Gli elogi del porco/Capitolo primo

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Ai saggi e dotti amadori della poetica novità Capitolo secondo
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CAPITOLO PRIMO


INDIRIZZATO DALL’AUTORE


All’Illustrissimo Signor Dottore Rettore


GIAMBATTISTA ARALDI


Elemosiniere, e Segretario di S. A. S.


LA SIGNORA


PRINCIPESSA EREDITARIA

DI MODENA.


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Illustrissimo Sig. Sig. Padrone Colendissimo.


LL
E mie distinte ubbligazioni, e il mio sommo rispetto per V. S. Illustrissima faranno, che io riceva sempre per un comando ogni sua piucchè menoma dimostrazion di piacere. Pranzando insieme settimane sono, in Casa Marchisio, (Famiglia di sempre commendabile ricordanza) allorchè a perfetto illustramento della copiosa imbandigione comparvero due Cotichini, V. S. Illustrissima enfaticamente me gli additò per un oggetto tutt’affatto capace delle Poetiche acclamazioni. Allora io tacqui ma da quel momento mi proposi di ubbidirla, per quanto l’avessero comportato, e le mie servili faccende, e l’infelice scarsezza dei miei talenti. Infatti sbrigatomi appena da sagro Componimento recitabile quanto prima in Accademia, ho messo insieme il quì annesso Capitolo scaccheggiato a più colori Berneschi, e toscanamente familiari, a misura dell’Eroe, che vi fa dentro da Protagonista. Se una così indigesta tiritera di rime abbia a piacerle, avrei della vanità a crederlo, avrei del rimorso a giurarlo. Basta almeno, che meritino d’essere compatite, come parto escito all’infretta, e che giungano a divertirla qualche poco in qui brevi, oziosi [p. viii modifica]momenti, che le rimangono dell’indefessa, operosa sua vigilanza per le anime a Lei affidate; e dalle gravi occupazioni sue risguardanti le speziose, e sì ben sostenute sue incombente per la Serenissima Signora PRINCIPESSA EREDITARIA, a cui le Muse, e le Eroiche Virtudi tutte augurano la più luminosa ben dovuta immortalità; e per fine da’ profondi, e vantaggiosi suoi studj, pe’ quali V. S. Illustrissima, e in Patria, e fuori s’è fatta conoscere sì gloriosamente

Scorta, e Maestro anche a Color, che sanno.

Ma se per mia fatalità tali mie rime dovessero piuttosto moverla a noja, ed a sbadiglio, imploro sopra loro in questo punto, e l’obblivione, e le alici, nè si parli di esse mai più, e solo mi compatisca, e me la perdoni; e potrò ben meritarlo, se l’unico mio fine è stato quello di convincerla, che in me, piucchè un Verseggiatore, Ella vi tiene Persona, che si pregierà d’essere in ogni tempo per inclinazion, per dovere, e per inalterabile ossequio



Divotissimo, ed obbligatissimo Servidore
D. Giuseppe Ferrari.





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IN LODE DEL PORCO


CAPITOLO I


MM
usa non ingrugnar; taci un momento:

     Oh! questa volta nò non me l’accocchi,
     3Se non la sputo già crepar mi sento.

In argomenti, o perigliosi, o sciocchi
     Io non ti azzardo: e poi, Signora mia,
     6Ognun può far de la sua pasta gnocchi.

Dielsà se tenga a onor tua compagnia;
     Ma se mi fai dell’Aristarco addosso,
     9Oh! bacia il Chiavistel, vattene via.

Io mi son un, che mai non bevo grosso,
     La dico qual la sento, o adesso, o poi,
     12E so senza di quel, che aver non posso.

Credi che un Vate i movimenti suoi,
     L’Estro, l’ardir dal tuo favore attenda?
     15Pianta queste carote ai Greci tuoi.

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Pria che sua spoglia ad informar discenda
     Alma quaggiù, fra le rotanti sfere,
     18Forz’è, che d’armonia tutta s’ accenda;

E se talor noi la vediam giacere,
     O schiva, o indifferente al suono, al canto,
     21L’organo è in colpa, a cui dee soggiacere.

In vita mia non m’ hai fatto altrettanto;
     Basta; intendesti: il favellare or torco
     24Al grande Eroe, ch’or su mie rime ha il vanto.

Parlo di Te, mio rispettabil Porco,
     Onor de la quadrupede Famiglia,
     27Benchè di fuori impiastricciato, e sporco;

Che tu vivi alla buona, e senza briglia
     Di moda, e servitù, che tanto annoja;
     30L’usanza tua di libertade è figlia;

E Plinio insegna, che un calor da Boja
     Sempre t’investe, ond’è, che poi ti piace
     33Nel Pantano smorzar sì crudel noja.

Roma, Epidauro con sua buona pace
     Adorár Serpi; idolatrò l’Egitto
     36Gatti, Cipolle, e il Coccodrillo edace:

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Lodò l’Orzata in voce, ed in iscritto
     Ippocrate; e Caton quel fier Romano,
     39Per un Cavolo sol sariasi fritto.

