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Firenze sotterranea/Capitolo IV

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Capitolo IV

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IV


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Ho detto pagano un soldo, due soldi la settimana... quando li pagano. Non già che questo sia l’aver de’ padroni, poichè le pigioni delle bicocche son fissate in quaranta, cinquanta franchi l’anno. Ma è più facile cavar sangue da una rapa che quattrini dai ladri... Il ladro, vedete, è povero in canna: co’ proventi di ciò che ruba si arrotondano il ventre e la borsa i grassi e lucidi manutengoli. Anche il ladro è sfruttato: vittima di una società, disfrenata ne’ suoi appetiti!

Il padrone di casa si presenta: bisogna pigli quello che consentono a dargli: se non li tratta con tutto il rispetto, imbestiano, schiamazzano: — Ehi, che vuole il cosino? Non ci abbiamo altro, c... —

L’esperienza ha insegnato a’ padroni di tali bugigatti che è bene non mandar tanto in lungo certe discussioni! [p. 64 modifica]

Se taluno volesse spropriarli di quelle stamberghe, le venderebbero pel solo valore de’ sassi, come macerie, o magari come spazzature, per qualche ventina di lire, e si terrebbero fortunati. Già non poche sono abbandonate: i proprietari non si fanno più vedere: e sono ridotte a tale sfacelo, che un giorno o l’altro sbonzoleranno sulla strada e schiacceranno la lurca gentaglia, cui servono di riparo.

Io dico che da secoli non vi ha posto mano imbianchino, o muratore; e da secoli generazioni di uomini e di donne, cadute nello stato più abietto, vi lasciaron tracce del loro vivere immondo: così la popolazione vi è andata di mano in mano peggiorando, vi si accasarono masnade di bricconi, e sbalestrati da tutti i punti di Firenze di dove li cacciava il martello e la cazzuola del muratore; sostituite a dove l’aria entrava per i biechi pertugi case ampie, ben aerate, strade luminose, si assembraron laggiù a stormi, a caterve, i malviventi.

Tale stato di cose è diventato incomportabile, nè fu mai sì grave come è ora: bisogna purgar Firenze da quel canchero per rispetto alla sua moralità, alla sua sicurezza, alla sua igiene. [p. 65 modifica]

Quel gruppo di casali non serve più di ricetto soltanto ai ladri fiorentini. Ma molti ladri, che sono latitanti, o che batton di solito la campagna, e vi dormono quando il cielo è sereno, nelle notti burrascose piombano in Firenze, se ne vanno sin là, scavallano muri, traversano cortili mezzo rovinati, entrano in certe stallacce, dormono sul letame, sotto i cassini, che di giorno gli spazzaturai portano per la città, tra le gambe dei somarelli, i quali riposano lì dal pondo onesto, se non pulito, che han tirato per tante ore.

Gli spazzaturai, di cui non pochi ebber antichi screzii con la legge, e sono legati più o meno di uno stesso vincolo a’ curiosi e tristi abitanti da noi descritti, stanno laggiù a dozzine; laggiù si fa la cerna delle brutture, de’ fogli, dei cenci. Nulla dunque vi manca di ciò che può appestare i corpi e le anime; e non si presterebbe fede che tanto si comportasse in città come la nostra.

Se la Polizia, per farvi un’operazione, ha bisogno di mandar laggiù dodici, quattordici uomini, armati, altrimenti non riescono a portar via un arrestato (e se dubitate del mio dire andate [p. 66 modifica]a domandarne al Questore di Firenze o a’ suoi ufficiali), è naturale che le Guardie municipali, d’indole assai più pacifica, neppur vi mettano il piede. Una trasgressione contestata, e si vedono barocci alla rinfusa, oggetti di ogni sorta sulla strada, animali legati alle inferriate (tutto in città, capite bene!) basta a levare gente a tumulto: a tirare intorno alle Guardie Municipali, in un [p. 67 modifica]attimo, una calca di persone scarmigliate, minacciose: e immaginerete facilmente che non è cosa allegra nè prudente, cagionare un subbuglio in un quartiere dove stanno accalcati un centinaio di reduci dal domicilio coatto, senza contar gli ammoniti, i pregiudicati, coloro che già hanno espiato condanne, i manutengoli e i rompicolli, la stummia della canaglia, che ribolle, schiuma, gorgoglia per quelle straduzze, per quegli angiporti, per quelle piazzuole.

Di notte, un certo numero di guardie andava non è molto, a Malborghetto, per arrestare G. D., notissimo pregiudicato. Ma sorge subito la ribellione. Il G. D. è messo in una carrozza, è assicurato, come dicono gli agenti nel loro gergo; quando ad un segno di convenzione scaturiscono dalle stalle (dove son soliti di rimpiattarsi come già vi ho raccontato) e da altri spechi i più famigerati malandrini: danno di piglio a sassi, a strumenti da lavoro: fermano di forza la vettura: fanno scappare il G., e le guardie sono ferite. Poche ore dopo, il G. era arrestato di nuovo con molta scaltrezza da un finissimo agente. Se non in buon numero, le guardie, lo ripeto, nulla possono in un quartiere dove abbiamo uniti insieme reduci dal domicilio coatto, e sorvegliati, e [p. 68 modifica]mariuoli che hanno scontato la pena, e manutengoli, e bricconi randagii, che laggiù cercan ricovero e impiego.

