Gelopea/Atto terzo

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Atto secondo Atto quarto
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ATTO TERZO


SCENA PRIMA

Filebo e Nerino.

Fil. Voleva pur Ergasto
     Menarmi ad uccellar per le montagne,
     E m’empiva la testa
     Di mille sue promesse
     D’ogni forte diletto;
     Ma per certo il mio core,
     Che contrasto d’andarvi
     Era fatto indovin della ventura,
     Che doveva incontrarmi:
     Ergasto, o che diletto
     Perder tu mi facevi
     Co’ vani tuoi diletti.
     Io dianzi andava intorno alla magione
     Della mia Gelopea
     Bramoso di veder quei suoi begli occhi,
     Ond’io mieto ogni bene,
     Ed ecco, ove io son presso alle sue case,
     Ella si mostra fuore
     Della sua fenestrella,
     Bella come un bel giglio;
     Ridevano quegli occhi, ed a mirarli
     Eran pieni di foco,
     Ma di foco soave,
     Che ricreava il cuore,
     Sì come il Sol ricrea
     Un fioretto gravato
     Dall’ombra della notte;
     Rideva quella bocca
     Di perle, e di coralli,
     Ove han riposto il meglio degli odori
     Le rose, i gelsomini
     Le viole, i giacinti.
     Io pieno di dolcezza,
     Che quasi mi uccideva
     Passava avanti, parte rivolgendo
     Gli occhi verso il suo volto,
     E parte inverso terra:
     Ma quando io fui vicino, ecco ella lascia
     Uscir delle sue mani
     Questa fascia di seta, che cadendo
     Ferimmi in sulla spalla;
     E poscia sorridendo si nascose;
     Or questa cara fascia,
     Sì come è vero segno
     Del suo fervido amore,
     Così sarà la pompa
     In ogni tempo e loco
     Della persona mia:
     Ne mi terrò men ricco o meno adorno
     Che s’io fossi guernito
     Tutto d’argento e d’oro.
     E perchè questo giorno in che son tanto
     Caramente onorato
     Viva ben lungamente,
     Voglio a forza intagliarlo
     Nel piè di quel cipresso
     Sotto cui si rauna i dì solenni
     Tutta quanta la villa.
Ner. Ecco pur finalmente
     Ho trovato costui.
Fil. Negli anni che verranno, i pastorelli
     Che leggeran quest’anno
     Colà dentro scolpito,
     Faran lungo sermone
     Di tanta mia ventura,
     E se saranno amanti
     Sospireranno i miei si dolci amori.
Ner. E ben che me gli appressi
     Non forse si partisse.
Fil. Ed io benchè sepolto
     Di sì fatta memoria arò diletto.
Ner. Dio sia teco, Filebo.
Fil. E sia teco Nerino; ove ne vai?
Ner. Vado appunto cercando
     Della persona tua.
Fil. Io mi son qui ben pronto
     Ad ogni tuo servigio, or mi comanda.
Ner. Non ho che comandarti;
     Solamente ti prego che m’ascolti,
     Perchè son per parlarti
     D’affari assai ben gravi.
Fil. Così farò: comincia.
Ner. Filebo, con Lucrino
     Tuo padre ebbi amicizia
     Ben stretta e ben leale; e poi che morte
     Ne lo colse, ho serbato
     Verso te suo figliuolo
     Quel medesimo amore: e se fortuna
     Accompagnasse il mio buon desiderio

