Gazzetta Musicale di Milano, 1842/N. 2/Opinioni del sig. Fétis intorno agli artisti musicali italiani

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Opinioni del sig. Fétis intorno agli artisti musicali italiani

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Opinioni del sig. Fétis intorno agli artisti musicali italiani
N. 2 N. 2 - Altre osservazioni critiche intorno alla Maria Padilla, del maestro Donizetti

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DISCUSSIONI MUSICALI.


Opinioni del sig. Fétis intorno agli artisti musicali italiani. — Bellini giudicato dai Milanesi. — Insussistente paragone tra Bellini e Rossini. — Idea dello stile di Bellini e quale avvenire si prepara alla musica belliniana, ec.

Il chiarissimo signor Fétis, attualmente direttore del Conservatorio reale di Brusselles, e tempo fa redattore in capo e fondatore della Revue et Gazette Musicale di Parigi, ebbe troppo spesso a parlare con pochissima soddisfazione dell’attual condizione della musica nella nostra Italia. Diremo anzi di più: ogni qualvolta l’occasione lo recò a manifestare l'opinion sua riguardante i migliori compositori italiani viventi, e a pigliar ad esame le loro produzioni principali, sempre si spiegò in termini di biasimo tutt’altro che ambigui. Noi non affermeremo certamente che i suoi sfavorevoli giudizii siano al tutto mancanti di buone e ben ponderate ragioni. Noi pure siamo insiem con lui persuasi che ed egli e molti altri distinti stranieri, teoristi e pratici rinomati, non parlano affatto alla ventura allorachè lamentano l’attuale decadimento dell’arte musicale italiana; ma se su questo proposito ci siam già preparati a dir francamente delle verità non molto cortesi, nella mira che abbiano ad esser seme di buoni e desiderevoli frutti, non vorremo però lasciar di opporre le nostre contrarie osservazioni ogniqualvolta ne parrà che le sentenze di condanna che si scaglieranno a disdoro dell’Italia musicale d'oggidì non siano conformi al vero od anzi sappiano alcun po’ di sistematica preoccupazione o di nazionale gelosia. E questo, o ci sbagliamo, o ne pare in qualche parte il caso del sig. Fétis, al quale diremo, non senza il rispetto dovuto agli alti suoi titoli. - Allorachè una persona tanto altamente benemerita della scienza qual siete voi, e versatissima nelle più eminenti sue disquisizioni filosofiche e tecniche, assume l’ufficio di proclamare al cospetto dell’Europa la propria opinione intorno alla sapienza o all’ignoranza delle nazioni in fatto di musica, deve, per addimostrarsi giusto, farsi carico di tutte le ragioni pro e contro riguardanti il suo tema, e non limitarsi a contemplare il quadro dal solo suo lato scuro per essere poi autorizzato a gridare con tuono di raccapriccio che quel quadro è tutto negro e tenebroso! E in quanto allo stato della musica nella Italia attuale aggiugneremo: perché vi siete voi data tante volte la briga di deplorare i guai molti che porgono cagione di giusto malcontento agli spiriti imparziali, e non vi siete poi fatto nessun carico delle osservazioni in senso contrario che ben avreste saputo metter innanzi quando vi foste proposto un diverso assunto? O ci spieghiamo meglio: perché, ogniqualvolta aveste a far parola di taluni dei principali nostri maestri viventi, foste tanto sollecito di far chiara con pochissime eccezioni la vostra irreverenza sul conto loro, pigliando a considerarli troppo strettamente sotto il solo aspetto di quella dottrina scientifica e di quella tecnica superiorità che è senza dubbio fondamento precipuo dell'arte, ma non vuolsi mai confondere coll’arte stessa, e non vi deste poi il menomo pensiero di esaminare se dal lato dell'abbondanza delle idee, del sentimento, del gusto, della prontezza di ispirazione essi meritavano dal più al meno quel po’ di considerazione che senza tanti complimenti negaste loro con troppo rigida severità?

