Favole (La Fontaine)/Libro settimo/VII - La Corte del Leone

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Libro settimo

VII - La Corte del Leone

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Jean de La Fontaine - Favole (1669)
Traduzione dal francese di Emilio De Marchi (XIX secolo)
Libro settimo

VII - La Corte del Leone
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Volendo un dì conoscere
Sua grande leonina Maestà
a qual razza di sudditi
gli è dato comandar, ordine dà
a tutti i suoi ministri
di bandire ai quattro angoli del regno
un grand’editto col regal suo segno.

Dicea l’editto che durante un mese
il re farebbe gran corte plenaria
con feste e luminaria
e danze della celebre, divina,
famosa Marmottina,
perché così il paese
prendesse in qualche modo conoscenza
di sua potenza e sua magnificenza.

Quindi apriva la Reggia... ah quale Reggia!
dite una beccaria
con tal puzzo di morti e di moria,
da far crollare il naso della gente.
L’Orso arricciò con tale smorfia il suo,
che il re, fuori di sé per quell’azione,
lo manda all’altro mondo immantinente
a far smorfie alle corna di Plutone.

La Scimmia allor, esperta nel mestiero
di dar l’incenso, non trovò severo
troppo il castigo, anzi lodò la zampa
e la bile magnanima del re.
In quanto all’antro e al puzzo, giudicò
che al mondo fior non c’è,
che Colonia profumi non trovò,
per quanto fini e rari,
di quel carnaio più dolci alle nari.

Il troppo e il troppo poco in modo eguale
spiacque al Leon, in ciò pari a Caligola,
che non volea veder piangere e ridere.
Ivi c’era la Volpe, e a lei volgendosi,
chiese il re con un far confidenziale:
- E tu che senti? dillo schiettamente -.

La Volpe ch’era pronta ad ogni caso,
mostrandosi d’avere il raffreddore,
volle uscire dal rotto della cuffia
col dire: - Non ho naso! -.

Non dev’essere troppo adulatore
né troppo schietto deve mai parere
chi desidera ai Grandi di piacere.
È meglio che tu impari
a dir né sì, né no, forse... magari!