Epistolario di Renato Serra/Alla madre - 1 giugno 1905

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Alla madre - 1 giugno 1905

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Alla madre - 1 giugno 1905
A Luigi Ambrosini - 30 maggio 1905 Al padre - 14 giugno 1905

...., 1 giugno 1905.


Mia cara mamma,

anche oggi è passato, senza ch’io (sia) stato messo in uscita; quel capitano è un benedett’uomo - così in breve non te lo posso descrivere - che quando ha trovato uno che gli serve, prima di lasciarlo scappare fa il sordo per un bel pezzo. Ha un certo modo di fare, accumulando oggi tanti mai incarichi e lavori per domani e posdomani etc., di dirgli: "Ma, signor Capitano, oggi io ho bisogno di andarmene". Sembra che ci sia una tacita intesa di considerare quell’incarico come un ufficio regolare, di quelli che non si possono assolutamente abbandonare a proprio capriccio; e quando son là dentro ne son mezzo persuaso anch’io, e quando dica il mio desiderio d’uscire lo dico così timidamente e con tanta incertezza, che mi sembra più che naturale che lui non ne tenga troppo conto. Tuttavia questa mattina m’ha promesso che per lo Statuto sarò fuori. Del resto stare all’Ospedale qualche giorno ddi più non è certo un gran male; ma, sebbene io sia molto pigro a decidermi, anzi forse per questo, quando ho deciso di muovermi, vorrei sempre precipitare l’azione; tutte le ore che aspetto prima di averla compiuta mi sembrano perdute, che non continuo. Così è ora; poichè ho deciso di partire, e non posso più cullarmi nel pensiero di un soggiorno quasi indefinito, questi giorni son sciupati e non li godo come vorrebbe la loro bellezza. Ah, che bellezza! press’a poco sarà così anche da voialtri; dopo le piogge e l’umidore della settimana scorsa, è arrivata tutta d’un colpo l’estate, sfolgorante; sempre quella e sempre nuova; più bella poi qui all’Ospedale dove le camerate bianche e il giardino verdissimo e ombroso sembrano fatti apposta per rivelarne tutti gli aspetti e tutto lo splendore.

Che differenza dal Giugno di quest’anno a quello dell’anno scorso; io non vorrei parlartene perchè certi ricordi che fanno tanta pena a me, ne devono fare anche a te. Ma non posso fare a meno. Non ho mai pensato tanto lungamente, non ho mai avuta così vivace l’imagine di quei tempi come ora, in questi giorni luminosi che passo per tanta parte solo solo con le mie memorie e le mie fantasie. Ritrovo lo stesso sole mattutino che allora m’abbarbagliava gli occhi stanchi rientrando dopo la vegli di tutta quella notte; lo stesso cielo purissimo, le stesse ondate di calore, le stesse sensazioni che allora tratto tatto mi svegliavano per qualche minuto dal torpore febbrile che durò tanti mesi; e con le sensazioni che risento improvvisamente quasi nella mia carne nel mio corpo d’oggi, anche tutto il resto; tutta la febbre, l’ubbriacatura, e l’abbandono, e la vergogna, e il dolore, e la viltà di quei tempi. Non allora quando di minuto in minuto dimenticavo, per forza di cose a cui la mia volontà si piegava contenta, il minuto e l’ora che eran prima passate; ma adesso che posso vedere tutto e tutto insieme quello che ho fatto della mia vita l’anno scorso, posso capire quanta miseria sia stata quella. E che angoscia solo a ripensarla! Sarei per credere che il ...... e l’avvilimento impressi in me da quella lunga cieca abitudine di bassezza, dovessero durare immedicabili e incancellabili se non trovassi dentro di me una sola cosa migliore d’allora; non il volere o l’intelligenza o la dignità, che forse sono anche pensati, ma l’affetto e l’amore per voialtri; il dolore così profondo e così penoso del male che vi feci, dei denari che sperperai, e della confidenza ingannata, e dell’affetto sciupato; di tuttociò insomma che mi opprime ancora così forte, che non so se mai riuscirò a dimenticarlo io e a farlo dimenticare a voialtri. Almeno, son certo che il desiderio che ho solo e grande di farvi sentire quanto bene vi voglio e quanto vorrei darvene qualche prova cara e visibile, che ombrasse un poco in voi e anche in me quei ricordi tristissimi, mi darà un poco di forza operosa, che in nessun altro luogo potrei trovare.

E lasciamo di parlare di questo. Per parlare di qualche cosa di molto vicino: la mia gran voglia di venire a casa. Quando penso che se io volessi potrei avere firmato forse anche domani un foglio di licenza, mi bisogna proprio un coraggio ben fermo per convincermi che invece devo prendere la via della caserma. D’altronde non posso fare altrimenti; anche un ufficiale (tal Viti, tenente del 47°, amatore appassionato e ardente, se non troppo ben corrisposto, delle lettere e dell’arte, ch’io ho conosciuto per via di Bucci e Del Fabbro, e che ora, venuto all’Ospedale per un male del genere del mio, mi ha colmato di gentilezze e mi avrebbe voluto sempre con lui, quasi ammirato della mia conversazione) mi ha consigliato a rientrare al più presto, e senza licenza- E così via. Se mi sarà possibile, per altro, farò questo: mi farò dare di qui un po’ di licenza - o almeno un lungo riposo, per poi fare il bel gesto di rinunziarvi arrivando al Plotone - ciò che spero mi rialzerà nella stima degli ufficialie mi aiuterà, se molto più avanti avrò voglia di una "piccola licenza" per venirvi a fare un saluto prima del campo, ad ottenerla- In questi giorni poi è tornato anche Nino e la casa non sarà più così sola.