Acconsentiamo con voi quanto volete che, onde un compositore si meriti i titoli di sommo, debba accoppiare alle doti di mente e di cuore or accennate quella assoluta profondità scientifica senza la quale il genio non può farsi valere nella sua pienezza, o imperfettamente e stentatamente si manifesta, ma non possiamo indurci a credere con voi che ci sia da disistimarsi al tutto, se a cagione degli imperfetti suoi studii o del non compiuto sviluppo delle sue facoltà, dalle sue composizioni non traspare il vasto e consumato sapere che anche i più grandi maestri solo presso al finire della loro carriera palesarono nella maggiore pienezza.

Fummo indotti a rivolgere al sig. Fétis queste poche parole dall’avere scorsa una sua prima lettera inserita nel n.° 68 della Gazette Musicale quale esordio ad altre nelle quali il dottissimo professore di Brusselles pare si proponga farci affliggere altamente colla esposizione di tutte quelle ch’ei chiama attuali miserie musicali della patria di Rossini e di Bellini. E appunto sul conto di Bellini, egli, a parer nostro, si lascia trascorrere a sentenze ed opinioni delle quali vogliamo far giudici i nostri lettori spassionati. — Parlando il sig. Fétis del primo dei due or nominati maestri, ed accennando al discapito ch’ebbero a soffrire in Francia gli interessi economici di lui per le violenti mutazioni politiche colà operate dalla Rivoluzione del Luglio, viene ad informarci come, a cagione del disgusto patitone, e per essersi accorto che gli venia scemando in parte il pubblico favore ond’era stato l’idolo fino allora, ei si risolvesse a lasciar Parigi e a ridursi in Italia.

"Egli partì nel febbrajo del 1837 (è il sig. Fétis che parla) e si fermò lungo tempo a Milano. Qui gli era serbata una peripezia non meno singolare di quella per la quale erasi allontanato da Parigi. Bellini era diventato il compositore favorito degli Italiani. Questo giovine maestro, i cui successi eran stati contestati alle prime rappresentazioni di quasi tutte le sue Opere, le avea poscia vedute eccitar l’entusiasmo de'suoi compatriotti. I meno fanatici de’ suoi ammiratori (e si noti bene questa frase) lo avevano considerato come il successore possibile di Rossini; ma ben presto le cose non istettero limitate a questi termini, perocché ed opuscoli ed articoli di giornale si pubblicarono per pigliare in esame questa quistione: chi fosse nomo dotato di maggior genio, se l’autore dell'Otello e della Semiramide, ovvero quello del Pirata o della Norma. Nel momento in cui Rossini arrivò a Milano questa grottesca polemica era terminata col trionfo del suo debole rivale. Era perfettamente consentito che la superiorità di Bellini non poteva essere contestata, e che questo giovine, il quale non ebbe che poche idee e le cui ispirazioni furono sempre monche (ècourtées), che scriveva male e che non ebbe mai se non se debole l’istinto dell'armonia e della stromentazione, veniva senza complimenti messo al di sopra di colui la cui ricca immaginazione ha saputo trasformarsi in tante guise, nel Tancredi, nel Barbiere, nell’Otello, nella Semiramide, nel Mosè, nel Guglielmo Tell. D’allora in poi le cose mutarono d’aspetto. Bellini ormai non è per noi che un nome storico o tra breve sarà dimenticato, perocché il Pirata, la Straniera, i Capuleti e la Norma disparvero affatto dai teatri. Vergognosi del loro abbaglio, pare vogliano al presente gli Italiani cancellarne la rimembranza colla considerazione e dirò anzi col rispetto di che circondano Rossini."

Ogni lettore dotato d’un grano d’imparzialità rileva di primo tratto le molte repliche agevoli a farsi a quanto è detto nelle poche righe del sig. Fétis or citate. Quanto a noi verremo notando quel che segue.

