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Galateo ovvero de' costumi/XVI

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Capitolo XVI

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XV XVII
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Cap. XVI. Le cirimonie, che si fanno per debito, non deggiono mai lasciarsi. Autorità, e forza dell’uso. Cautele da osservarsi nel praticarle. L’eccedere è adulazione indegna del gentiluomo. Questa fa la terza specie di cirimonie, che sono per vanilà. Quanto l’adulazione sia noiosa e spiacevole.

65. Restami a dire di quelle che si fanno per debito, e di quelle che si fanno per vanità. Le prime non istà bene in alcun modo lasciare che non si facciano; perciocchè chi le lascia, non solo spiace, ma egli fa ingiuria; e molte volte è occorso, che egli si è venuto a trar fuori le spade solo per questo, che l’un cittadino non ha così onorato l’altro per via, come si doveva onorare; perciocchè le forze della usanza sono grandissime, come [p. 43 modifica]io dissi, e voglionsi avere per legge in simili affari. Per la qual cosa, chi dice voi ad un solo, purchè colui non sia d’infima condizione, di niente gli è cortese del suo: anzi se egli dicesse tu, gli torrebbe di quello di lui, e farebbegli oltraggio e ingiuria, nominandolo con quella parola, con la quale è usanza di nominare i poltroni e i contadini.

66. E se bene altre nazioni e altri secoli ebbero in ciò altri costumi, noi abbiamo pur questi, e non ci ha luogo il disputare quale delle due usanze sia migliore; ma convienci ubbidire non alla buona, ma alla moderna usanza, siccome noi siamo ubbidienti alle leggi, eziandio meno che buone, perfino che il comune, o chi ha podestà di farlo, non le abbia mutate. Laonde bisogna che noi raccogliamo diligentemente gli atti e le parole, con le quali l’uso e il costume moderno suole e ricevere e salutare e nominare, nella terra ove noi dimoriamo, ciascuna maniera d’uomini e quelle, in comunicando con le persone, osserviamo.

67. E non ostante che l’ammiraglio, siccome il costume de’ suoi tempi per avventura portava, favellando col re Pietro d’Aragona, gli dicesse molte volte Tu; diremo pur noi a’ nostri re Vostra Maestà, e la Serenità Vostra, così a bocca, come per lettere; anzi, siccome egli servò l’uso del suo secolo, così dobbia[p. 44 modifica]mo noi non disubbidire a quello del nostro.

68. E queste nomino io cirimonie debite; conciossiachè elle non procedono dal nostro volere, nè dal nostro arbitrio liberamente; ma ci sono imposte dalla legge, cioè dall’usanza comune. E nelle cose che niuna scelleratezza hanno in sè, ma piuttosto alcuna apparenza di cortesia, si vuole, anzi si conviene ubbidire ai costumi comuni, e non disputare, piatire con essoloro.

69. E quantunque il baciare per segno di riverenza si convenga dirittamente solo alle reliquie de’ santi corpi e delle altre cose sacre, nondimeno se la tua contrada arà in uso di dire nelle dipartenze: — Signore, io vi bacio la mano, o io son vostro servidore; o ancora, vostro schiavo in catena; — non dei esser tu più schifo degli altri, anzi e partendo e scrivendo, dei e salutare e accommiatare non come la ragione, ma come l’usanza vuole che tu facci; e non come si soleva o si doveva fare, ma come si fa: e non dire: — E di che è egli signore? o È costui forse divenuto mio parrocchiano, che io gli debba così baciar le mani? — perciocchè colui che è usato di sentirsi dir signore dagli altri, e di dire egli similmente signore agli altri, intende che tu lo sprezzi, e che tu gli dica villania quando tu il chiami per lo suo nome, o che tu gli di’ Messere, o gli dai del Voi per lo capo. [p. 45 modifica]

70. E queste parole di signoria e di servitù, e le altre a queste somiglianti, come io di sopra ti dissi, hanno perduta gran parte della loro amarezza; e siccome alcune erbe nell’acqua, si sono quasi macerate e rammorbidite dimorando nelle bocche degli uomini; sicchè non si deono abbominare come alcuni rustici e zotichi fanno; i quali vorrebbon, che altri cominciasse le lettere che si scrivono agli imperadori ed ai re, a questo modo; cioè: — Se tu, e tuoi figliuoli siate sani, bene sta; anch’io son sano: — affermando che cotale era il principio delle lettere de’ latini uomini scriventi al comune loro di Roma: alla ragion de’ quali chi andasse dietro, si ricondurrebbe passo passo il secolo a vivere di ghiande. Sono da osservare eziandio in queste cirimonie debite alcuni ammaestramenti, acciocchè altri non paia nè vano, nè superbo.

