Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. VI/Libro IV/I

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Libro IV - Cap. I

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Libro IV Libro IV - II
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CAPITOLO PRIMO.

Si notano le cose più ragguardevoli della Città di Siviglia,

e si proseguisce il viaggio sino alla

Corte di Madrid.


A
Rebbe voluto il Sig. Conte, che io mi stendessi sino a Fernan Nuñez, a vedere il suo figliuolo primogenito; però iscusatomi, al meglio che potei, colla lunghezza della strada, mi partij il Mercordi 2. verso il porto di S. Maria. Giuntovi ancor per tempo, albergai nell’Osteria del Fiammengo, il quale trattava bene, per nove reali al . Passai quindi a visitare il Signor Duca d’Alburquerque, e la Signora Duchessa, siccome avea loro promesso i dì passati. Tornato all’albergo, il buon Fiammengo mi fece una buona tavola; ma io sarei stato digiuno tutta la giornata, per sentirlo ragionare, e anfanare di sua nobiltà. Trasse egli fuori un privilegio (a lui conceduto dalla fel. mem. del Re Filippo IV.) in una succida carta pergamena, e disse essergli [p. 347 modifica]costato otto doppie. Un Capitano però di vascello Olandese gli facea roder le labbia; poichè prendendo la baja di lui, dicea, che l’armi dipinte nella pergamena non eran sue; e che siccome egli lo avea comperato da qualche rigattiere, cosi lo pregava a rivenderlo a lui per una pezza da otto.

Preso affitto un calesso il Giovedi 3. per dodici reali, andai per tre leghe di paese ben coltivato, sino a San Lucar di Barrameda; luogo più grande di Cadiz, posto sulla sinistra riva del fiume Guadalchivir, (che lo rende molto abbondevole) e che appartiene al Duca di Medina Sidonia. Quivi mi posi in barca, prima di tramontare il Sole; e dopo aver fatte sei leghe, andando sino a mezza notte coll’ajuto della Corrente, e del vento; gittaron l’ancora i barcajuoli, e stemmo fermi il resto della notte. Il Venerdi 4. venuta la Corrente favorevole, tre ore dopo uscito il Sole, andammo innoltrandoci in sù. Questo fiume, benche sia obbliquo, e con molte rivolte, è nondimeno placido, e largo circa cento passi. Giugnemmo a vespro in un villaggio, detto la Pobla; e poscia in Corea terra Regia, quivi da presso; amendue a destra del fiume, e [p. 348 modifica]discoste 12. leghe da S. Lucar. Fatte quindi due altre leghe, venimmo a Ghelvis, Casale appartenente al Duca di Veraguas; donde non lungi ne fermammo, perche la Corrente era bassa, e contraria. Aspettata, sino a due ore dopo mezza notte, la piena, coll’ajuto di essa, ci ponemmo in cammino; sicchè un’ora avanti dì demmo fondo vicino la Torre dell’Oro; e dove fu d’uopo regalar le Guardie, acciò non visitassero i forzieri.

Venuto il Sabato 5. entrammo in Siviglia, per la porta dell’Arsenale, dove diedi alle Guardie mezza pezza d’otto, acciò lasciassero passar le mie robe. Mi ricevette cortesemente in sua casa Andrea Castagnola Genovese, e dopo desinare mi menò in una carrozza a quattro, a passeggiare nella Lameda. Si veggono quivi lunghe file d’alberi, e una fontana nel mezzo, le cui acque servono per innaffiare ogni sera la piazza, e per entrare ne’ canali all’intorno. Nell’entrata sono due ben’alte, ed antiche colonne, con due statue al di sopra, maltrattate dall’ingiuria del tempo, una delle quali dicono, che rappresenti Ercole, e l’altra Giulio Cesare; non si sà però se fussero veramente erette da Romani, ed io ne dubbito forte, per le [p. 349 modifica]parole intagliatevi: plus ultra: se pure non vi furono scolpite allora, che furono erette le colonne.