Che cosa mangiano (mi domanderete) se non hanno denari?

Il piatto principale, forse l’unico, è composto di quello che rubano!

La mattina, a bruzzo, si sparpagliano in torme fuori delle porte, specie fuori della Porta San Frediano. Si mettono alla coda de’ barocci; arraffano, scavizzolano, sbocconcellano: dove sfilzano un fiasco d’olio, dove uno di vino, dove tagliano una cesta di polli, dove fanno sparire le frutta: agganciano i sacchi delle povere lavandaie... Supponete il furto denunziato: la Polizia accorre, ha i suoi sospetti... Ma i ladri son già rientrati con la preda nel loro quartiere, la roba è già passata di mano in mano; in mezz’ora ha fatto chi sa qual giro: e chi sa come sparpagliata, e quanti: non se ne sa più nè puzzo fra nè bruciaticcio.

Sarebbe già grave il male, se la masnada di ladri, accovata in quelle straduzze, per que’ tugurii, vivesse sol di piccoli furti, a danno de’ [p. 69 modifica]campagnoli, che portan robe al Mercato di Firenze in prima mattina, dei lavandai, dei pollaiuoli: se nelle ore del giorno in cui lasciano i loro tanili per venir nel bel mezzo della città a far lor prodezze, stessero paghi a sgraffignare uno scialle, una giacchetta, un cappello dalla vetrina di un negoziante: a alzare, come essi dicono nel loro gergo, un fazzoletto e una borsa.

Ma c’è di peggio!... Tutti i grossi furti, che accadono in Firenze, sono immaginati, ordinati nel Ghetto, o a Malborghetto, alla Sacra, al Campuccio; lì è ricettata in appositi nascondigli la roba furtiva, e lì è spartita; lì vigono, si diramano, si compongono le associazioni de’ ladri. Di queste associazioni, e assai numerose, ne spense almeno tre in questi ultimi anni la nostra Polizia, una di recentissima data. Ricorderete il furto audacissimo commesso di notte nello studio di varii avvocati: il furto era stato regolato, disposto alla Sacra, dove fu fatta la ripartizione dei titoli rubati, tra un’associazione di ladri, il cui capo abitava in una di quelle casipole da me visitate.

Consumato il furto, arrestati alcuni complici, egli potè rimaner latitante, aiutato da amici e manutengoli, appiattandosi, scorrendo per le sozze [p. 70 modifica]catapecchie, profittando delle scappatoie, delle comunicazioni, che vi sono da tutti i lati.

Finalmente riuscì a spiccar il volo per la campagna. Prese nuovo aspetto e nuovi modi: ora stava rintanato nei boschi: ora usava alle fiere in sembiante di trafficatore d’animali, o di merciaiuolo ambulante. Ma i segugi della Polizia lo braccavano, e lo addentarono un giorno, mentre alla stazione di Prato saliva in un vagone per svignarsela verso Pistoia.

Era stato a domicilio coatto in Sardegna nel 1866, poi in Casa di forza fino al 1880: quindi se n’era venuto a onorare Firenze della sua presenza, e laggiù, nel triste borgo ch’io vi ho descritto, tendeva le sue reti, di concerto con altri bricconi di non minor peso di lui.

Facea conciliaboli di tanto in tanto: e, sebbene avesse due mandati di cattura, sfuggiva alla Polizia protetto dal nugolo degli sciami de’ manutengoli, che scorazzano il quartiere.

Di tal risma ve ne sono laggiù assembrati a diecine. Io non esagero! Vi racconto a puntino la verità: nulla, egregi lettori, vi ho detto, di cui non mi sia pienamente accertato.

Ma poi... a quale scopo dovrei io ingannarvi? Perchè mi sarei sobbarcato a questa fatica? Ci [p. 71 modifica]è un male nella nostra città: nè si guarisce col nasconderlo: bisogna anzi gridarlo alto il più che si può, e ottenerne il rimedio, che è facile. Bisogna sgominare due tra le principali accozzaglie di malviventi. Distruggendo le case, non si distruggono, lo so, i cattivi uomini, che le abitano, ma impedita l’agglomerazione, sono ammorzati i due terzi del danno. Non sarà più possibile la continua associazione, nè il continuo contatto, il contagio della perversità: il tenersi a lungo celati: non vedremo famiglie attaccare il male a famiglie, addestrarsi i bambini al più turpe mestiere: non avremo più, come abbiamo e teniamo a conservare una pepiniera di piante, prospera e conservata una pepiniera e una scuola di ladri... nel seno di Firenze.

Ce n’era un semenzaio verso Porta la Croce: le demolizioni li hanno sbandati. Lo stesso accadde a Porta San Niccolò: atterrate certe chiostre nefande, i ladri se la batterono: si è serbato in piedi per incuria uno solo di que’ ripari e subito i ladri, i pregiudicati vi si sono rannidati.

Guardate di quanto si avvantaggiarono la salubrità, la moralità, l’aspetto di quelle due parti di Firenze!

Le autorità possono confermare a ognuno che [p. 72 modifica]è tutto vero ciò ch’io espongo in questi miei studii.

Con le scrollatine di testa, gli scetticismi, di cui sono capaci tutti i balordi, non si risolvono tali questioni. Non rispondo a critiche melense: non approda discutere con gli animali parlanti!