caratteristica era l’accrescimento della propria immagine e del proprio valore sui mercati finanziari piuttosto che la reale produzione di beni e di servizi3.

La successiva esplosione della bolla della new economy ebbe pesanti ripercussioni a livello globale colpendo in primis il “sistema” delle dotcom che ne uscì sconfitto. I tempi erano maturi per ripensare in modo critico e realistico al Web.


Note

  1. Espressione usata per la prima volta il 5 dicembre 1996 da Alan Greenspan, allora presidente del Federal Reserve Board, nel suo intervento all’American Enterprise Institute: “We can see that in the inverse relationship exhibited by price/earnings ratios and the rate of inflation in the past. But how do we know when irrational exuberance has unduly escalated asset values, which then become subject to unexpected and prolonged contractions as they have in Japan over the past decade?”.
  2. L’indice composito Nasdaq passò da 500 dell’aprile 1991 a 1000 nel luglio 1995, a oltre 2000 nel luglio 1998 fino a 5132 nel marzo del 2000 (STIGLITZ 2003, p. 5).
  3. A titolo d’esempio si consideri che nel momento in cui la bolla scoppiò (seconda metà del 2000), il 97% delle fibre ottiche che secondo i piani delle imprese di telecomunicazioni avrebbero dovuto essere operative in breve tempo non avevano visto la luce o non erano state mai usate (STIGLITZ 2003, p.8).