Siviglia è situata in luogo piano, ad altezza di 37. gr. e 20. m. La sua figura, quasi rotonda, terrà di circuito poco meno di due leghe; circa un miglio di lunghezza da Settentrione a Mezzodi, e poco meno di larghezza da Oriente a Ponente. Ella è cosi ben popolata, che vi sono circa 42. Conventi di Religiosi, 36. di Religiose, e dodici Ospedali, oltre le Chiese parrocchiali; e tutte di buona fabbrica, non meno che i palagi, e case de’ cittadini. Le strade però non sono lastricate, anzi strette, e curve, e molto simili nella struttura a quelle delle Città Moresche; onde avviene, che sono incomodissime in Estate, per la polvere, e in Inverno per lo fango; oltre che sono intricate in modo, che facilmente vi si confonde un forestiere. Alla cinta delle sue basse mura, s’entra per 14. porte; la più rinomata delle quali si è quella di Xeres, per dove entrò il Santo Re Ferdinando, allor che discaccionne i Mori. I Borghi sono di S. Bernardo, di S. Benedetto, di S. Roque, della Tablada, la fuente del Arçobispo, ed altri. A destra del fiume si [p. 350 modifica]vede un’altra Città picciola, detta Triana, alla quale si passa per un ponte di legno. Non v’ha altro di ragguardevole, che un Convento di Certosini, e’l palagio, e carceri dell’Inquisizione. E’ adunque Siviglia, cosi per la grandezza, come per gli abitanti, niente inferiore a Madrid. Gli uomini sono più ben fatti delle donne, però molto superbi.

La Domenica 6. verso la sera, andammo a veder l’Alcassar, o Palagio de’ Re Mori. Intorno al primo cortile, ch’è assai grande, si veggono le abitazioni, che servivano per la famiglia; donde passandosi per un portico, sostenuto da 32. colonnette di marmo (dove dicono ch’era la stalla Reale) si va a’ bagni. Si truova quindi il secondo cortile, intorno al quale sono bellissime stanze, nel piano inferiore, che servono di presente per Archivio; e nel superiore, per abitazione del Governadore della Città; tutte però hanno del Regio, benche gli stucchi, e dorature si veggano esser di mano barbara.

Nel vano de’ bagni sono quattro quadri di melaranci, per diletto (come dicono) della Reina D. Maria Padilla, moglie del Re D. Pietro il crudele, che usava di andarvi sovente. A fronte de’ medesimi è [p. 351 modifica]la porta principale, che conduceva agli appartamenti. Si truova primamente una lunga sala, dalla quale si passa a un altra simile, e quindi a una buona camera, da cui si scende agli appartamenti inferiori. Quivi si vede un bel cortile a modo di chiostro, con 52. picciole colonne di marmo, e all’intorno sette stanze alla Moresca, vagamente adorne di stucchi; in particolare merita d’esser riguardata una cupola, e una stanza, dove forse era il Trono Regale. L’opera mostra esser principiata da’ Mori, e terminata, e ristorata in parte dagli Spagnuoli.

Dalla seconda sala si passa, per una porta di ferro, prima in un piano, dove è una gran peschiera, con una statua, che butta acqua per varie parti; e poi scendesi a destra, per due scale in due quadri, circondati d’alti, e folti mirti. Sono quivi diverse statue, vestite del medesimo verde, e rappresentanti un coro di musici, con varj strumenti in mano. Nel suolo sono varj zampilli d’acqua, per bagnare all’impensata chi passa. Camminandosi avanti, sul medesimo piano, a destra si truovano due altri quadri di mirti, artificiosamente lavorati. Vassi quindi in un’altro luogo murato, in cui si veggono [p. 352 modifica]otto quadri, con varie piante; all’intorno spalliere di mirti; e nel mezzo buoni viali, per passeggiarvi. Vi sono due fontane; una allato al muro, vagamente lavorata, e l’altra sotto una volta, con molte figure d’animali, e di uomini, uno de’ quali suona una tromba. Nell’estremità del viale, opposta a questa volta, ch’è detto; s’entra per una porta, a vedere una fontana, fatta a modo di scoglio; la quale stava per rovinare, per difetto di riparazione: all’intorno sono folti quadri di mirti. Passandosi per un’altra porta a fronte, si vede una casetta di ritiro, coperta di porcellana, però malamente disposta; e allato di essa un’altra peschiera, con una statua, che butta acqua. Vi sono anche molti quadri di rose, ed altri fiori. Contiguo a questo è un’altro giardino di melaranci, e limoni; e un’altro di verdure, separato con un alto muro. Si veggono quivi due ordini di volte, l’un sopra l’altro, con balconi di ferro dorato. Tutto quel, che sin’ora è descritto, sta serrato d’alte muraglie, con torri quadrate, in competenti spazj.