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     Così ti gioverei
     Con opra e con ricchezze,
     Come or sì poverello
     Io pur t’amo col cuore.
Fil. Nerino, io l’ho per certo, e ti ringrazio.
Ner. Devi dunque sentir le mie parole.
     Come d’amico, e non negare il vero
     Securo ch’io ti parlo
     Per cagion di tuo bene:
     Filebo io so di certo, che sei preso,
     Nel negar, dell’amor di Gelopea,
     Nè io di questo amore
     O ti lodo o ti biasimo:
     L’amor è passion di gioventute;
     E tu se per amore
     Mai sposassi costei
     Avanzeresti assai la tua fortuna;
     Perch’ella in questa villa
     E fortemente ricca, e tra le doti
     E tra l’ajuto che potria donarti
     Suo padre, certamente
     Solleveresti ben la tua famiglia:
     Ond’io non ti riprendo
     S’hai si fatto pensiero:
     Son ben d’opinion che i parentadi
     Debbonsi procurare
     Con l’onor de’ parenti:
     E non contaminando
     Le donne di niuno:
     Che le cose mal fatte
     Mai non piacciono a Dio:
     E ciò che a Dio non piace
     Non ha giammai buon fine.
Fil. Favelli ottimamente:
     Ma non so la cagione onde ti movi
     A così favellare.
Ner. Ed io la ti vo’ dire,
     Se pario ottimamente,
     Perchè vuoi to guastare
     La castità della tua Gelopea?
Fil. lo far ciò? non giammai;
     E s’io volessi farlo,
     Ella il consentirebbe?
     Tutto questo è menzogna.
Ner. E se questo è menzogna,
     Come avete fermato
     Di ritrovarvi questa notte insieme
     Fuore della sua casa,
     In solitario loco?
Fil. Quale uomo è tanto ardito,
     Che finga una novella sì perversa?
Ner. Filebo io ti dirò cotanto avanti,
     Ch’al fine eleggerai di confessarmi
     Quel che non puoi negare:
     Ascoltami, ti prego: la Licori,
     Fante di Gelopea è mia cognata:
     Costei sui far del giorno
     È stata a ritrovarmi
     Tutta piena d’affanno:
     E cercava consiglio se dovea
     O fuggirsi o fermarsi in quelle case.
     Mi racconto sì come Gelopea
     Ha questa notte posto
     Ordine fermo di trovarsi insieme
     Con esse un giovinetto
     Per uscir di casa, e per tornarvi
     Celatamente, aveva
     Seco comunicati i suoi disegni,
     Perchè le desse aiuto:
     Ora Licori si trovava posta
     In mezzo duo pensieri,
     Ch’abbandonar voluto non arcbbe
     Quella sua giovinetta:
     E d’altra parte teme
     Le molte disventure,
     Che possono avvenire,
     E però meco ne prendea consiglio.
     Io che del vostro amore
     Aveva già notizia, chiaramente
     Di subito compresi,
     Che Filebo era quello,
     Con cui volea trovarsi,
     Però meco ho proposto
     D’essere teco intorno
     A sì fatto negozio.
     Filebo io torno a dirti
     L’insidie e i tradimenti
     Non sono cari a Dio.
     Il padre di costei
     Se non oggi, dimani
     Certo è per risaperlo:
     Nè vorrà tralasciar senza vendetta
     Una ingiuria sì grave;
     Egli è possente, tu se’ poverello;
     Guarda in quanto pericolo ti pone
     Biasmevole appetito.
Fil. Nerino io te’l confermo
     Di questo non so nulla.
Ner. Come che non sai nulla?
     Non avete fermato di trovarvi
     Dentro al fenil d’Alfeo?
Fil. Meco non ha fermato
     Di ritrovarsi in quello,
     Ne meno in altro loco;
     Se tal ordine è fermo
     È fermo con altrui.
Ner. Teco, teco è fermato,
     Che pur te solo ella ama;
     Tuttavia se non vuoi
     Aprirti meco, e non vuoi palesarmi
     Il tuo chiuso secreto,
     Non monta nulla; pure
     Che tu volga la mente a quale impresa
     Voi vi siete disposti,
     E che tu ben rimiri
     A qual risco tu poni
     La tua vita medesma,
     E quella di colei,
     Che tu dici d’amare
     Via più di te medesmo.
     Filebo, io te ne prego
     Con quella tenerezza
     Che farebbe tuo padre,
     E poscia c’ho fornito quello ufficio
     Ch’a me si conveniva,
     Io mi dipartirò: rimanti in pace.

