Hypnerotomachia Poliphili/IV
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POLIPHILO POSCIA CHE EGLI HAE NARRATO PARTE DELLA IMMENSA STRUCTURA, ET LA VASTISSIMA PYRAMIDE, CUM EL MIRANDO OBELISCO NEL SEQUENTE CAPITULO DESCRIVE MAGNE ET MIRAVEGLIOSE OPERE, ET PRAECIPUAMENTE DE UNO CABALLO, DE UNO IACENTE COLOSSO, DE UNO ELEPHANTO, MA PRAECIPUAMENTE DE UNA ELEGANTISSIMA PORTA.
USTISSIMAMENTE SE POTREBBE CONcedermi licentemente de dire, che nel universo mundo unque fusseron altre simigliante magnificentissime opere, né excogitate, né ancora da humano intuito vise. Che quasi diciò liberamente arbitrarei, che da humano sapere et summa et virtuosa potentia, non aptamente simile insolentia di aedificatura et artificii potersi excitare, né di invento diffinire. Diqué tanto erano a questo intento et obstinato conspecto, captivati cum excesso piacere inseme, et cum stupore, gli sentimenti mei, che altro nella rapace memoria solatioso, et periocundo non mi occurreva. Se non quandonque io applicato mirava, et curiosamente tutte le parte al venustocomposito conveniente, examinando di quelle excellente et eximie statue lapidee, di virginale factura, che di subito excitato caldamente singultando sospirava.
In tanto che risonavano gli mei amorosi et sonori suspiri in questo loco solitario et desertato, et di aere crassitato commemorantimi della mia Diva et exmensuratamente peroptata Polia. Omè paucula intermissione se praestava, che quella amorosa et coeleste Idea, non fusse simulacrata nella mente, et sedula comite al mio tale et cusì incognito itinerario. Nella quale fermamente nidulata l’alma mia contentamente cubiculava, quale in tutissimo praesidio, et intemerato Asylo secura. Dunque essendo per questo modo ad tale loco pervenuto, ove erano dalla copiosa et eximia operatione antiquaria gli ochii mei ad tale spectatione furati et occupati. Mirai sopra tutto una bellissima porta tanto stupenda, et d’incredibile artificio, et di qualunque liniamento elegante, quanto mai fabrefare et depolire se potria. Che sencia fallo non sento tanto in me di sapere, che perfectamente la potesse et assai discrivere. Praecipuamente che nella nostra aetate gli vernacoli, proprii, et patrii vocabuli, et di l’arte aedificatoria peculiari, sono cum gli veri homini, sepulti, et extincti. O execrabile et sacrilega barbarie, come hai exspoliabonda invaso, la più nobile parte dil pretioso thesoro et sacrario latino, et l’arte tanto dignificata, al praesente infuscata da maledicta ignorantia perditamente offensa. La quale associata inseme cum la fremente, inexplebile, et perfida avaritia, ha occaecato quella tanto summa et excellente parte, che Roma fece et sublime et vagabonda Imperatrice.
Dinanti ad questa egregia porta (primo questo dire censendo) in subdivale relicto era una platea Tetragona passi per il suo diametro trenta. Cum spectabile silicato di quadrature marmoree, distincte uno pede, intersito, di tessellatura in varii intricamenti et colligatura et coloramenti. In molte parte per la ruina di petre disrupto et arbusculato. Et nelle extremitate dilla dicta platea, dilla dextera et dilla leva, verso gli monti, erano ad libella dui ordini de columnatione cum exquisito intervallo dil Areostylo interiecto, secundo la exigentia opportuna d’una columna all’altra. Ove il primo corso, overo ordine d’ambe due le parte, initiavano equali al limbo, overo extremo termine dil silicato nel metopa, overo fronte dilla magna porta. Et tra una et l’altra columnatione, era spatio di passi .xv. Dille quale columne alcune et la magiore parte overo numero integre se vedevano. Cum li capitelli Dorici, overo Pulvinati, cum gli cortici, overo volute cochleate, fora delli echini inanulati, cum gli astragali subiecti, dependuli de qui et de lì, la tertia parte sua più, excedendo lo imo suo, cioè dil capitello, il quale di crassitudine dilla supposta columna semidiametro constava. Sopra gli quali iaceva lo Epistylio, overo trabe recto continuo, ma la magiore parte fragmentato et interrupto. Molte columne deli sui capitelli viduate. Et infra le ruine fina al suo supremo et proiectura dil Astragalo et Hypotrachelia et Hypotesi sepulte. Appresso gli quali cursi di columnamento, ancora duravano antichi Platani, et silvestrato Laureto et coniferi Cupressi, Sentosi Rubi. Suspicava de Hippodromo, overo di Xysto, overo Paradromyde, overo Ambulacri, cioè Ambulatione, overo ampla latitudine di portici hypetri, overo loco de temporario Euripo.