Il Lunedi 7. andai, col Castagnola, in carrozza vedendo la Città. Entrammo in prima in S. Paolo, Convento de’ PP. Domenicani, non ancor compito: la pianta [p. 353 modifica]però è ben grande, con grandi pilastri, che hanno a sostenere le volte de’ dormentorj per i 50. Frati. La Chiesa è ampia, e a tre navi.

Andammo poscia a vedere S. Francesco, Convento ragguardevole, non per la bellezza, ma per la grandezza; essendovi più chiostri, e dormentorj, con infinite stanze per servigio di 200. Frati. Il Noviziato sta separatamente in un angolo dell’orto. La Chiesa non è molto grande, però tiene più cappelle all’intorno, che sono tante picciole Chiese, particolarmente quella de’ Biscayni, e Portughesi. Allato della Chiesa è una sala rotonda, apparata di velluto cremesino, ove s’uniscono i 24. Regidori, che governano la Città, coll’assistenza degli Alcaldi, e Giurati, che s’oppongono loro nelle cose pregiudiciali. Seggono i primi in alcuni banchi fermi, posti in alto all’intorno; e i secondi nel piano, in altri banchi coperti di cuojo: una simil sala è nel piano superiore, per l’Inverno.

La Chiesa della Mercede, in cui poscia entrammo, benche picciola, è molto bella; e’l Convento è molto capace, con vaghi Chiostri, adorni di colonne di marmo: e questo fù il primo, che si [p. 354 modifica]fabbrcasse in Siviglia dopo il discacciamento de’ Mori, nel 1249.

Fui poscia a vedere la Lonja, o Casa del commercio d’India; la di cui fabbrica è ben grande a volta, sostenuta da gran pilastri di pietra viva. Quivi sotto un baldacchino, posto in una bella sala, amministrano giustizia a’ mercanti due Consoli, e un Priore: ed han cura di tassare, e riscuotere da’ medesimi i donativi, che dimanda il Re nell’arrivo de’ gaieoni; oltre i diritti per le spese de’ Ministri. Quell’anno, non ostante le perdite datte in Cartagena, ebbero i mercanti a pagare in Portovelo tre milioni, e mezzo; e pure i Consoli pretendeano, di far loro pagare maggior somma.

Entrammo poi a vedere il palagio Arcivescovale, di ordinaria architettura. Vi sono due cortili, e capaci appartamenti, cosi sopra, come sotto, per l’abitazione di sì grande Arcivescovo; la di cui rendita monta sino a cento, e ventimila pezze. Il più bello, che sia ne’ superiori, è l’oratorio; e nella sagrestia i preziosissimi arnesi sacri, forniti d’oro, e artificiosamente riposti in piccioli forzieri.

La Chiesa Arcivescovale, quivi vicina (modello di tutte le Cattedrali d’India) [p. 355 modifica]può dirsi un’altro S. Pietro di Roma; così a cagion della grandezza, come per non esser ancora terminati, dopo tanti anni, i suoi lavori, da non venire a fine se non dopo molti secoli. Da un quadrato di melaranci, circondato da mezze colonne, con catene di ferro, si entra a una delle cinque porte laterali, che ha la Chiesa, oltre le tre del frontispizio, che non è per anche terminato.