Non è punto vero che i meno fanatici tra gli ammiratori di Bellini lo considerassero come il possibile successore di Ros- [p. 6 modifica]sini. I buoni e imparziali intelligenti milanesi, al primo udire le composizioni di Bellini, ebbero a provarne grandissima soddisfazione; perocché notarono a primo tratto nello scrivere del giovine maestro siciliano i felici tentativi di ricondurre lo stile drammatico musicale alle schiette e pure sue forme naturali, presentando la frase melodica sviluppata con semplicità e chiarezza e sfrondata d’ogni bizzarro contesto di note e più presto destinata a scuotere con penetrante accentazione la sensibilità morale dello spettatore, anziché a sorprendere o a lusingare la sua percezione fisica. I meno fanatici ammiratori del Bellini, udite le prime recite del Pirata, applaudirono in lui un compositore, il quale, lungi dal pretendere a mutare di primo lancio il sistema melodrammatico in voga al suo tempo, accennava di voler fare i possibili sforzi a mettersi su una strada migliore, pieno della brama è fors’anco della speranza che col perseverante e indefesso studio de’ sommi modelli sarebbe pur giunto a meritarsi quel vanto di fortunato innovatore al quale aspirava non senza qualche buon fondamento. Ben avvisarono essi di leggieri ch’ei non possedeva al certo tutto il tesoro delle doti di fantasia e di sapienza che sariagli abbisognato a superare con irresistibil possa le immense difficoltà cui doveva farsi incontro per giugnere al compimento de’ suoi voti, e non di meno sperarono che in grazia della sua indole altamente passionata e tutta meridionale, a quanto sarebbe mancato nelle sue Opere in ricchezza d’invenzione, in isfoggio di svariate e originali forme, in ampiezza di sviluppi, in grandiosità e potenza di prestigii stromentali, avrebbe supplito colla verità costante della espressione drammatica, coll’abbondanza del sentimento e col sempre evidente proposito di imprimere alle sue partizioni un sì vivo colorito poetico, che desunto dall’indole e dall’intimo pensiero del poema, sempre tendesse a unificarsi con questo, e a formare un tutto caratteristico e inalterabile nelle menome sue proporzioni.

Questa aspettazione non venne punto delusa nelle composizioni belliniane susseguite al primo suo clamoroso saggio. La Straniera, la Giulietta e Romeo, la Sonnambula, e più di tutte la Norma e i Puritani, marcarono i continui progressi di un ingegno che incessante tendeva a lanciarsi verso le più limpide regioni della creazion musicale, e i giusti apprezzatori del merito di questo insigne Italiano applaudirono ai generosi suoi sforzi mercè i quali, senza arrogarsi di voler sostituire nè la propria maniera, nè il proprio stile ad altre maniere e ad altri stili, ambiva però ad essere riconosciuto felice apostolo di un genere di musica drammatica, che nel1'Italia nostra poteva col tempo esercitare, come infatti esercitò, una molto utile reazione1.

Nessuno degli ammiratori del Bellini, e non solo gli ammiratori ragionevoli, ma neppure gli esaltati, coloro che acclamavano in lui il melodista pittore degli affetti, lo scrittor passionato che aveva saputo trovare la più penetrante accentazione musicale dell’amore, della gelosia, del dolore concitato, dell’ira, del terrore...; nessuno, dicevamo, osò mai profferire la stolta bestemmia ch’ei potesse essere vantato nè pari nè tanto meno superiore al grande Rossini, nè tale in somma che avesse a far dimenticar punto le mirabili creazioni del più immaginoso tra i compositori di tutte le età e di tutte le nazioni. Ben è vero che taluno scrittor da giornale lasciò traviar la penna a stendere qualche articolo ispirato da un cieco impeto di adorazione effimera. Ma assolutamente neghiamo che in Milano siasi mai ventilata sul serio la quistione se fosse più uomo di genio l’autor del Pirata e della Norma o quello dell’Otello e della Semiramide, e meno poi che al giugnere di Rossini tra noi essa quistione fosse già sciolta a tutto onore del suo antagonista. A cagione della pochissima cura che si diedero fino al presente i fogli nostri di esercitare sullo spirito del pubblico l’influenza di una critica musicale illuminata e filosofica, e per l’effetto di molte altre cause che tendono pur troppo a pervertirne il gusto, molte volte si appalesò questo non conforme ai savii principii del bello, e trascorse anche a riprovare talora ciò che voleva essere lodato o ad esaltare più o meno quanto era da condannarsi all’obblio; ma, astrazion fatta di alcuni casi speciali (che però vorremmo vedere meno frequenti), il giusto sentimento e il retto criterio di ciò che veramente ha un merito distinto nelle manifestazioni varie del genio musicale, predomina spessissimo sia ne’ nostri teatri, sia nelle nostre grandi accademie sopra quella specie di materiale e zotica pretesa alla intelligenza di pratica che troppo facilmente vien messa innanzi dalla moltitudine de’ così detti abituati. Vogliamo dire con ciò che, ove il signor Fétis, allorachè fu ultimamente di passaggio per Milano, si fosse data la briga d'informarsi un po’ più a fondo del modo col quale sanno tra noi sentire il bello e il buono in fatto di musica, non il volgo delle platee (eguale dappertutto) ma le persone colte e i veri amatori, non avrebbe gettate là a caso quelle poche frasi male a proposito destinate ad esporre una falsità di fatto colla intenzione di formulare un inconveniente e ingiusto giudizio. Noi mettiamo pegno, e ne assicuriamo il signor Fétis, che anche ne’ giorni in cui più alto suonava tra noi il nome di Bellini, e i cuori erano più che mai inclinati a palpitare alle sue soavi cantilene, ove si fosse annunziato, non un’Opera intera, ma un solo pezzo di musica nuova dovuto al genio del grande maestro, l’attenzione pubblica si sarebbe di lancio rivolta ad esso, e il grido dell’acclamazione più entusiastica avrebbe trovato un eco in tutti gli animi ricordevoli dei prodigi di una incomparabil musa! Era ella colpa de’ Milanesi se mentre Bellini faceva succedere partizioni nuove a nuove partizioni, il cigno di Pesaro taceva né dolci suoi ozii?

