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Egloghe (Chiabrera 1834)/IV

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III V
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IV

DAMONE

Sparita ancor non era la Dïana,
     Che nell’orto n’entrai del buono Ameto,
     3E mi lavai le man nella fontana;
E le più fresche foglie del laureto
     E spico colsi, che fioriva intorno,
     6E colsi sermolino, e colsi aneto.
Poi come al Mondo fe’ vedersi il giorno,
     M’ha condotto ardentissimo desío
     9Il tuo caro sepolcro a farne adorno.
Qui ti verso con l’erbe il pianto mio,
     E qui ritornerò mesto sovente:
     12Addio già Tirsi, ed ora polve, addio.
Ma qual fiero latrato oggi si sente?
     Forse nel sangue dell’inferma greggia
     15L’insidïoso Lupo inaspra il dente?
Ah Dio, che tanto male oggi non veggia!
     Melampo, già tu sai, che in fedeltate
     18Can di pastore alcun non ti pareggia:
O ben difese, o belle torme amate,
     Di latte fecondissimo drappello,
     21Solo sostegno alla mia stanca etate:
Per ombra di sì fresco valloncello,
     Ove sì dolci corrono l’aurette,
     24Ove sì chiaro mormora il ruscello,
Itene pecorelle, ite caprette,
     Mandra forse non è, che in altro prato
     27Aggia da pascolar sì molli erbette.
Venturoso terreno, aër beato,
     In cui nebbia pestifera non siede,
     30Cui non depreda peregrino armato.
Move il pastore alla cittate il piede,
     Ivi cangia con ôr candida lana,
     33Poscia sicuro a sua magion sen riede;
Ogni molestia va di qui lontana;
     Si vuole il gran Signor, che Arno corregge,
     36Dell’occhio suo non è la guardia vana.
Quinci su tante scorze oggi si legge
     Scritto suo nome, ed in cotanti accenti
     39Odon suo pregio ricordar le gregge.

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Ed io cantando di soavi venti
     La ben cerata mia sampogna empiea,
     42Finchè in tiepidi pianti, ed in lamenti
M’ha posto, Tirsi, la tua morte rea.