E’ questa Chiesa al di dentro lunga circa cinquanta passi, larga a proporzione, e formata a cinque navi, con buoni pilastri. Vi saranno in tutto 75. altari; però il maggiore è d’un lavoro incomparabile, fatto in figura di mezzo circolo; e vi si passa dal Coro, per una strada serrata da balaustri di ferro dorato. Mi dissero, che il cereo, che vi si pone allato il Sabato santo, pesa 625. libbre Spagnuole, overo 25. arobas. Il Coro è anche adorno di bellisaime scolture, e di duo buoni organi. Nella Cappella dove riposa il corpo del Santo Re Ferdinando, si vede, da l’un lato il sepolcro del Re Alfonso, eletto Imperatore; e dall’altro quello della Reina Beatrice. Sulla tomba di Don Fernando Colon, figliuolo di [p. 356 modifica]Cristoforo, Scopritore d’America, si leggono questi versi.

A Castilla, y Lyon
Nuebo Mundo diò Colon.

Attendono al culto Divino in questa Cattedrale 95. Capitolari, oltre i ministri li inferiori, e musici, co’ quali saranno in tutto 250. persone, alimentate, e mantenute, giusta i loro gradi, con 80. mila pezze. Nella sagrestia, oltre i vari ornamenti di pitture, e scolture, e preziosissime reliquie, si vede una Custodia d’argento, che pesa 2650. libbre Spagnuole; e un Tenebrario di bronzo, del peso di 2000. libbre, che mi dissero aver costato 30. m. pezze, per l’eccellenza del lavorio. I libri di canto fermo, per servigio del Coro, costano 80. m. pezze. Mostrano anche la chiave, per mezzo di cui il Re Moro rendette la Città a S. Ferdinando.

Contiguo alla Sagrestia è l’Antecapildo ornato di mezzi rilievi di marmo, fatti da eccellente maestro. La stanza, dove si congregano i Capitolari, è rotonda, e a volta, apparata tutta di velluto cremesino. Allato della Chiesa è l’Oratorio, dov’è riposta la Santissima Eucarisìia, da recarsi [p. 357 modifica]a gl’infermi. Vi sono undici altari, e una buona Sagrestia; il tutto adorno di belle statue di marmo di mezzo rilievo. E’ questo Oratorio servito da quattro Curati.

La Torre poi è un’opra assai magnifica. Ella è quadrata, e fatta di soda pietra, con bellissimi lavori. Si va sempre restringendo verso la sommità; perocchè ha di altezza più di 200. piedi geometrici. Al di dentro si vede una scala, per la quale si può montare a cavallo sino alle campane (che sono 25. tra picciole, e grandi) e a molte stanze, per le persone di servigio. Nella cima è riposta una statua di bronzo dorato, detta Gherardillo, che vien mossa, e girata dal vento.

Verso le 22. ore, postomi in carrozza, andai a vedere la casa de los venerabiles (overo Ritiro de’ Preti) che attualmente si stava fabbricando, con grande spesa. La Chiesa è assai ben’adorna di stucchi dorati, e di vaghe dipinture: e’l Convento ha famosi dormentorj, e un vistoso chiostro, con colonne di marmo. Uscito fuori della Città, entrai a veder l’Ospedale de la Caridad. La casa è di buona fabbrica, e grande; e ne’ corridoi letti bene ordinati. La Chiesa, quantunque [p. 358 modifica]picciola, con soli cinque altari; è molto ragguardevole, per le ottime dipinture. Mi mostrarono quivi una bella Custodia d’argento.

La casa di S. Elmo è un luogo, dove si ricevono i fanciulli, per essere istrutti nell’arte marinaresca, con un Vascello, che è in mezzo d’un Cortile; e poi mandarli nell’Indie. Nel ritorno gli Amministrator della Casa gli ricevono; e ricuperano dal Commercio, e dal Re il loro salario, sempre che essi voglion continuare a vivere nell’Ospizio, ch’è ben grande.

