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Galateo ovvero de' costumi/XVIII

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Capitolo XVIII

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XVII XIX
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Cap. XVIII. Della maldicenza, del contraddire agli altri, del dare consigli, del riprendere, e correggere gli altrui difetti. Ognuna di tali cose essere noiosa.

85. D’altrui, nè delle altrui cose non si dee dir male; tutto che paia, che a ciò si prestino in quel punto volentieri le orecchie, mediante la invidia che noi per lo più portiamo [p. 53 modifica]al bene ed all’onore l’un dell’altro; ma poi alla fine ognuno fugge il bue che cozza, e le persone schifano l’amicizia de’ maldicenti, facendo ragione, che quello che essi dicono d’altri a noi, quello dicano di noi ad altri.

86. E alcuni che si oppongono ad ogni parola, e quistionano e contrastano, mostrano che male conoscano la natura degli uomini; chè ciascuno ama la vittoria, e lo esser vinto odia non meno nel favellare che nello adoperare: senzachè il porsi volentieri al contrario ad altri è opera di nimistà, e non d’amicizia. Per la qual cosa colui che ama d’essere amichevole e dolce nel conversare, non dee aver così presto, il — non fu così; e lo, anzi sta come vi dico io; — nè il metter su de’ pegni; anzi si dee sforzare di essere arrendevole alle opinioni degli altri d’intorno a quelle cose che poco rilevano; perciocchè la vittoria in sì fatti casi torna in danno; conciossiachè vincendo la frivola questione, si perde assai spesso il caro amico, e diviensi tedioso alle persone sì, che non osano di usare con esso noi, per non esser ognora con esso noi alla schermaglia; e chiamanci per soprannome messer Vinciguerra o ser Contrapponi o ser Tullesalle, e talora il dottor Sottile,

87. E se pure alcuna volta avviene, che altri disputi invitato dalla compagnia, si vuol fare per dolce modo, e non si vuol essere sì [p. 54 modifica]ingordo della dolcezza del vincere, che l’uomo se la trangugi; ma conviene lasciarne a ciascuno la parte sua; e torto o ragione che l’uomo abbia, si dee consentire al parere de’ più o de’ più importuni, e loro lasciare il campo; sicchè altri, e non tu sia quegli che si dibatta e che sudi e trafeli; chè sono sconci modi e sconvenevoli ad uomini costumati: sicchè se ne acquista odio e malavoglienza; e oltre a ciò sono spiacevoli per la sconvenevolezza loro, la quale per se stessa è noiosa agli animi ben composti; siccome noi faremo per avventura menzione poco appresso. Ma il più della gente invaghisce sì di se stessa, che ella mette in abbandono il piacere altrui; e per mostrarsi sottili e intendenti e savi, consigliano e riprendono e disputano e inritrosiscono a spada tratta, e a niuna sentenza si accordano, se non alla loro medesima.

88. Il profferire il tuo consiglio, non richiesto, niuna altra cosa è che un dire di esser più savio di colui cui tu consigli; anzi un rimproverargli il suo poco sapere e la sua ignoranza. Per la qual cosa non si dee ciò fare con ogni conoscente; ma solo con gli amici più stretti, e verso le persone, il governo e reggimento delle quali a noi appartiene, o veramente quando gran pericolo soprastesse ad alcuno, eziandio a noi straniero: ma nella comune usanza si dee l’uomo astenere di [p. 55 modifica]tanto dar consiglio, e di tanto metter compenso alle bisogne altrui: nel quale errore cadono molti, e più spesso i meno intendenti, perciocchè agli uomini di grossa pasta poche cose si volgono per la mente; sicchè non penano guari a diliberarsi, come quelli che pochi partiti da esaminare hanno alle mani: ma come ciò sia, chi va profferendo e seminando il suo consiglio mostra di portar opinione, che il senno a lui avanzi e ad altri manchi. E fermamente sono alcuni che così vagheggiano questa loro saviezza, che il non seguire i loro conforti non è altro che un volersi azzuffare con essoloro, e dicono: — Bene sta: il consiglio de’ poveri non è accettato: e il tale vuol fare a suo senno: e il tale non mi ascolta. — Come se il richiedere che altri ubbidisca il tuo consiglio, non sia maggiore arroganza, che non è il voler pur seguire il suo proprio.

89. Simil peccato a questo commettono coloro che imprendono a correggere i difetti degli uomini e a riprendergli, e di ogni cosa vogliono dar sentenza finale, e porre a ciascuno la legge in mano: — La tal cosa, non si vuol fare: e voi diceste la tal parola: e stoglietevi dal così fare e dal così dire: il vino che voi beete non vi è sano, anzi vuol esser vermiglio: e dovereste usare del tal lattovaro e delle cotali pillole: e mai non finano [p. 56 modifica]di riprendere, nè di correggere. E lasciamo stare che a tal ora si affaticano a purgare l’altrui campo, che il loro medesimo è tutto pieno di pruni e di ortica; ma egli è troppo gran seccaggine il sentirgli. E siccome pochi o niuno è, cui soffera l’animo di fare la sua vita col medico o col confessore, e molto meno col giudice del maleficio; così non si truova chi si arrischi di aver la costoro domestichezza; perciocchè ciascuno ama la libertà, della quale essi ci privano; e parci esser col maestro. Per la qual cosa non è dilettevol costume lo esser così voglioso di correggere e di ammaestrare altrui; e deesi lasciare che ciò si faccia da’ maestri e da’ padri; da’ quali pure perciò i figliuoli e i discepoli si scantonano tanto volentieri, quanto tu sai che ei fanno.