Sopra di questa piacia, dal initio intro verso la porta .x. passi, vidi uno prodigioso caballo et aligero Desultore, cum le ale passe di aeramento, di excessiva magnitudine. La ungula del quale occupava sopra la planicie dil basamento, nella extrema linea dilla rotundatione di uno calceo pedi .v. Et da questo extremo imo circinato di l’ungula, fina sotto il pecto, .ix. pedi per debita ragione alto io lo trovai. Cum il capo soluto et effrenato, cum due picole auricole, la una in ante porrecta, et l’altra retro contracta. Cum undiculate iube et prolixe, sopra il dextro del collo dependule. Sopra il quale molti adolescentuli a cavalcare dorsuariamente tentando. Niuno di essi fermo sopra retinerse valeva, per la sua soluta velocitate, et dura succussatura. Diqué alcuni cadevano, quali stavano praecipitabondi. Alcuni supini, et tali resupinati, et altri innixi ascendevano, tali involtati (rapiti nelle stringente mane) li longi crini vanamente tenivansi. Erano alcuni caduchi, in acto poscia di levarsi sotto il corpo lapsi dil excusore.
Nella superficie dil basamento era infixo plumbiculatamente una plastra dilla propria materia fusile. Tanto quanto stavano gli calcei retinuti et gli praecipitati iuvenculi, tutta una compositione et massa conflata fue inseme, mirabile arte fusoria. Non si cognoscea finalmente, chi di tale aequitatura celete alcuno sessore ancora fusse contento, quanto arbitrare poteva. Per la quale cosa le statue appareano dolorose, et affaticate sencia lamento, il quale non si sentiva per essere prive, perche il significo solamente non gli pote l’aura vitale inspirare, tanto optimamente imitavano la veritate dilla natura. Ceda quivi dunque lo acuto ingegnio del’imprudente Perylao, et di Hiram iudaeo. Et di qualunque fusore statuario. Dava ad intendere, quelli adolescenti cusi malamente di introducere nella reserata porta.
El Paegma, overo basamento meraveglioso era di solido marmoro (di crassitudine, altecia, et longitudine nel sustentare la machina proportionato infixa) di inundante vene versicolore, et di vage macule agli ochii grate, in infinite commixture confusamente disposite. Nel fronte del praedicto saxo verso la porta, appositia vidi una corona di marmoro verde di foglie di Amaro Apio, cum immixte foglie feniculacee di Peucedano. Dentro la quale ancora fue introappacta una rotundatione di petra candida. Nella quale inscalpta teniva tale scriptura di maiuscule Latine.
Nella facia opposita simelmente, era in una corona di foglie di mortifero Aconito cusì annotato.
Ad lato dextro daposcia coelate erano alcune figure di homini et di damigelle chorigianti, cum due facie per uno, quella dinanti ridibonda, la posteriora lachrymosa. Et in gyro ballavano. Cum li braci tenentise homo cum homo, et donna cum donna. Lo uno bracio di homo di sotto di quello dilla donna, et l’altro di sopra di l’altra. Et cusì tenentise procedevano, uno dapò l’altro, che sempre uno volto alacre era converso, all’incontro dilla facia moesta dil praecedente. Questi erano sette et sette, tanto perfectamente fincti di venusta scalptura, cum vivabili movimenti, cum gli panni velanti volanti. Che d’altro difecto non accusavano il praestante artifice, si non, che la voce ad una, et le lachryme all’altra non havea posto. La chorea praedicta in una figura di dui semicirculi, et una interposita partitione, egregiamente era incisa.
