Edgar Poe/Parte settima
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Per questo, per questa stessa ampiezza fuor d’ogni regola e d’ogni controllo, le qualità di Poe, come uomo rappresentativo, sfuggirono agli sguardi dei suoi contemporanei e dei biografi.
Eppure, com’è americano lo scrittore che, in quei lontani tempi, per dare salde basi alla progettata rassegna "Stylus", formulava l’idea di una società fra i dodici maggiori letterati, che s’accaparrasse e dominasse il pubblico: trust vero e proprio, ma in anticipo! Com’è americano il novelliere che, fondendo assieme arte e commercio, costruiva le facezie L’angelo del bizzarro e L’uomo senza fiato per battere la gran cassa a qualche prodotto industriale! Com’è americano lo spirito mistificatore, che suggerì a Poe tanti colossali scherzi e lo stimolò a comporre addirittura un Saggio sulla mistificazione!
Il diario di Giulio Rodman, giornalista inviato a esplorare le Montagne Rocciose fra le insidie dei pelli-rosse, La traversata dell’Atlantico in pallone, resoconto di un avvenimento favoloso per quell’epoca, in cui l’aereonautica era ancora in fasce, La scoperta di von Kempelen, alchimista moderno occupato a fabbricar oro artificiale, La rivelazione mesmerica, tuffo nel tenebroso regno dei fenomeni medianici, La filosofia della composizione, atroce beffa di un poeta avido di raggirare il mondo e, anche, sè stesso, stupirono profondamente il pubblico degli Stati Uniti e s’imposero per un momento alla sua credulità. Nessuno scrittore di altra razza avrebbe potuto creare queste gigantesche mistificazioni. E nessuno scrittore avrebbe potuto, al pari di Edgar Poe, presentarle con caratteri di verità così suggestivi e, in pari tempo, raggiunti con tale spontanea semplicità di mezzi.
Anche l’amore per il paradosso è qualità fondamentale del popolo americano e fulcro dell’opera artistica di Poe. E come il "bluff", nel mondo affaristico della giovine razza desiderosa di aprirsi una strada, diveniva realtà pratica, così le paradossali concezioni acquistavano, nelle pagine del geniale scrittore, consistenza di verità assoluta. Oggi, siamo avvezzi alle audacie scientifico-utopistiche degli imitatori di Poe, da Verne a Wells, da Villiers de l’Isle-Adam a Carlo Dadone. Ma esse non ci consenton mai di toglierci dal campo del fittizio e del fantastico, dall’atmosfera della letteratura, anche se questa sia destinata, come accadde per l’ingegnosissimo Verne, a tradursi, poi, in realtà di scoperte scientifiche. Con Edgar Poe, le cose procedon diversamente. La sua arte di donar colori di naturalezza all’assurdo era tale, da trarre ognuno in inganno. Anche questa è vera virtù americana: virtù, per la quale il paradosso è concepito e formulato con così esperta meticolosità, con così stringenti argomentazioni, da apparire non fantastico, ma solidamente reale. Per comprenderne la forza convincitrice, basta leggere, per esempio, La verità sul caso del signor Valdemar. Ogni frase è calcolata per l’effetto finale e onde dare a questo l’indiscutibile apparenza del vero. Attraverso un resoconto giornalisticamente semplice e trasandato nella forma, scrupoloso nei particolari, svolto come una rete sempre più fitta, sempre più catturante, il paradosso mistificatore si sviluppa con una tale naturalezza e con una logica così ferrea da non far dubitare, neanche per un attimo, che ci troviamo, anzichè nel mondo dei fatti, nel regno dell’immaginazione. La minuzia del resoconto, sciorinato con placida indifferenza di giornalista avvezzo a non meravigliarsi di nulla, e il susseguirsi di episodii, tutti possibili se non probabili, non ci porgon modo nè agio di soffermarci a controllare le nostre impressioni, a indagare se vi sia tranello. E il brusco scioglimento ci sorprende così fulmineo, da non permetterci di ragionare sovr’esso. Per un attimo, lo vogliamo o no, abbiam creduto a quel corpo di uomo ipnotizzato in punto di morte, che si trasforma rapidamente in putredine sotto l’opera risvegliatrice del magnetizzatore: per un attimo, lo vogliamo o no, siamo rimasti vittime della mistificazione.
