El libro dell'amore/Oratione II/Capitolo II

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Oratione II - Capitolo II

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Come la bellezza di Dio partorisce l’amore.

E questa spetie divina, cioè bellezza, in tutte le cose l’amore, cioè desiderio di sé, ha procreato. Imperò che se Idio ad sé rapisce el mondo e el mondo è rapito da lui, un certo continuo attraimento è tra Dio e el mondo, e da Dio comincia e nel mondo passa, e finalmente in Dio termina, el quale come per un certo cerchio donde si partì ritorna. Sì che un cerchio solo è quel medesimo da Dio nel mondo, e dal mondo in Dio, e in tre modi si chiama: in quanto e’ comincia in Dio e allecta, bellezza; in quanto e’ passa nel mondo e quello rapisce, amore; in quanto, mentre che e’ ritorna nell’Auctore, a·Llui congiugne l’opera sua, dilectatione. L’amore adunque cominciando dalla bellezza termina in dilectatione. E questo intese Ieroteo e Dionisio Ariopagita in quel loro inno preclaro, nel quale così questi teologi cantarono: «Amore è un cerchio buono el quale sempre da bene in bene si rivolta». E necessario è che l’amore sia buono, con ciò sia che lui, nato da bene, si ritorni in bene; perché quel medesimo iddio è la bellezza el quale tutte le cose desiderano, e nella cui possessione tutte si contentono, sì che di qui el nostro desiderio s’accende, qui l’ardore degli amanti si riposa: non che si spenga, ma perché e’ s’adempie. E non sanza ragione Dionisio aguaglia Iddio al sole: imperò che sì come el sole illumina e corpi e scalda, similmente Iddio lume del vero agli animi concede e ardore di carità. Questa comparazione del sexto libro della Republica di Platone certamente in questo modo come udirete si trae. Veramente el sole e corpi visibili crea, e così gli occhi co’ qual’e’ si vede; e acciò che gli occhi veghino infonde in loro spirito rilucente, e acciò che e corpi sieno veduti questi di colore gli dipigne. Né ancora el proprio razzo agli occhi, né e proprii colori a’ corpi all’uficio del vedere sono abastanza, se già quello lume che è uno sopra tutti e lumi, dal quale lume molti e proprii lumi agli occhi e a’ corpi sono distribuiti, in loro non discenda e quegli inlumini, desti e aumenti. In questo medesimo modo quel primo acto di tutte le cose el quale si dice Idio, producendo le cose, a ciascuna ha donato spetie e acto, el quale acto certamente è debole e impotente alla executione dell’opera, perché da cosa creata e da patiente subiecto fu ricevuto. Ma la perpetua e invisibile unica luce del divino sole sempre a tutte le cose, con la sua presentia, dà conforto e vita e perfectione. Della qual cosa divinamente cantò Orfeo, dicendo esso Iddio confortare tutte le cose e sé sopra tutte spandere. In quanto Iddio è acto di tutte le cose e quelle aumenta, si chiama bene; in quanto egli secondo le loro possibilità le fa deste, vivaci, dolce e grate e tanto spirituali quanto esser possono, si dice bellezza; in quanto egli allecta quelle tre potentie dell’anima, mente, viso e audito, agli obiecti che hanno a essere conosciuti, pulchritudo si chiama; e in quanto, essendo nella potentia che è apta al conoscere, quella congiugne alla cosa conosciuta, si chiama verità. Finalmente come bene crea e regge e dà alle cose perfectione, come bello le illumina e dà loro gratia.