Sotto la quale Hemiale figura vidi tale parola inscripta. TEMPUS. Vidi poscia ancora dal altro lato molti adolescenti (opera dill’artifice praedicto in tutto perfecta in una figura uniforme alla praerecitata, bellissimamente undulata, et la undiculatione d’ambe due le figure investita di exquisita fogliatura) intenti a colgliere fiori tra molte herbe et arbusculi, inseme molte facete Nymphe scherciando solatiose, da quelli blandivole gli rapivano. Et per quel modo sopra recitato, di sotto la figura erano alcune Maiuscule incavate, che dicevano questa unica parola AMISSIO. Et erano eximie littere exacta, la sua crassitudine dalla nona parte, et poco più dil diametro dilla quadratura.Stupefacto dunque non poco, ruminando, et cum summo dilecto curioso riguardando tale ingente machina conflata in animale da humano ingenio, dignissimo imaginato. Che in omni membro indefectamente participasse la egregia harmonia et compaginatione. Onde nella retinente memoria mi soccorse il sfortunevole cavallo Seiano.
Da poscia allucinato di tale artificioso mysterio offerentise non meno mirando spectaculo ad gli ochii mei uno maximo Elephanto, cum summa voluptate di properare ad quello. Ma echo che io in un’altra parte sento uno aegritudinale gemito humano. Io alhora incontinente steti, sublevati gli capigli, senza altro consulto, verso il gemito festinante, uno agere di ruine scando di grande fracture et recisamenti marmorei. Et inde acconciamente progresso. Echo ch’io vedo uno Vastissimo et mirando colosso, cum li pedi senza solea excavati et tutte le Tibie pervie et vacue. Et d’indi al capo cum horrore inspectabondo venendo, coniecturai che l’aura intromessa per le patorate piante, cum divino invento, il gemito moderatamente expresso causava. Il quale taceva decumbendo supino di metallo mirabile artificio conflato, di media aetate, sublevato alquanto sopra uno pulvino tenendo il capo. Cum sembiante di aegro, cum la bucca di suspirare et gemere indicante. Hiante, di proceritate passi .60. Et per li crini sopra il pecto se poteva ascendere, et per li tomentati et tormentati pili dilla fulta barba, alla lamentabonda bucca. Il quale meatosamente era tutto inane et vacuo. Per quella dunque dal curioso scrutario stimulo, senza altro consultamine impulso, nella gula per graduli introgresso et d’indi nel stomaco, et de qui cum latebrosi ducti ad tutte l’altre parte delle interne viscere, alquanto pavoritato perveni, o mirando concepto, io mirai tutte le parte intimamente, quale in uno humano corpo pervie. Et ad qualunque mirai inscalpto in tre idiomati, Chaldeo, Graeco, et Latino, di quella parte la sua appellatione, che in ciascuno naturale corpo vedesse intestini, nervi, et ossa, vene, musculi, et pulpamento. Et quale morbo in quella si genera et la causa, et la cura, et rimedio. Diché per tutte le inglomate viscere, era aditiculo et commoda aditio. Cum respiracoli diversamente distributi per il corpo ad gli opportuni lochi illuminanti. Nulla parte meno che nel naturale consiste. Et quando al core applicai, vidi legendo come d’amore si genera li sospiritti, et dove amore gravemente offende. Et quivi tutto commoto, dal profundo dil mio core subtraxi uno mugente suspiro, Polia invocando. In tanto che tuta la erea machina risonare cum non poco horrore sentiti. Arte sopra omni exquisito inventa, ch’homo sencia anatomia praestante se facesse. O praeclari ingegni passati. O aurea veramente aetate, quando la virtute concertava et cum la fortuna. Solum ad questo saeculo relicta haereditaria la ignorantia et avaritia aemula lassasti. Vidi egresso in una altra parte alla crassitudine praefata, una fronte di testa foeminea tra li ruinamenti alquanto detecta il residuo dalle maxime rupture sepulta. Per la quale cosa existimando simigliante opificio constare, verito per le incomposite et inaequale ruine il lassai esso di mirare, ritornai al primo loco. Ove etiam, non troppo distante dal magno caballo, ad libella se offeritte uno maximo Elephante di nigricante petra, più che Obsidio, scintillata d’oro, et mice argentee copiosamente quale pulvisculo disperse, et per la petra micante. La contumace duritudine dilla quale, apertamente indicava il suo chiaro lustro. Imperoché in essa omni obiecto representantissi proprio il remitteva in quella parte, excepto, ove il metallo havea diffuso il suo verdaceo erugine. Et questo congruamente, perché nella summitate dil suo amplissimo dorso, havea uno meraveglioso Ephippio Aeneo, cum due stringente Cingule circumacte al monstroso corpulento. Tra le quale pergrande ligature cum fibule necte dilla medesima petra, si ritinia uno quadrangulo correspondente alla crassitudine di lo Obelisco di supernate collocato. Diciò che niuno perpendicolo di pondo, non debi sotto sé havere aire overamente vacuo. Perché essendo intervacuo, non è solido, né durabile.