Ma il desiderio del paradosso, in un temperamento sensibile ed eccessivo, si risolve sempre in un amore per l’assurdo in sè, per il mistero, qualunque esso sia. E l’anima irrequieta di Poe, la sua natura di profondo analizzatore, bramoso di risolvere i problemi più difficili e più astrusi, dovevan necessariamente spingerlo a non accontentarsi di semplici giuochi mistificatori, ma a volgersi con ardore verso i regni più inesplorati del mondo umano e trascendentale.
Anche qui, ritroviamo in Poe i caratteri della sua razza. Egli possiede, difatti, in sommo grado, la massima virtù americana, l’abbagliante luce che rischiarò il cammino agli Stati Uniti: la facoltà, ossia, essenzialmente pratica del calcolo, che permette di risolvere qualunque difficoltà teoretica e, ben adattando i mezzi allo scopo, di trasformare la teoria in realtà. Poe era troppo privo dell’arma più efficace nella lotta per l’esistenza, la volontà, e, inoltre, seguendo i propri sogni di poeta, troppo disdegnava il mondo reale per poter trarre frutto, nella vita quotidiana, da questa sua virtù di calcolatore. Ma, a differenza degli scrittori di altre razze, egli non fu soltanto un letterato: fu un uomo che, quando circostanze speciali lo esigevano o lo consentivano, abbandonò il campo astratto dell’arte e passò, senza sforzo alcuno, nel campo concreto dei fatti. Allorchè componeva Lo scarabeo d’oro, basandolo sovra l’interpretazione di un criptogramma, che rivelerà l’esistenza di un tesoro sepolto nella foresta, Poe era un novelliere. Ma era un uomo pratico, un analizzatore pronto a risolvere problemi reali allorchè, nel "Graham’s magazine", affermava di poter spiegare qualunque criptogramma e decifrava veramente tutte le innumerevoli scritture a chiave e a segreto, inviate da ogni parte degli Stati Uniti in risposta alla sua sfida orgogliosa. E allorchè scriveva Il doppio assassinio di via Morgue e La lettera rubata, creando il personaggio del poliziotto dilettante Augusto Dupin, progenitore dei Lecoq e degli Sherlock Holmes, era un novelliere intento a schiarire con l’analisi i complessi enigmi fabbricati dalla sua stessa fantasia. Ma era un meraviglioso indagatore della realtà allorchè, nel Mistero di Maria Roget, trasformava un delitto, effettivamente avvenuto, in una trama di racconto e additava il colpevole, rimasto sino a quel momento nell’ombra nonostante le ricerche della polizia, o allorchè, nel Giuocatore di scacchi di Maelzel, con acuto e stringente raziocinio rivelava l’esistenza di un trucco e la cooperazione della mente umana nel giuoco dell’automa, da tutti ritenuto un semplice meccanismo, e non solo affermava che il fantoccio era manovrato e diretto da un giuocatore in carne ed ossa, benchè invisibile, ma additava sin anche il nascondiglio di questo.
Infaticabile ricercatore d’ogni mistero, Poe volge la propria attenzione non solo verso il mondo dell’anima umana, bensì pure verso il mondo fisico, esplorando i liquidi abissi di un vortice oceanico con Una discesa nel Maelstrom, l’enigma del Polo Sud col romanzo Avventure di Arturo Gordon Pym, i segreti della vita lunare con L’impareggiabile avventura di un certo Hans Pfaal, e l’intiero universo col poema cosmogonico Eureka.
