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Favole (La Fontaine)/Libro ottavo/XXVI - Democrito e gli Abderiti

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Libro ottavo

XXVI - Democrito e gli Abderiti

../XXV - I due Cani e l'Asino morto ../XXVII - Il Cacciatore e il Lupo IncludiIntestazione 16 ottobre 2009 50% raccolte di fiabe

Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro ottavo

XXVI - Democrito e gli Abderiti
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Sempre in uggia mi fu l’ingiusto e scempio
e temerario giudicar del volgo,
che sol da sé piglia misura e legge
e le cose di false ombre confonde.
Ben ne fece a’ suoi dì l’esperimento
d’Epicuro il maestro, a cui non valse
l’alto saper. Pei piccoli saccenti
della città, Democrito non parve
che un pazzerello... O dèi, quando s’è visto
alcun profeta in mezzo a’ suoi? Ma pazzi
eran questi Abderiti il dì che un messo
mandarono ad Ippocrate, chiedendo
con lettere a quel medico divino,
che venisse a guarir del dotto amico
il malato cervel. - Vieni e vedrai -
dicean gli stolti - vaneggiar la mente
di sì grand’uomo dalla nebbia involta
dei libri, che saria certo men danno
s’ei non sapesse decifrar dei libri
manco i cartoni. Udrai com’egli sogna
di un infinito numero di mondi,
ch’ei forse vede d’altri pazzerelli
come lui popolati. E ancor discorre
d’atomi erranti, poveri fantasmi
del suo cervel che danza, e senza il piede
metter fuori dell’uscio, egli pretende
i cieli misurar, descriver fondo
a tutto l’universo e non conosce
il poveretto il mal che lo consuma.
Una volta ei sapea nelle contese
conciliar le discordie, oggi in se stesso
rinchiuso parla sempre ruminando.
Vieni, o divino medico, o non resta
altra speranza -.

Ippocrate alla gente
non crede troppo, ma a trovar si avvia
l’illustre infermo. Ora vedrete quali
incontri giochi spesso la fortuna!
Voglio dire che Ippocrate sorprese
il dotto pazzerel curvo ed intento
all’ombra fresca e d’un ruscello in riva
a ricercar per entro ai laberinti
d’un cervello ove sede abbia ragione,
e dove amor, negli uomini e nei bruti.

Molti grossi volumi accatastati
erano in terra, e in suo pensier rapito,
Democrito non vide il suo diletto
amico che venìa. Brevi i saluti
furono e i complimenti, e si capisce,
ché il perder tempo a chi più sa più spiace.
Messi in disparte i frivoli argomenti,
cominciaron i due grandi maestri
a cercar le cagioni alte del Bene,
sull’uom sillogizzando e sullo spirito,
parlando cose che il tacere è bello,
sì com’era il parlar colà dov’era.

Giudice cieco qui ti mostra il fatto
il volgare giudizio. E scarsa io presto
fede a quella sentenza che proclama
voce di Dio del popolo la voce.