Federconsorzi: storia di un'onta nazionale/III/7

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Tra silenzio e noia si conclude a Perugia il processo sullo scandalo Federconsorzi

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Tra silenzio e noia si conclude a Perugia il processo sullo scandalo Federconsorzi
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Un’arringa opaca, fioca, incolore. Incredibilmente evasiva per chi avesse seguito, anche indirettamente, le indagini che la Procura della Repubblica di Perugia conduceva, da oltre quattro anni, su quello che pareva doversi classificare il maggiore scandalo fallimentare della storia d’Italia, il crack Federconsorzi, l’oscura vicenda che ha sottratto all’agricoltura italiana magazzini, silos, officine e aziende dimostrative del valore, pare, di oltre seimila miliardi.

Le indagini parevano preludere ad una requisitoria destinata a scrivere una pagina di storia patria, e non di quelle di rilievo minore. Invece il pubblico ministero si è perduto tra sottili quanto ineffabili sottigliezze giurisprudenziali, proponendole con la stanchezza di chi ha sorbito, anziché il caffè mattutino, tre tazze di camomilla: forse per prevenire scatti che potessero risultare offensivi per gli imputati. Gli imputati: pareva, nell’aula dove dovevano essere giudicati, che si fosse convenuto, pudicamente, di evitare di ricordarne persino i nomi. Il mondo dell’alta finanza e quello dell’alta politica hanno giudicato irriverente, è noto, che personaggi di tanto rilievo, giudici, presidenti di banche e grandi consulenti, potessero essere incriminati, giudicherebbe impudente fossero condannati, ma pareva, quattro anni addietro, quando a Perugia si raccoglievano le prime prove, che avessero perpetrato la più clamorosa appropriazione di beni altrui dalla fondazione della Repubblica, e che di quell’appropriazione sarebbero stati chiamati a rispondere.

Invece, effetto della camomilla? il pubblico ministero, il dottor Dario Razzi, era fioco, lunghe pause per ritrovare il filo del discorso, fino a quando, visibilmente provato da tre quarti d’ora d’arringa, ha chiesto al presidente di potersi sedere. Ma nessuno ha mai ottenuto, seduto nella poltroncina, la condanna di un imputato qualsiasi: un famoso scrittore surrealista suggeriva di immaginare l’effetto delle famose Filippiche se il grande Demostene, il più famoso avvocato della storia, le avesse pronunciate seduto sul water.

Ma ad ascoltare Demostene c’era tutta la Grecia, nell’aula perugina, ad ascoltare l’arringa di Dario Razzi contro chi ha dissolto il maggiore apparato di servizi a favore dell’agricoltura italiana, non c’era praticamente nessuno: assente la stampa, che pare avere condiviso, compatta e ossequiente, il giudizio del mondo finanziario sull’irriverenza del procedimento, assente il mondo agricolo, che, accontentati gli antichi signori della Federconsorzi con un paio di felici operazioni immobiliari, di quanto si facesse del patrimonio Federconsorzi non si è più interessato.

Dopo il pubblico ministero prenderanno la parola gli avvocati delle parti civili, fondamentalmente i dipendenti della Federconsorzi, licenziati dopo il fallimento quindi danneggiati. I cui legali pare, curiosamente, condividessero, nei mesi scorsi, l’opzione di quanti erano schierati con gli imputati, che del processo di Perugia nessuno dovesse parlare, per trattare riservatamente. Ma se, nel silenzio, i protagonisti dell’avventura saranno assolti, è difficile immaginare che possano attendere un risarcimento i dipendenti licenziati.

Perché, data la levità delle pene richieste dal pubblico ministero, non è infondato supporre che l’assoluzione costituisca l’eventualità più probabile. Gli imputati sono difesi da insigni luminari del giure, che nei giorni prossimi si produrranno in pirotecnie mirabolanti. E nel silenzio imposto dal mondo finanziario sulla vicenda, il collegio giudicante non riceverà alcuno stimolo alla severità da parte dell’opinione pubblica.

Il processo di Perugia nacque, ricordiamolo, negli anni di Tangentopoli: a Perugia si doveva celebrare la Tangentopoli dell’agricoltura, ma i procuratori impegnati in Tangentopoli erano le avanguardie di un grande movimento di opinione, e di un ceto politico che voleva sostituirsi a quello da troppi anni imperante. L’opinione pubblica ha dimostrato di non volersi interessare di scandali agrari, i giornali si sono guardati dal turbare vicende economico-giudiziarie che qualcuno avrà forse suggerito essere meglio ignorare, il mondo agricolo si è ritirato. Nel disinteresse generale, i grandi luminari del diritto non avranno bisogno, probabilmente, di sfoderare le proprie risorse migliori. 04.09.2003


  • Il giornale dell’Umbria, 21 settembre 2002
  • Il corriere dell’Umbria, 26 settembre 2002

Rivista I tempi della terra