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SCENA SECONDA

Filebo.

     O Filebo, che senti
     Per bocca di Nerino?
     Nel fenile d’Alfeo
     Per impresa amorosa
     Con altrui questa notte
     Deve andar Gelopea?
     Ah Gelopea finora
     Nove così soavi
     Hai fatte di veneno?
     Qual forza ti stringeva
     A mostrarmi sembianti
     Cotanto graziosi?
     Se’l cor non era mio,
     A che furono miei
     Per così lungo tempo
     Gli sguardi e le parole?
     Ma se per qualche tempo
     Il tuo cor fu pur mio;
     Apri tu la cagione,
     Onde subitamente
     Altrui n’hai fatto dono
     Che io per me non trovo
     Là dove t’abbia offeso,
     Nè cosa, onde sia degno
     Di così grande offesa.
     O sere, o giorni corsi
     Con cotanti favori;
     O promesse, o speranze,
     O nozze disïate;
     A sì misero punto
     Dunque siamo venuti,
     Ch’io nelle braccia altrui,
     Oda starsi godendo
     La perfida bellezza,
     Che per darmi la morte,
     Con tanto tradimento
     Tanto mi s’offeriva?
     Ah crudel gente! ah nome
     Senza amor, senza fede
     Femmina! Or dunque in ciclo
     Non sarà tuono o fiamma,
     Ch’un di faccia vendetta
     Di tanto ingrato seme?
     Pera il giorno ch’uscisti
     Fuor del ventre materno
     Iniqua Gelopea;
     Perano gli occhi tuoi
     Maestri di fierezza,
     Nati per fare strazio
     De’ cuor suoi più fedeli.
     O tu c’hai del suo petto,
     E non so per qual modo
     Intera signoria
     Giovine sconosciuto,
     Fuggi, fuggi quest’empia,
     Lasciala in abbandono;
     Non credere a’ suoi vezzi,
     Che con essi l’ingrata
     Ha traboccato a morte
     Un che non seppe mai
     Salvo sempre adorarla;
     Ma lasso, io qui mi doglio
     Indarno, e mi lamento
     Pieno d’angoscia, ed essi
     Non si lamenteranno,
     Che bene accolti insieme
     Fra giochi e fra dolcezze
     Si goderanno; come
     Ch’essi si goderanno?
     Or per me non rimane
     Almeno un’asta, un spiede
     Almen per vendicarmi?
     Non sapeva costui,
     Ch’io n’era fatto amante?
     Che quella empia bellezza
     Era già fatta mia
     Per cotante promesse?
     O misero Filebo,
     L’amor fin qui cresciuto
     Così soavemente
     Terminerassi in sangue,
     Ed in ferro ed in morte;
     Ecco, dove mi tira
     Tua fede, e tuoi costumi
     Iniqua Gelopea;
     Che fossi io nato cieco;
     Che mi fosser caduti
     Gli occhi quand’io ti vidi,
     Che mi si fosse spento,
     Il cor quando t’amai.

SCENA TERZA

Telaira, Filebo.

Tel. Veggio io Filebo là, che stassi in atto
     Di lamentarsi, tutto
     Afflitto e tormentato ne’ sembianti?
     Egli è certo Filebo,
     Carissimo Filebo,
     Carissimo fratello,
     Ond’è, che ti rimiro contristato?
     Perchè ti veggo a gli occhi
     Questi novelli pianti?
Fil. O Telaira, quanto
     Meglio saria per gli uomini, che al mondo
     Non ci fosse d’Amore,
     O ch’almeno le donne
     Ci sapessero amare
     Con un poco di fede.
Tel. Perché queste querele?
     Dillo, ch’io te ne prego.
Fil. La nostra Gelopea,
     Come potrò mai dirlo?
     Ella s’è data in preda ad un amante,
     E questa notte, questa notte deve
     Esser con esso lui.
Tel. Ah fratello, ah Filebo
     Non dir queste bestemmic
     Gelopea con altrui?
     Qual fu l’uomo maligno,
     Che disse la menzogna smisurata?
Fil. Non è uomo maligno;
     Hallo detto Nerino.
Tel. E come sa Nerino
     Così fatto secreto?