La quale parte quadrangulare per ciascuna dille tre facie di charactere aegyptio bellamente era liniata. Dunque questo dorsuario monstro, non sencia miraveglia diligentissimamente expresso, et exacto, quanto meglio per regula artificiosamente fingere et statuare si potesse. Et nella sopra dicta sella di molti sigilli, et bulle, et historiette et fictione probatamente ornata, firmatissimamente fundato uno Obelisco di petra lacedaemonia verdegiante sustentava. Di llatitudine nelle aequate facie, quanto lo imo diametro d’uno passo, et multiplicata al septeno numero, tanto era fino alla aculeata summitade graciliscentisse . Nel fastigio dunque dil quale infixo promineva uno rotondissimo Trigone, et di materia perspicua et perlucida. Stava dunque compositamente questa grandissima fera, cusì nobilmente figmentata sopra la aequata piana de uno vasto basamento di durissimo Porphyro, perpolitamente liniato. Cum dui exerti et grandi denti di una petra candidissima et illustre appositi et appacti. Et dalla aenea sella infibulato pendeva uno egregio pectorale, di vario ornamento dilla materia dilla sella, in medio dil quale era in latino idioma scripto. Cerebrum est in capite. Et similmente circunducta per lo extremo del collo, alla grande testa coniuncto, ambiva una maestrevole ligatura. Dalla quale uno ambitioso ornato, summamente notabile di eramento traiectato per sopra il suo amplissimo fronte pendeva, di dui quadrati composito, cum liniamenti elegante. Nella planitie dil quale (di foliatura undiculare circundata) vidi alcune littere Ionice, et Arabe, le quale cusì dicevano.
Hora el suo vorace proboscide, non si continiva cum il piano dil basamento, ma sublevato, pensile si stava, converso alquanto verso il fronte cum le sulcate auricule largissime demisse, overo cancellate. Il quale simulachro nella sua vastitate unquantulo meno monstrava, che il naturale. Et nella oblonga circuitione dil basamento erano coelati hieraglyphi, overo characteri aegyptici. Depolito decentemente cum il debito Areobato, cum il latastro, gula, thoro, et orbiculo, cum sui Astragali, overo nextruli, cum inversa Sima al pedamento. Et di sopra non meno cum la proiecta Sima resupina, et torque trochili et denticuli cum gli Astragali. Secondo che alla crassitudine expediva eximie Symmetriati. La longitudine, latitudine, et altecia, passi, duodeci, cinque, et tre. Le extremitate dil quale in forma hemicycla formate. Nella posteriora parte hemicycla dil recensito basamento, trovai uno scalinato ascenso di sette gradi exscalpato scansile sopra la plana superficie. Per la quale avido di novitate io montai. Et verso