Passeggiammo poi all’intorno le mura, sino a gli aquidotti; che benche fatti (come mi dissero) da’ Romani, pure di presente conducono l’acque in Città. Andammo poi nel prato detto di S. Giusta, e Rufina, (protettrici di Siviglia) perche quivi furono martirizate; e quindi rientrammo per la porta di Carmona. In passando vidi il palagio, che fece fabbricare il Duca d’Alcalà, ritornando dalla sua peregrinazione, sul modello di quello di Pilato, che s’addita in Gerusalemme.

Il Martedi 8. entrai a vedere i Tribunali; e passato per un buon Cortile, circondato da belle colonne, con una buona [p. 359 modifica]fontana nel mezzo, trovai tre sale: due dei civile, dove si congregano quattro Auditori per cadauna; e l’altra del criminale, dove seggono tre Alcaldi, e un fiscale. Assiste un Regente togato a suo arbitrio, ora in una, ora in un’altra, come Presidente; e perciò tiene ivi la sua abitazione.

Andammo poscia a vedere la casa della Contrattazione, nella quale sono tre sale: una detta di governo, che si compone di un Presidente, e alquanti Cavalieri di cappa, e spada; l’altra di Giustizia, con tre Auditori, e un fiscale, e la terza del Tesoro, dove si radunano altri Officiali Regj. Abita nella casa suddetta il Presidente.

A buon’ora il Mercordì 9. andammo in una carrozza a sei, io, e l’amico Castagnola nel Convento di S. Girolamo. La cosa più maravigliosa, che quivi sia, è una statua del Santo, fatta di creta, sono già 180. anni (col Crocifisso, e’l lione) da un Napoletano; così al naturale, e secondo tutte le buone regole dell’arte, che par vivente. La felice memoria di Filippo IV. la vide, e la dimandò per l’Escuriale; però i PP. si scusarono sulla difficultà di trasportarsi cosa tanto fragile per sì lungo cammino. Il Convento è ben [p. 360 modifica]grande; e la Chiesa, quantunque picciola, ha nondimeno sette altari, bene ornati. In tornando alla Citta, passammo per l’Ospedale di S. Lazaro, e per quello de la Sangre: il primo per curarvisi il mal di S. Lazaro; e’l secondo per altri morbi. E’ questo una gran fabbrica quadrata, fatta fare dal Duca d’Alcalà; e vi si veggono di buona architettura fatte bellissime sale, e un cortile circondato da colonne.

Passato il ponte fummo a Triana, e di là a las Cuevas, o Cartuja. Quanto il Convento è grande, e con magnifiche colonne; altrettanto la Chiesa è picciola, però bene ornata. Vi sono sei sepolcri, con belle statue di marmo, de’ Conti di Tarife. La Sagrestia tiene preziosissime reliquie, e supellettili di gran valore. Fan vedere una moneta di bronzo, che dicono esser una di quelle, che fur date a Giuda. Nella Sala Capitolare si veggono due statue de’ medesimi Conti; e sopra un vago altare, una di Nostra Signora, assai ben scolpita. In un’altra stanza si vede il sepolcro dell’Arcivescovo Mena, Fondatore del luogo.

Nel ritorno, che facemmo ben tardi a casa, mi fu mostrato nella strada, detta il Candelejo, un mezzo busto del Re D. [p. 361 modifica]Pietro il crudele. Richiestane la cagione, fummi detto: che andando egli di notte incognito, come solea, spiando ciò che si facea nella Città; s’abbattè in un valente Spagnuolo, il quale non volle cedergli il passo: onde venuti alle mani, toccò in sorte al Re d’ucciderlo. La mattina trovatosi il cadavere, comandò il medesimo Re, che si procedesse severamente, e si proccurasse d’aver contezza dell’uccisore. Si adoperò tanto l’Alcalde, che scoverse il fatto; onde richiesto dal Re, rispose, che egli non si potea innoltrare col processo, perche l’uccisore era persona di troppa autorità. Impostogli però di nuovo, che procedesse pure secondo la maggior severità delle leggi, qualunque si fusse il personaggio; fece l’Alcalde decapitare il Re in figura; e in ricordanza di tal fatto si fece il mezzo busto, nella strada, ove accadde l’omicidio.