Come ebbe il torto di dare in una inconcepibile esagerazione o di pigliar anzi un solenne abbaglio nell’affermare che fuvvi un momento in cui in Milano Bellini aveva fatto dimenticar Rossini o poco meno, così grandemente si ingannò il sig. Fétis nell’aggiugnere che poco dopo quel periodo di fanatismo belliniano, il povero maestro di Catania cadde per noi in letale obblio. A confutare una sì falsa asserzione ne basti l’appellarci a tutti coloro i quali anche nelle più recenti stagioni teatrali, non solo in Milano, ma in ben molte altre città d’Italia, ebbero ad assistere alla rappresentazione, non delle sole migliori Opere di Bellini, ma ed anche delle meno lodate. Siane un esempio la Beatrice di Tenda cui non toccò mai come in quest'ultimi tempi più bella sorte ovunque fu data, ed ebbe a smentire con clamorosa riuscita l'erronea opinione invalsa che fosse opera non degna dell'autor della Norma! Da che la morte ci rapì l'insigne maestro, anziché scemare, andò sempre crescendo la voga per le sue ispirate creazioni, e doveva essere così. Concepita più per vigore di sentimento che per esuberanza di vena inventiva, più propria a parlare all'anima con accentazioni passionate, anziché con isfoggio di svariate combinazioni meodiche originali e bizzarre, la musica di Bellini vedrà dilatarsi la sfera di coloro che spranno degnamente apprezzarla in ragione che, col progredire della civiltà de' popoli, si accrescerà di pari passo la finezza del sentire e la dilicateza del gusto, e si farà più comune quella squisita e scelta maniera di giudicare del bello nelle arti che solo è compartita dalla coltura dello spirito congiunta alla nobiltà dell'animo.

Ma ciò che ora non facciamo che accennare sarà forse tema di più sviluppato ragionamento in altri fogli, ne' quali proveremo a far chiaro ad un tempo quanto il chiarissimo sig. Fétis non solo (a nostro giudizio) apprezzasse inconvenientemente il genio del Bellini, ma ed anche desse poco giuste sentenze intorno ad altri primarii nostri compositori ed artisti2

B.



  1. Alcuni pochi compositori guastamestieri, affettando di imitare lo stile beilliniano, mancanti del forte e poetico suo sentire, produssero un genere affettato e bastardo, del quale a suo tempo procureremo di fare la debita giustizia in questi fogli.
  2. Il Grande Dizionario degli uomini musicali, opera acclamata dell'egregio direttore del Conservatorio di Brusselles, ne offrirà parecchi temi di polemica che noi dedicheremo al doppio ufficio di rettificare gli sbagli di fatto ne' quali ei ne sembra incorso, massime nella parte italiana, e di contrapporre a quelle dell'egregio Autore le nostre opinioni sul conto de' molti nostri artisti viventi.

    B.