al riservato quadrangulo, subiecto al perpendicolo dil Ephippio, vidi una porticula excavata. Cosa di magna admiratione, in tanta pugnacitate di materia, et tanto habile intervacuo se praestava, che per alcuni stipiti di metallo al modo scalario infixi, per gli quali commodo ascenso, se concedeva ad intrare nella Elephantina machina exviscerata.Per la quale cosa di curiosa aviditate grandemente incitato, introgresso montai. Ove cavo tutto et vacuo il maximo et prodigioso monstro, et cavernato il trovai. Excepto, che il medesimo sodo era relicto ancora intestino, quale extimo stava subiecto. Et havea tanta itione, et verso il capo, et verso la parte postrema, quanto che l’homo naturale facea transito. Et quivi nel convexo del dorso suspensa, cum laquei erei ardea una lampada inextinguibile. Cum illuminatione carceraria. Per la quale in questa posterga parte, mirai uno antiquario sepulchro concesso alla propria petra, cum una perfecta imagine virile et nuda, quanto il naturale commune, incoronata, dil Saxo, nigerrima. Cum gli denti, ochii, et ungue di lucente argento intecti. Sopra stante al sepulchrale coperto inarcuato, et di squammea operatura investito, et di altri exquisiti liniamenti. Monstrava cum uno inaurato sceptro di ramo extenso il bracio, la parte anteriore. Et nella sinistra teniva uno carinato scuto, exacta la forma dal osso capitale equino, inscripto di tri idiomi, cum picole notule. Hebraeo, Attico, et Latino, di tale sententia.
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ΓΥΜΝΟΣ ΗΝ, ΕΙ ΜΗ ΑΝ ΘΗΡΙΟΝ ΕΜΕ ΚΑΛΥΨΕΝ. ΖΗΤΕΙ, ΕΥΡΗΣΗ ΔΕ. ΕΑΣΟΝ ΜΕ.
NVDVS ESSEM, BESTIA NI ME TEXISSET. QVAERE, ET INVENIES. ME SINITO.
Per la quale inusitata cosa i’ stetti non mediocremente stupido cum alquanto horrore. Diqué non troppo differendo converso ad lo ritorno, vidi il simigliante ardere et lucere un’altra lucerna, come dinanti è dicto. Et facendo transito sopra lo hiato dil salire, ivi verso il capo dill’animale. Et in questo lato ancora una medesima factura di veterrima sepultura trovai. Et la statua supra stante di tutto, quale l’altra, se non che era regina, la quale sublevato il dextro bracio cum l’indice signava la parte retro le sue spalle, et cum l’altro teniva una tabella ritinuta cum il coperto et cum la mano sua indivisa. Nella quale etiam inscripto era tale epigramma in tri idiomi.
מי שלא תהיה קח כמה שאתה רוצה מהאוצר הזה אבל תהיה זהיר קח את הראש אל תיגע בגוף
ΟΣΤΙΣ ΕΙ. ΛΑΒΕ ΕΚ ΤΟΥΔΕ ΤΟΥ ΘΗΣΑΥΡΟΥ, ΟΣΟΝ ΑΝ ΑΡΕΣΚΟΙ. ΠΑΡΑΙΝΩ ΔΕ ΩΣ ΛΑΒΗΙΣ ΤΗΝ ΚΕΦΑΛΗΝ. ΜΗ ΑΠΤΟΥ ΣΟΜΑΤΟΣ.
QUISQUIS ES, QUANTUNCUNQUE LIBUERIT HUIUS THESAURI SUME. AT MONEO. AUFER CAPUT. CORPUS NE TANGITO.