Diocle alla Rapa, e il Vate sovrumano
     Primo Cantor delle Trojane imprese
     42Fece a’ Topi, e a’ Ranocchj onor sovrano.

Era appresso di Fania un Crimen lese
     Biasmar l’Ortica, e della Innamorata
     45Il Passere a eternar Catullo prese.

E qual non fè ridevole frittata
     La Grecia allor, che in le celesti Volte
     48Pose di Bestie quella ria brigata?

E Granchio, e Pesci, e Capricorno, e in folte
     Giubbe ardente Leone, e Scorpio, e Toro,
     51Orse, e Monton con ampie corna avvolte.

Ai Tessali il Cavallo era un tesoro;
     Un Cane in Samo era il più dolce oggetto,
     54E un Asino in Arcadia era in decoro:

E Tu, mio caro Porco benedetto,
     Tu che devi passar per la maggiore,
     57Tu l’estremo sarai, sarai negletto?

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Nò, fin che avrò parole, avrò vigore,
     Presente me non ti vedrai schernito,
     60Fosse del gran Mogol l’Imperadore.

I tuoi affronti io legherommi al dito,
     E ti sarò difese sbombardate,
     63Sebben io sembri un bel Peto vestito.

Ma dove incominciar tue lodi ornate?
     Tu solo nasci al Bene universale,
     66E sei nella natura un altro Acate.

Per giovare a ciascuno a Te non cale
     Menar tuoi giorni più d’un anno, e mesi,
     69E ti soggetti a un colpo capitale.

Tu se’ venduto a oncie, a libbre, a pesi,
     E sino i peli tuoi al Villanello
     72Sono un tesor sul Canovajo stesi,

E se non è Galeno un Ravanello,
     Solea un Atleta infin da fanciullino
     75Mangiar tue Carni, ond’esser forte, e snello.

Sembri raschiato un candido Armellino,
     E sembri aperto ricca Galleria,
     78A pompa, e gloria del saper divino.

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Son tutte le tue parti in simmetria,
     E la Macchina tua si estima assai
     81Dalla tagliente rossa Notomia.

A ogni figura accomodar ti sai,
     Arrosto, Fricandò, Lesso, Bragiole,
     84E sempre piaci, e non disgusti mai.

Mastro lo Cuoco senza Te non suole
     In Pranzo signoril figurar bene,
     87Ne fa scialacquo, ed il Padron sen duole.

Ma se da le tue carni a noi sen viene
     Il non plus ultra de la Meraviglia,
     90Il Cotichin, che più bramar conviene?

Oh Cotichin, null’altra a Te somiglia
     In fragranza, e in sapor vivanda eletta!
     93Quando tu giungi inarca ognun le ciglia.

I grati effluvj ad assorbire in fretta
     Si spalancano i tubi ambi nasali,
     96E un Oh comune il godimento affretta;

E tosto in bocca, e giù per li canali
     Delle gole bramose l’acquolina
     99Si sentono venire i Commensali:

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E fossevi ancor latte di Gallina,
     Ed in piatto real vergin Fagiano,
     102A te la preminenza si destina.

So ch’è un error da far sparar la mano,
     Dir che non hai, Geometria sicura,
     105Un Cilindro più bel dentro il tuo piano;

Ma se tornar potesse all’aria pura,
     E ne pappasse una sol volta ancora,
     108Euclide lo faria prima figura.

Quindi a ragion l’Oltramontan l’onora,
     E lo manda al Paese ov’è in concetto,
     111E il Lombardo terreno ivi s’adora.

Quì dir potrei, che nel Bochard ho letto,
     Che moderni Scrittor son di sentenza,
     114Che il Porco in Israel fosse interdetto,

Perchè volesse il Ciel con l’astinenza
     Da sì grato boccon, ch’Ei più nel zelo
     117Spiccasse di pietade, e d’obbedienza.

Ma non vogl’io metter la bocca in Cielo;
     Non è questo un latin per la mia classe,
     120Come non è Bochard il mio Vangelo.

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Se la Macchina mia lo comportasse,
     E che l’erario poi men floscio fosse,
     123Vorrei, che ognindì meco si trovasse;

Ma un ostinata malandrina tosse,
     Che nacque meco, e meco morirà,
     126Mi trattien nel più bel sovra le mosse;

Che quel dì, che ne gusto, mi si fa
     Tal mancanza affannosa di respiro,
     129E smania tal da movere a pietà.

Non però mai col Cotichin mi adiro,
     Esso in colpa non è, nè da lui scende
     132D’uno scompiglio tal sì crudel tiro.

In se d’aromi quantità comprende,
     Col piccante, adurente, caloroso
     135Schiacciato Pepe, che la lingua offende,

L’attraente boccon, caldo, spongioso,
     Dell’Esofago passa pel sentiero,
     138A sue parti irritabili nojoso.

Queste in un moto impetuoso, e fiero
     Scuoton le annesse col Diafragma istesso
     141Per mirabil consenso, e magistero.

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Quinci di linfa spremimento accesso
     Apresi al petto, e vi si arresta, e ammette
     144Un coagol più viscido, e più spesso;

Ed è quello il catarro, che poi mette
     Co’ polmonari bronchi già ingombrati
     147Ancora le vescicole alle strette;

Che all’aer necessario contrastati
     Vengon gli ingressi allor, per gli anelosi
     150Moti di spirazion difficultati.