74. E prima, si dee aver riguardo al paese dove l’uom vive; perciocchè ogni usanza non è buona in ogni paese; e forse quello che s’usa per li Napoletani, la città de’ quali è abbondevole di uomini di gran legnaggio e di baroni d’alto affare, non si confarebbe per avventura nè a’ Lucchesi, nè a’ Fiorentini, i quali per lo più sono mercatanti e semplici gentiluomini, senza aver fra loro nè principi, nè marchesi, nè barone alcuno. Sicchè le maniere di Napoli signorili e pompose tras[p. 46 modifica]portate a Firenze (come i panni del grande messi indosso al piccolo) sarebbono soprabbondanti e superflui, nè più nè meno, come i modi de’ Fiorentini alla nobiltà de’ Napoletani, e forse alla loro natura, sarebbono miseri e ristretti.

72. Nè perchè i gentiluomini viniziani si lusinghino fuor di modo l’un l’altro per cagion de’ loro uffici, e de’ lor squittinii, starebbe egli bene che i buoni uomini di Rovigo o i cittadini d’Asolo, tenessero quella medesima solennità in riverirsi insieme per nonnulla; comechè tutta quella contrada, s’io non m’inganno, sia alquanto trasandata in queste sì fatte ciance, siccome scioperata: o forse avendole apprese da Vinegia loro donna1; imperocchè ciascuno volentieri seguita i vestigi del suo signore, ancora senza saper perchè.

73. Oltre a ciò bisogna avere risguardo al tempo, all’età, alla condizione di colui con cui usiamo le cirimonie, e alla nostra; e con gl’infaccendati mozzarle del tutto, o almeno accorciarle più che l’uom può, e piuttosto accennarle che isprimerle; il che i cortigiani di Roma sanno ottimamente fare: ma in alcuni altri luoghi le cirimonie sono di grande sconcio alle faccende, e di molto tedio. — Co[p. 47 modifica]pritevi, dice il giudice impacciato, al quale manca il tempo: è colui, fatte prima alquante riverenze, con grande stropiccio di piedi, rispondendo adagio, dice: — Signor mio, io sto ben così. — Ma pur, dice il giudice, copritevi. Quegli torcendosi due o tre volte per ciascun lato e piegandosi fino in terra, con molta gravità, risponde: — Priego V. S. che mi lasci fare il debito mio. — E dura questa battaglia tanto, e tanto tempo si consuma, che il giudice in poco più arebbe potuto sbrigarsi di ogni sua faccenda quella mattina.

74. Adunque benchè sia debito di ciascun minore onorare i giudici, e l’altre persone di qualche grado; nondimeno, dove il tempo nol sofferisce, divien noioso atto, e deesi fuggire, o modificare.

75. Nè quelle medesime cirimonie si convengono ai giovani, secondo il loro essere, che agli attempati fra loro; nè alla gente minuta e mezzana si confanno quelle che i grandi usano l’un con l’altro.

76. Nè gli uomini di grande virtù ed eccellenza soglion farne molte; nè amare, o ricercare che molte ne siano fatte loro, siccome quelli che male possono impiegar in cose vane il pensiero. Nè gli artefici e le persone di bassa condizione si deono curare di usar molto solenni cirimonie verso i grandi uomini e signori, che le hanno da loro a schifo [p. 48 modifica]anzi che no; perciocchè da loro pare, che essi ricerchino ed aspettino piuttosto ubbidienza che onore. E per questo erra il servidore che profferisce il suo servigio al padrone; perciocchè egli se lo reca ad onta e pargli che il servidore voglia mettere dubbio nella sua signoria; quasi a lui non istia l’imporre e il comandare.