Di tanta novitate digna di relato mirabondo, et degli aenigmati praelegendoli saepicule, dil tutto io restai ignaro, et dilla interpretatione et sophismo significato molto ambiguo. Non era auso perciò alcuna cosa pertentare. Ma quasi incusso da timore in questo loco tetro et illumino, quantunque gli fusse il lucernale lume, niente di manco il solicito desiderio di contemplare la triumphante porta stimulante, più legitima causa fue che quivi non dimorasse, che altro. Diqué sencia altro fare, cum pensiero et proposito per omni modo dapò la contemplatione di essa porta mirabile, un’altra fiata quivi ritornare, et più tranquillamente speculare tale magnificentia de invento dagli humani ingegni, citissimo all’apertura perveni. Et descendando uscivi fora dil exviscerato monstro. Inventione inexcogitabile, et sencia existimatione, excesso di faticha, et temerario auso humano, quale Trepano terebrare tanta durecia et contumacia di petra, et evacuare tanta duritudine di materia, overo altre fabrile machine poteron? Concordemente conveniendo il cavato introrso cum la forma exteriore. Finalmente sopra la piacia ritornato, vidi in questo porphyretico basamento in circuito inscalpto dignissimamente tali hieraglyphi. Primo uno capitale osso cornato di bove, cum dui instrumenti agricultorii, alle corne innodati, et una Ara fundata sopra dui pedi hircini, cum una ardente fiammula, nella facia della quale era uno ochio, et uno vulture. Daposcia uno Malluvio, et uno vaso Gutturnio, sequendo uno glomo di filo, infixo in uno Pyrono, et uno Antiquario vaso cum l’orificio obturato. Una Solea cum uno ochio, cum due fronde intransversate, l’una di oliva et l’altra di palma politamente lorate. Una ancora, et uno ansere. Una Antiquaria lucerna, cum una mano tenente. Uno Temone antico, cum uno ramo di fructigera Olea circunfasciato. Poscia dui Harpaguli. Uno Delphino, et ultimo una Arca reclusa. Erano questi hieraglyphi optima scalptura in questi graphiamenti.
Le quale vetustissime et sacre scripture pensiculante, cusì io le interpretai.
EX LABORE DEO NATURAE SACRIFICA LIBERALITER, PAULATIM REDUCES ANIMUM DEO SUBIECTUM. FIRMAM CUSTODIAM VITAE TUAE MISERICORDITER GUBERNANDO TENEBIT, INCOLUMEMQUE SERVABIT. Relicta questa praecellentissima et mysteriosa et inexcogitabile factura iterum ritornai a riguardare il prodigioso Caballo. Il quale havea il capo osseo, et macro, et proportionatamente picolo, optimo figmento apparea dil stare inconstante, et di mora impatiente, vedevasi quasi il tremulare degli sui pulpamenti, et più vivo che fincto. Cum una parola graeca excavata nel fronte. GENEA. Daposcia molti altri grandi frusti, et fragmenti di qualunque liniamenti, tra maximi acervi di ruina confragosi. Et di tutte solamente intacte lo edace et volabile tempo havea ad queste quatro stupende cose, Porta, Caballo, colosso, et Elephanto benignamente perdonato. O sancti patri antiqui artifici, quale immanitate invase tanta vostra virtute, che con vui nella sepultura, portasti di tante divitie la exhaereditatione nostra?
Pervenuto dunque ad questa veterrima porta di opera molto spectabile, et cum exquisite regulatione et arte, et praeclari ornati di scalptura, et di vario liniamento maravegliosamente consttucta. Per le quale tutte cose essendo io studioso et di voluptate infiammato di intendere il fetoso intellecto, et la pervestigatione acre dil perspicace Architecto, dilla sua dimensione, et circa il liniamento et la prattica perscrutandola subtilmente cusì io feci.
Uno quadrato collocato soto le columne, bine per lato diligentemente mensurai. Dalla quale mensuratione facilmente tuta la symmetria compresi dilla praelibata porta. La quale explanando transcorrerò brevemente. Una tetragona figura .A.B.C.D. divisa per tre linee recte et tre transversarie aequidistante, sarano sedeci quadrati. Addendo poscia alla figura quanto è la sua medietate, et cum quelle medesime partitione dividendo l’adiuncto, trovasi .xxiiii. quadrati. Questa figura di cordicelle quanto si praesta utile et opportuna ad reportare al curto, in segmento, overo in lepturgia et in pictura in prompto se offerisce. Trahendo iterum nella prima figura A.B.C.D. dui diagonii. Et ancora in quella segnando due linee, recta, et transversaria mutuamente intersecte, quatro quadrati se faceano. Item in quella vacua sopra le isopleure facti quatro mediani puncti, et da uno ad l’altro deducte le linee si constituisce il Rhombo.