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Fil. Lo sa per la Licori
     Fante di Gelopea.
Tel. E perchè Gelopea
     L’ha detto alla Licori?
Fil. Per aver più bell’agio
     D’uscire, e di tornare
     A mezza notte in casa.
Tel. Ma perchè la Licori
     Dovea dirlo a Nerino?
Fil. Nerino è suo cognato;
     Ed ella paventando di quei rischi,
     Che possono avvenire
     In opere si fatte,
     Corse a lui per consiglio.
Tel. Or quale è questo amante
     Uscito di sotterra
     Tanto improvvisamente?
Fil. Non si sa, ma Nerino sospettando,
     Ch’io non fossi quel tale,
     Venne per ammonirmi e per pregarmi,
     Ch’io non facessi ingiuria
     Si grave a quel casato;
     Ed io negando, come veramente
     Dovea negare, ei quasi argomentando
     Contra di me mi disse,
     Che il loco destinato
     A questi amori ascosi
     Era il fenil d’Alfeo,
     E si parti ben certo,
     Ch’io fossi quel pastore,
     Che trovar si dovea con Gelopea,
     Che così fosse ognuno
     Con esso l’infedele,
     Come vi fia Filebo.
Tel. Filebo io non vo’ dire,
     Che Nerino l’inganni,
     Più tosto crederò, ch’ei sia ingannato,
     Ma, ingannato o no, che Gelopea
     Sia cotanto malvagia
     E certamente inganno.
     Duolmi, che per l’amore,
     Che vi portate, a me sia divietato
     Entrare in casa loro;
     E che sia divietato a Gelopea
     Il meco favellare,
     Che certamente or ora
     Farei che con sua bocca t’aprirebbe
     La strada da venire
     A trovar questa froda;
     Ma perché so come la gelosia
     Metta presto radici,
     Nel petto di chi ama,
     E so come ne tratta, io vo’ condurti
     A ritrovare il vero
     Per un altro cammi@;
     Vanne nascostamente
     Entro il fenil d’Alfeo
     E là dentro t’appiatta;
     Se non verrà niuno
     Tu sarai fuor d’affanno;
     Se verrà Gelopea
     Tu farai tue querele, e tue vendette;
     Ma non verrà niuno.
Fil. Io benché sia tradito
     Ingiustissimamente,
     Non ho per tanto il cor così gagliardo,
     Ch’io le dia tanta pena,
     Quanta ella sentirebbe in rimirarsi
     Colta su tanto fallo,
     Da me massimamente;
     Ciò non potria far mai;
     Ma si ben sommamente ho desiderio
     Di spiare chi sia
     Il tanto fortunato,
     Che trova tanta fede
     In quel petto ove io trovo
     Cotanto tradimento:
     E però viemmi in core
     Di vestire i tuoi panni,
     E per quelle contrade raggirarmi,
     Per questo modo io posso agevolmente
     Ben riconoscer loro
     Senza esser conosciuto.
Tel. Fa come più ti piace.
Fil. Come è possibil cosa,
     Ch’ella doni se stessa a chi non l’ama?
     Ma che alcun l’abbia amata,
     Non so salvo Berillo.
Tel. Ah che tu di’ pazzie!
     Se Berillo più volte l’ha richiesta,
     Al padre per sposarla,
     E se’l padre più volte
     S’è turbato con lei,
     Perchè non vuol sposarsi:
     Dev’ella essergli amica
     Potendo essergli moglie?
     Fi. Hai ragion veramente; io non ritrovo
     Chi possa esser costui.
Tel. Nè tu ritroverai
     Nel fenile d’Alfeo
     Alcun; sta di buon core; entriamo in casa.
Fil. Entriamo, ch’oggimai
     Il sole abbassa, e l’ombre
     Allungando si van sopra la terra.