77. Questa maniera di cirimonie si vuole usare liberalmente; perciocchè quello, che altri fa per debito, è ricevuto per pagamento, e poco grado se ne sente a colui che ’l fa; ma chi va alquanto più oltra di quello che egli è tenuto, pare che doni del suo, ed è amato e tenuto magnifico. E vammi per la memoria di aver udito dire, che un solenne uomo greco, gran versificatore, soleva dire che chi sa carezzar le persone, con picciolo capitale fa grosso guadagno. Tu farai adunque delle cirimonie, come il sarto fa de’ panni; che piuttosto gli taglia vantaggiati che scarsi; ma non però si, che dovendo tagliar una calza, ne riesca un sacco, nè un mantello. E se tu userai in ciò un poco di convenevole larghezza verso coloro che sono da meno di te, sarai chiamato cortese. E se tu farai il somigliante verso i maggiori, sarai detto costumato e gentile: ma chi fosse in ciò soprabbondante e scialacquatore, sarebbe biasimato siccome vano e leggiere; e forse [p. 49 modifica]peggio gli avverrebbe ancora, chè egli sarebbe avuto per malvagio e per lusinghiero; e, come io sento dire a questi letterati, per adulatore: il qual vizio i nostri antichi chiamarono, se io non erro, piaggiare: del qual peccato niuno è più abbominevole, nè che peggio stia ad un gentiluomo. E questa è la terza maniera di cirimonie, la qual procede pure dalla nostra volontà, e non dalla usanza.

78. Ricordiamoci adunque, che le cirimonie come io dissi da principio, naturalmente non furono necessarie: anzi si poteva ottimamente fare senza esse; siccome la nostra nazione, non ha però gran tempo, quasi del tutto faceva: ma le altrui malattie hanno ammalato anco noi2 e di questa infermità e di molte altre. Per la qual cosa, ubbidito che noi abbiamo all’usanza, tutto il rimanente in ciò è superfluità, e una cotal bugia lecita; anzi pure da quello innanzi non lecita, ma vietata; e perciò spiacevole cosa e tediosa agli animi nobili, che non si pascono di frasche e di apparenze.

79. E sappi che io, non confidandomi della mia poca scienza, stendendo questo presente Trattato, ho voluto il parere di più valenti uomini scienziati, e trovo che un re, il cui nome fu Edipo, essendo stato cacciato di sua terra, andò già ad Atene al re Teseo per [p. 50 modifica]campare la persona, chè era seguitato da’ suoi nimici; e dinanzi a Teseo pervenuto, sentendo favellare una sua figliuola, e alla voce riconoscendola, perciocchè cieco era, non badò a salutar Teseo, ma, come padre, si diede a carezzar la fanciulla; e ravvedutosi poi, volle di ciò con Teseo scusarsi, pregandolo gli perdonasse. Il buono e savio re non lo lasciò dire, ma disse egli: — Confortati, Edipo, perciocchè io non onoro la vita mia con le parole d’altri, ma con le opere mie: la qual sentenza si dee avere a mente; e comechè molto piaccia agli uomini che altri gli onori, nondimeno, quando si accorgono di essere onorati artatamente, e lo prendono a tedio, e più oltre, lo hanno anco a dispetto; perciocchè le lusinghe, o adulazioni che io debba dire, per arrota3 alle altre loro cattività e magagne, hanno questo difetto ancora, che i lusinghieri mostrano aperto segno di stimare che colui cui essi carezzano, sia vano e arrogante, e oltre a ciò tondo e di grossa pasta e semplice sì, che agevole sia d’invescarlo e prenderlo. E le cirimonie vane ed esquisite e soprabbondanti sono adulazioni poco nascose, anzi palesi e conosciute da ciascuno, in modo tale che coloro che le fanno a fine di guadagno, oltra quello che io dissi di sopra della loro malvagità, sono eziandio spiacevoli e noiosi.


Note

  1. Donna, sincope del latino domina, qui vale signora: dicesi anche donno per signore.
  2. Ammalare, usato attivamente.
  3. Per giunta, dal verbo arrogere.