E infine poi non c’è nessuna necessità igienica che mi obblighi o mi inviti a un più lungo periodo di riposo; rade volte mi son sentito così bene come ora; la cura delle doccie fredde che faccio ogni giorno da più di due settimane e il regime di vita che seguo qua dentro hanno fatto, come almeno a me pare, miracolo per la mia salute. Del resto basta che io ti descriva schematicamente la mia giornata - perchè non ho spazio nè tempo da cantarne le lodi particolari e deliziose con quell’abbondanza che meriterebbe (non mi sono mai trovato così eloquente come nell’esaltare tutte le bellezze e le gioie tranquille di questo soggiorno, a chiunque me ne parli), - mi sveglio alle 5 e m’alzo alle 7 e vado a letto alle 9; alle 11 e alle 5 mangio, da mezzogiorno alle 2 faccio la siesta, alle 3 la doccia, con un po’ di ginnastica per reazione. Del resto meno le 2 ore che perdo col capitano, sono sempre a vagabondare; - adesso non è come dai contagiosi, posso girare tutto l’Osp. - o a leggere o a chiacchierare in qualche cantuccio del giardino. Mangio roba sana e ottima; caffè e latte - minestra - mezza porz. di arrosto o cotoletta, o mezza di pollo; mattina e sera; per molto tempo ho avuto latte, ed ora la pasta asciutta in più. I piantoni mi procurano pane, che m’è dato scarsissimamente e un po’ di frutta, o di formaggio o di burro per finir di contentare il mio appetito che in certi giorni non par mai sazio. Come non potrei star benone? L’unica cosa che mi secchi è di aver speso più soldi che non credessi; certo molto meno di quelli che se ne sarebbero andati al reggimento, ma fra una cosetta e l’altra non pochi. Quando uscirò. delle 60 lire che hai mandato a Ridolfi - detratti quel che aveva già speso per me - mi resteranno circa 41 o 42 lire, tanto da arrivare fino al 22 o 23 circa del mese. Mi sbaglio, di 16, perchè devo anche pagare la mesata scaduta della camera. Te lo dico fin d’ora per non doverti richiedere all’improvviso.

Quando uscirò, andrò da Allocatelli1; non in borghese perchè non mi succeda come al mio amico Zurlo - il più simpatico a me di parecchi colleghi con cui ho stretto in poco tempo rapporti di molto buona amicizia - che, senza esser stato visto da nessun superiore, per una denunzia indiretta, s’è buscato 10 giorni di prigione. Mi dispiace di avere mostrato tanta riluttanza a soddisfare un desiderio del papà; ma io non gli posso rappresentare con parole quanta noia e disturbo mi rechi questa, che può parere una piccolezza; certo molto più grandi per me, che non il piacere che la cosa può recare a lui. Tu sai bene quanto impacciato io mi trovi in certe circostanze, e più con questi panni; io non nè presentarmi, nè parlare, nè salutare, nè fare alcuna di quelle sciocchezze che compongono una visita, di maniera soltanto decente; e per bene educato non mi importi in astratto nè punto nè poco, anzi in molti casi mi procuri una certa soddisfazione interiore; in realtà poi, e specialmente quando mi ci debbo preparare prima, mi dà una certa irritazione fisica, che mi secca forte.

Del resto oramai che è venuto a cercarmi fino all’Ospedale non ho più nessuna scusa possibile per non andare. E speriamo che ciò m’aiuti a venire da sottotenente a Cesena.

Avrei ancora un’infinità di cose da dirti; ma la carta mi manca, e non voglio cadere da un eccesso in un altro, arrivando a seccarti con troppe chiacchiere. A poco per volta, finirò di vuotare il sacco. Qiando torno al plotone voglio prendere un poco l’abitudine di un mio compagno, anzi, il solo ch’io abbia veramente invidiato; perchè per tutto il tempo che ha libero non fa altro che occuparsi dei suoi lontani, scrivendo alla mamma al babbo ai fratelli; vivendo insomma in ispirito con loro ininterrottamente. Ciò che, sebbene egli non brilli nè per ingegno nè per altre doti singolari, me lo fa parere invidiabile e quasi felice malgrado tutte le noie della Caserma. tanti baci ai fratelli, al papà e tanti tanti a te dal tuo.

P.S. - Ho ricevuto oggi la tua cartolina. Grazie.

Note

  1. Vittorio Allocatelli, di Cesena, amico del padre dott. Pio, allora Consigliere di Stato a Roma.