Vai al contenuto

Favole (La Fontaine)/Libro nono/II - I due Piccioni

Da Wikisource.
Libro nono

II - I due Piccioni

../I - Il Depositario infedele ../III - La Scimmia e il Leopardo IncludiIntestazione 16 ottobre 2009 50% raccolte di fiabe

Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro nono

II - I due Piccioni
Libro nono - I - Il Depositario infedele Libro nono - III - La Scimmia e il Leopardo

 
Da un pezzo insiem vivevano
due teneri Colombi innamorati,
quando l’un d’essi un dì, forse già sazio
della sua casa o dal desìo trafitto
di vedere paesi inesplorati,
volle partir.
- Fratello, - all’infedele
disse l’altro, il dolor delle sue pene
premendo in cor, - fratello, a chi vuol bene
l’assenza è un mal crudele.
A te forse non pare
così crudel? oh almen potesse il danno
e d’un lungo viaggio il lungo affanno
il tuo grande coraggio sgomentare!
Aspetta almeno che il tornar di Zefiro
april rinnovi. Ascolta, ascolta il torvo
grido che manda il corvo.
Dal dì che tu sarai lunge e sul mare,
falchi soltanto ed orridi
sparvieri io sognerò: te in pena, in pianto
sempre vedrò, senza pan, senza tetto,
e non potrò, diletto, esserti accanto -.

A queste voci che nel cor gli scendono
stette il Colombo in forse,
ma poi sì forte è il desiderio e tanta
ribellion nell’anima gli corse,
che disse: - Orsù, non piangere
che presto tornerò. Bastan tre giorni
al desiderio di veder le belle
contrade dei dintorni.
Di mie venture poi minutamente
ti conterò, fratello, le novelle,
e romperan la noia
del soggiornar. Colui che non si muove
non ha mai da contare cose nuove,
mentre udendo le mie strane avventure,
ti sembrerà di viaggiar tu pure -.

Quindi, piangendo, si scambiar l’addio.
Parte il viaggiator, ma fuori appena
non è che l’uragano si scatena
dal ciel sul pellegrino.
Vola e cerca un ricovero il tapino
a un tronco solitario
che male lo raccoglie
tra le battute foglie.

Quando torna il seren, prende coraggio,
asciuga come può l’umide penne
e mettesi in viaggio.
E va, finché non giunge a un campicello
ove un piccione messo per zimbello
lieto saltella. Un gran desìo lo piglia
d’esser con lui, discende,
v’era un laccio nascosto e vi s’impiglia.
Fortuna o il ciel l’aiuta. Il vecchio laccio
i colpi e le strappate non sostenne,
onde col danno di non molte penne
ei poté facilmente uscir d’impaccio.
E mentre ei fugge, simile a un forzato
che nella fuga si trascina al piede
la sua catena, ecco a sinistra scendere
un avvoltoio, che a ghermirlo l’unghie
ferocemente rota.
E sarebbe per lui certo finita
la storia della vita,
se dall’alto del ciel non fosse un’aquila
coll’ali aperte uscita.

Mentre i due ladri vengono alle prese,
il piccion l’ali sue rapido stese
in altra parte e si appiattò sicuro
dietro un antico muro.
Ma un fanciulletto, ancora in quell’età
che non sente pietà,
con un colpo di fromba lo sorprese
e mezza fracassò l’ala al meschino.
Imprecando alla sua curiosità
e al suo crudel destino,
zoppicando del piè, l’ala trafitta,
col suo compagno amato
mezzo ammazzato torna alla soffitta
il mesto pellegrino.

Innamorati, o cari innamorati,
se vi piglia desìo di cose ignote,
non andate a cercar spiagge remote,
ma in voi cercate ciò che vi consoli.
Potete tra voi soli
essere l’un per l’altro il più giocondo
e il più vario spettacolo del mondo.
Il vostro amore vale l’universo
e il resto è tempo perso.
Anch’io talvolta amai; ma la superba
dimora del Gran Re, l’Olimpo, il mare,
il dolce bosco non valeano e l’erba
che di lei mi faceano innamorare.
Ed ella pastorella
d’amor giovine e bella
de’ suoi passi fiorìa,
de’ suoi guardi schiarìa l’erba ed i fiori.
Io primo fra i pastori
al figliuol di Citera il giuramento
prestai contento e sotto la bandiera
militai del figliuolo di Citera.
Ahimè! passâr quei tempi e non vedrò
tornar l’aprile della vita mia.
Come resister può
l’alma inquieta a tanti
e così dolci incanti?
Oh se il mio vecchio cuore
bruciasse ancora dell’antico ardore!
Non sentirò più mai d’una magìa
il filo che mi arresta?
Passò d’amor, passò d’amor la festa?