Ma nella messe altrui la falce io posi:
     Haller, perdona, al Precettore or fatto
     153Cagion d’invidia giù frà mirti ombrosi.

Torniamo a bomba, e stiamo al primo patto,
     E senza la girata del Can grande
     156In iscena l’Eroe torni issofatto.

Medicina fedel, da cento bande
     In tua provincia qual valor non conta?
     159Lemery ne raccolse opre ammirande.

La bollitura sua vomiti affronta,
     L’ulcere degli orecchj il fiel risana,
     162E il tardo crine ad allungarsi appronta.

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Terge, e assoda le piaghe in foggia strana
     Liquido Lardo di sua feccia privo,
     165E del Vajuol le bollicelle appiana.

E’ ammolliente, annodin, risolutivo
     Suo grasso; e al nasal sangue, e a squinanzia,
     168E a rogna il fuo escremento è un sanativo.

Di lui parli la saggia Economia,
     E l’industre Mecanica ingegnosa,
     171Che in Terra, e in Mare il favor suo desia.

Tu che al nome di Porco schizzinosa
     Musa, t’aggrinzi, sentine una grossa,
     174Tu sai di Porco in testa a tutta josa;

Quando per farti più lisciata, e rossa
     T’affidi alla Toletta la mattina,
     177E t’emendi, e t’ajuti a tutta possa,

Dimmi, quel fusto onde il Topè strofina,
     E te lo assesta il Parrucchier d’Apollo,
     180Che imbianca poi di polve sopraffina;

E i ciondoli all’orecchio, e il vezzo al collo
     Quinci ti poni, e di Sussì, o Lillà
     183L’ampio Andrienne, e il Plettro ad armacollo,

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Che Diamine cos’è? Musa, si sà:
     Un impasto gli è quel, dov’ entra, e lega
     186Del lui sugo adiposo quantità;

E con esso la fronte ancor si frega
     Berecintia, Giunon, Venere amante,
     189E con mille composti entrar può in lega.

Sin l’immondizie a cento frutti, e piante
     E’ un Elisire, un Balsamo sincero
     192D’olio, e di sal volatile abbondante.

Ha nel Cembalo ancora ministero;
     Della cotenna sua scaglie or si fanno
     195D’un movimento elastico, e leggiero,

Che spinger senza penne, e accoglier sanno
     Le lingue de’ rostrati salterelli,
     198Che l’auree corde a vellicar sen vanno.

Oh Cembalo immortal, che scuoti, e svelli
     Dal più cupo letargo, e l’alma, e i sensi,
     201O tu pianga, o t’accenda, ovver favelli!

I pregi tuoi son portentosi, e immensi,
     E tuo m’avrai Panegirista eterno,
     204Ma chi ti può lodar quanto conviensi?

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So, che talun per ignoranza, o scherno
     Dirà, che Vener fè sì gran fracasso,
     207E giurò al Porco un odio sempiterno;

Poiché il bel Cacciator mandò a patrasso
     Nel bosco istesso, ove la scaltra Dea
     210Con lui si tratteneva in certo chiasso:

Ma quell’era un Cignal, che non avea
     Co’ Porci nostri alcuna parentela,
     213Anzi tra loro inimicizia ardea.

So pur, che ad impetrar l’ampia tutela
     Di Cerer bionda, allor che Aprile usciva,
     216In bianco vel con lampana, e candela,

Roma un Porco immolava, e ciò veniva,
     Perchè le biade amica difendesse
     219Dal grugno suo, che via se le carpiva;

Ma se custode a’ Porci dato avesse,
     O posto i Seminati entro clausura,
     222Roma provvisto avrebbe al suo interesse.

Che far contro un istinto di natura?
     Me la perdoni di Guirin la gente,
     225In questa parte non fa gran figura.

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Ma quando ei fruga, e scava arditamente,
     Non la fa allor da buon Mineralista,
     228Il Tartufo estraendo sì eccellente?

Ah! che a ragion quel Miserel si attrista,
     E borbotta pian piano ognor tra se,
     231Vedendo, ch’egli è sempre per la pista.

Chi mangia a due ganascie, un Porco egli è;
     Porco chi ha sempre il gorguzzule in molle;
     234Porco chi scarno in pria, grasso si fè:

Porco chi non ha il sangue, che gli bolle;
     Porco chi lascia un peto in abbandono,
     237Porco il Melenso, il Brodoloso, il Molle.

Si sa, che il sonno è di salute un dono,
     Pur vedi maldicenza! I dormigliosi
     240Comodi porci intitolati sono.

Oh costumanze! oh tempi ingiuriosi!
     Oh lingue nate del buon gusto a scorno!
     243Ma saldi, o Porco mio, tai Ser Brigosi,

Che dan la quadra, e sembri loro un corno,
     Ti mangierian su i muri ancor dipinto:
     246Tu fa l’orecchie da mercante intorno,
     Che con costor, chi non li cura ha vinto.