Facezie (Poggio Bracciolini)/112

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CXII. Di un uomo illetterato che chiese all’Arcivescovo di Milano la dignità d’Arciprete

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Poggio Bracciolini - Facezie di Poggio Fiorentino (1438-1452)
Traduzione dal latino di Anonimo (1884)
CXII. Di un uomo illetterato che chiese all’Arcivescovo di Milano la dignità d’Arciprete
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CXII

Di un uomo illetterato che chiese all’Arcivescovo

di Milano la dignità d’Arciprete.


Lamentavamo un giorno la triste condizione dei tempi, per non dire degli uomini che tengono le alte cariche della Chiesa, poichè, messi da parte gli uomini dotti e prudenti si inalzano gli ignoranti che non hanno valore alcuno. E disse allora Antonio Lusco: — Ciò non avviene tanto per colpa del Pontefice, quanto per quella dei principi, presso i quali vediamo essere in auge gli uomini schiocchi e ridicoli, e disprezzati invece quelli che eccellono per dottrina. Eravi, soggiunse, alla corte di Cane il vecchio, signore di Verona, un uomo giovialissimo di nome Nobile, rozzo e ignorante, ma che in grazia delle sue facezie era venuto molto accetto a Cane, e per questo, poichè era chierico, in possesso di molti benefizi. Una volta che Cane all’antico Arcivescovo di Milano, che governava la città, mandò ambasciatori uomini di gran fama, Nobile si unì a loro. Dette le ragioni per le quali erano stati mandati, volevano gli ambasciatori ritornarsene, e l’Arcivescovo, cui Nobile, che era uomo di facili parole avea mosso il riso, disse a questi di chiedere ciò che da lui volesse. E Nobile gli chiese una importante dignità di Arciprete. E l’Arcivescovo allora, ridendo della stoltezza dell’uomo: “Voi vedete, gli disse, che tale carica non è proporzionata alle vostre forze, perchè voi siete un uomo ignorante delle lettere, ed assolutamente incolto.” E a lui, pronto e con grande franchezza, rispose Nobile: “Io faccio secondo il costume del mio paese: a Verona agli uomini di lettere non si dà alcuna cosa e agli illetterati ed agli ignoranti si conferiscono i benefizi.” Ridemmo tutti del faceto detto dell’uomo, che riputava che ciò che stoltamente si faceva a Verona dovesse farsi ugualmente dappertutto. —