Il Giovedì 10. andai la mattina al mercato, e vi trovai un gran concorso di compratori, e venditori; e dopo desinare a un Castello, che dicono fabbricato da’ Mori, oggidì detto S. ]uan d’Alfarace, mezza lega distante dalla Citta. Non se ne vede altro, che il sito, sopra un monte; perche le mura sono rovinate; vi è però [p. 362 modifica]dentro un Convento di S. Francesco. Veduta poi la massaria dell’amico Castagnola, tornammo a casa.

Il Venerdì 11. andai ne’ Tribunali, a udir ragionare della causa di quindici inquisiti di vizio nefando. Vi fu molto concorso, per la novità del delitto; però si differì il decretare per un’altro giorno. Tornammo il Sabato 12. in S. Juan d’Alfarace; e ben tardi fummo a casa, essendosi per istrada rotto un tirante della carozza.

La Domenica 13., preso congedo da gli amici, mi partii per Madrid, in una carrozza, tolta affitto per 54. pezze, con P. D. Andres Herrera Vicario Generale di Quito nel Perù, il Padre Maestro Manuel Mosquera de’ PP. della Mercede di Papayan, e D. Paolo d’Ossaetta di Lima. Come che uscimmo di Siviglia presso al tramontar del Sole, non giugnemmo in Castel bianco, che un’ora dopo mezza notte; fatte cinque leghe di strada, parte piana, e parte montuosa. Per averci maggior libertà, andammo in un’albergo; però stemmo assai male, a cagion d’una Ostessa indiavolata, la quale a patto alcuno non volle darne letto, perche avevamo mandate altrove le mule della carrozza. [p. 363 modifica]

Il Lunedi 14. andammo per un monte sassoso, e difficile. Circa mezzo dì prendemmo riposo in riva a un fiumicello; e quindi, dopo sette leghe ci fermammo a due ore di notte in S. Olaya. Prima di entrar nella Terra, si rivoltò la carrozza sossopra, con evidente pericolo di morirvi alcun di noi sotto. La cena fu mezzana, ma il letto pessimo. Restammo il Martedì 15. nell’istesso luogo, per far riposare le mule; e intanto noi ci andammo sollazzando all’ombra di una buona lameda, cioè a dire d’una strada adorna d’alberi per lo passeggio. L’oste ne fece pagar cara la mala stanza, prendendosi nove pezze d’otto, per l’albergo di quattro persone. A buon’ora il Mercordì 16. posti in carozza, venimmo, dopo due leghe di comoda strada, in Monasterio. Questa è la prima Terra dell’Estremadura, ed appartiene a D. Domenico Centurione. Dopo desinare, rimessi in cammino, sempre scendendo, arrivammo, dopo tre leghe, a Fuente de Cantos; buon Villaggio, ove sono due Conventi di Religiose, ed uno di Frati.

Il Giovedi 17. facemmo 4. leghe, sempre di paese piano, per venire a los Santos, Villa Regia, ben popolata; donde, essendoci [p. 364 modifica]riposati tutto il dì, tardi partimmo per gire a Villafranca, due leghe quindi discosta. In queste osterie, dapoi che han fatto pagare a’ viandanti il mangiare, e’l letto; vogliono un tanto per lo Ruydo, o rumore, benche siano stati quietissimi.