Ma, qui, un altro elemento, prettamente poetico, entra in giuoco, a dar ali più grandi all’analisi: la fantasia. Meravigliosa fantasia, dolce e prepotente amica, che con morbide dita duramente ci avvinghi per trarci fuori dalle stagnanti acque della realtà e trasportarci rapida verso i tumultuosi oceani del sogno! Non hai necessità, tu, di teorie einsteiniane nè di volanti cocchi per attraversare il tempo e lo spazio e sopprimerli. E un tuo bacio, rovente sigillo sovra il nostro gelido volto di uomini, basta per far crollare, attorno a noi, le alte monotone muraglie della vita giorno-per-giorno e le saracinesche, elevate da una scienza beffarda tra le nostre limitate possibilità e i nostri desiderii infiniti. Per te soltanto, o fantasia, noi dimentichiamo i nostri impacci e le nostre abiezioni di creature di carne e ci consoliamo di esistere. E il tuo bacio, distruggendo il tempo e lo spazio, ci trasforma in Iddii.
Ed ecco che, guidato da te, il poeta esplora i misteri del cielo e della terra. Passano, accanto al suo volo veloce, i globi di fuoco degli astri, roteanti fra abissi di tenebre, e ondulan veli di nebulose, stringendosi con lunghi brividi attorno ai lor nuclei d’oro, e sfreccian comete, sferzandolo per un attimo col vivo barbaglio della lor coda di scintille. Poi, stordito da quel pellegrinaggio fra mezzo a una ridda di giganti, il poeta ripiomba sul piccolo mondo terrestre per chiedere al Tempo emozioni meno violente di quelle, offertegli dallo Spazio. Ed ecco che, percorrendo a ritroso le epoche, egli vede risorger dall’acque lo spetro di un passato scomparso senza lasciar traccia alcuna di sè. Innanzi agli occhi smarriti l’Oceano si apre, lasciando sbocciare una vasta distesa di luminosi continenti. E, dapprima, appare l’Atlantide con le sue città dalle porte d’oro e con i suoi rossigni abitatori: e sembra un immenso ponte proteso fra le terre dei rossigni egizi e le contrade, ricche d’oro, degli aztechi. Quindi sorge la Lemuria, incastrandosi nelle profonde insenature dell’India: e i suoi bruni abitanti mostran le stesse feroci subdole pupille dei selvaggi pirati degli arcipelaghi rimasti sovra la superficie dell’acque come ultimo segno di monti inghiottiti per sempre.
Quante cose, o fantasia, tu rievochi! E l’uomo, pur sbiancando di paura, ti ama e chiede di continuo il tuo aiuto. Questo amore e questa richiesta non si manifestano, forse, sin dalla prima infanzia? Le manine del bimbo, tese verso la buona nonna perchè racconti una fiaba, e gli occhioni sgranati mentre si parla degli orchi cattivi e delle fate protettrici non sono, forse, i primi segni del desiderio? E, più tardi, la nostra avidità di scorrer pagine, ove si narrin viaggi in terre lontane e avventure fra genti ignote, che altro significa, se non l’istintiva tendenza ad abbandonare il mondo della realtà quotidiana per il regno della fantasia? Che importa se i viaggi e le avventure rappresentino un’altra realtà? Quelle terre sono lontane e quelle genti sono ignote. Ciò basta perchè il sogno possa liberamente tesser la propria trama aerea, festonando contrade ed uomini come la neve festona i secchi rami degli alberi.
Ma, alla fantasia di Edgar Poe, non sono sufficienti i mondi noti ed ignoti. Travolto dalla curiosità, egli penetra arditamente nei misteri dell’oltretomba, aprendo vertiginosi spiragli con la Conversazione d’Eiros e Charmion, ove divampa il cataclisma, da cui la nostra terra sarà annientata, col Colloquio tra Monos ed Una, che segue passo per passo la creatura avviata dalla vita alla morte, con I ricordi di Augusto Bedloe e con Metzengerstein, suggestive indagini sulla trasmigrazione dell’anima, con Possanza della parola, ove, slanciandosi con audace ala a traverso l’infinito, egli strappa all’eterno enigma il segreto della creazione delle stelle.