Stemmo anche la mattina del Venerdi 18 nell’istessa Villa; e ne partimmo dopo desinare per Merida; dove: giugnemmo, a fine di sei leghe, un’ora dopo mezza notte. Avemmo una mala osteria, perche tutte le buone stavano occupate, per servigio dell’Ambasciadore, che tornava da Lisboa. Merida è una Città Regia abitata da 800. famiglie, fra le quali sono molte case nobili, dette dagli Spagnuoli solariegas. Il più ragguardevole, che vi si vegga, è un famoso ponte di pietra, lungo mezzo miglio Italiano, e largo tanto, quanto basta per andarvi due carrozze del pari; sopra il fiume Guadiana. Vi è un antico castello, che fu de’ Priori Conventuali di Lyon, i quali portano nell’abito la Croce di S. Giacomo. Vi sono oltreacciò quattro Monasterj di Monache, e quattro di Frati; nè la strada del passeggio è da dispregiarsi.

Partimmo ben tardi il Sabato 19.; e fatte due leghe posammo nel picciol Casale [p. 365 modifica]di S. Pedro. Ripigliato quindi il cammino a venti ore, passammo dopo tre leghe di pianura, a Medellin, et indi ad altre due a Mijadas; amendue luoghi del Conte di Medellin. Trovammo prese tutte l’osterie dall’Ambasciadore, onde la passammo malamente.

La Domenica 20. dopo desinare, fatte tre leghe, rimanemmo in S. Crux; donde, a mezza notte riposti in cammino, andammo il Lunedi 21. in Torresillas, lasciando da un lato Truxillo.

Partimmo dopo desinare, con grandissimo caldo; e nello scendere, e salire che facemmo per alte, e strabbocchevoli montagne (nidi di ladri) si ruppe tutta la carrozza; sicchè rimanemmo a cielo scoperto. Nel passare poi, che facemmo dopo tre leghe al bujo per las Casas di Mirabete, mi si ruppe lo scoppietto, e perdei qualche altra cosa. Quindi, a fine di due altre leghe, passammo sopra un gran ponte di pietra, il fiume Tajo, o Tago, e gimmo a pernottare in Almaras.

Il Martedi 22. acconciata la carrozza, partimmo dopo vespro; e fatte due leghe di strada, per un piano ben coltivato, in cui era un bel villaggio, andammo ad albergare alla Calsada d’Oropesa. [p. 366 modifica]

Stemmo in questo luogo tutta la mattina del Mercordi 23. e poi circa le 20. ore ci ponemmo in cammino, per buon paese, sparso di varj Casali; e fatte due leghe, passammo per Oropesa, appartenente al Sig. Conte di questo nome. Ella è posta questa terra sopra un colle: le mura che la circondano, sono cattive; ne’ borghi però all’intorno sono di buone fabbriche. Innoltratici altre quattro leghe per mezzo d’una selva, giugnemmo nell’Osteria di Pedro Venedos, dove non trovammo nè letti, nè cibo, poiche sempre vi si teme di ladri. L’anno antecedente, nel mese d’Aprile, nove di essi, aveano ligati, e poi rubati da 40. passaggieri. Riposatici un poco, passammo dopo 4. leghe in Talabera; Villa ben conosciuta, per la buona porcellana, che vi si lavora; e che farà circa 8. mila famiglie. I migliori edificj sono 14. Conventi di Religiosi, e Religiose;5 perche le case son tutte confuse, e con poca simmetria. Vi è un buon passeggio, detto di nostra Signora del Prado, con lunghe file d’alberi.

Il Giovedi 24. ne partimmo verso lo 20. ore; e fatte sei leghe per buone pianure, pernottammo in S. Olaja, Casale del Conte d’Orgas. Ripigliammo il cammino [p. 367 modifica]il Venerdi 25. dopo vespro, fra oliveti, e buoni villaggi, (particolarmente Nòves) e dopo aver fatte sei leghe, pervenimmo in Casa Rubia. Sentimmo Messa in questo Casale il Sabato 26. e dopo desinare andammo, dopo quattro leghe, a pernottare in Mostobes. La Domenica 27. sentita Messa, ne partimmo; e a capo di tre leghe, entrammo in Madrid, per lo ponte di Segovia. Presi albergo nella Calle de Silva; ma poi me ne andai in quella dell’olivo alto.