Conscripte per tale via le praedicte figure, io acconciamente considerava, quale ragione hano li caecutienti moderni da sé existimantise nell’arte aedificatoria non sapendo che cosa si sia? Tanto enorme ancora nelle sue false aedicule cusì sacre come prophane publice et private regulano, dehonestando le parte dal medio procedente, negligenti di quella che la natura indicando insegnia. Essendo aureo et coeleste dicto et documento, che la virtute in quello consiste et beatitudine canta il poeta, il quale deserto et neglecto necessario conviene disordinato reuscire, et omni cosa mendosa. Perché turpe è qualunque parte al suo principe non congruente. Remoto però l’ordine, et la norma, che cosa commoda, overo grata, overo dignificabile si poté praestare? Adunque la causa di tale disconveniente errore nasce da ignorantia negativa et ha l’origine dalla illitteratura. Niente dimeno quantunque che la perfectione dilla dignissima arte non devia da la rectitudine, tamen il solerte Architecto, et industrioso, ad gratificare lo obiecto cum lo obtuto, pole licentemente cum adiectione et detractione, depolire l’opera sua. Sopra tutto il solido integro conservando, et cum l’universo conciliato. Il quale solido chiamo tutto il corpo della fabrica che è il principale intento, et inventione et praecogitato, et Symmetria dil Architecto, sencia gli accessorii bene examinato et conducto, indica (si non me fallo) la praestantia dil suo ingiegnio, perché lo adornare poscia è cosa facile. Advegnia che etiam importa il suo distributo, et non locare la corona alli pedi ma alla testa, et cusì lo ovolato, et denticulato, et gli altri, al loco congruente se debeno destinare. Lo ordinare dunque, et la praecipua inventione è participata ad gli rari, et ad gli molti ancora vulgari, overo idiote commune ad lavore se praestano gli ornamenti. Et però gli manuali artifici sono dill’architecto ministri. Il quale architecto per modo niuno alla maledicta, et perfida avaritia succumba. Et oltra la doctrina sia bono non loquace, benigno, benivolo, mansueto, patiente, faceto, copioso, indagatore curioso universale, et tardo. Tardo pertanto io dico, per non essere poscia festino alla menda, di questo sia assai.
Reducendo finalmente le postreme tre figure dimonstrate in una, adiuncta la seconda da gli .xvi. quadrati in essa contenti, produrassi questa figura. Dalla quale removendo poscia il rhombo, et gli diagonii. Lasciando le tre pendicule, et le tre recte, excepto la mediana. La quale inclusive tra le perpendicule truncata finisce. Et per questa regula, trovase dui perfecti quadri, l’uno supero, et l’altro infero, continenti in sé ciascuno quatro quadrati. Nel imo quadro facendo il diagonio, il quale ridriciato in perpendiculo verso la linea recta .A.B. habilemente si trovarà per il suo defecto a giungere, essere tanto la crassitudine dill’archo, et dille Ante. Dunque la linea .A.B. serà il debito loco dil Trabe extenso, overo recto. Il puncto mediano dilla linea truncata .E.F. sarà il ponto da inflectere l’arcotrabe in hemicyclo. Il quale debi havere tanto additamento agli inversi corni quanto è il semidiametro dilla sua crassitudine. Altramente essendo tale defecto, perfecto non il chiamo. Ma questo dagli optimi et periti veteri fue bellissimo exquisito, et diligentemente observato negli sui arcuati, per dar all’arco elegantia, et conveniente resistentia, et per vitare lo occupamento delle proiecture degli Abachi.Intra la linea .A.B. et l’ultima linea dilla magistrale quadratura .M.N. trovai che la era occupata del tertio, cioè divisa in quatro partitione, le tre se attribuiscono alla recta Trabe, Zophoro, et coronice. La quale corona se vendicava una parte più del Trabe, et dil Phrygio, questo è che si cinque portione sono assignate al Trabe, et altretante al Zophoro aequalemente, sei la corona meritamente usurpa. Et tanto più oltra questo limitato excedeva, quanto che il discreto, et perito artifice, havea facto uno proclivo lambente sopra il margine determinato alla Sima dilla praefata corona. Remanendo camellato uno semipede. Et questo non vanamente observato si trova, perché lo imo delle operature scalpate, di sopra statuite, dall’exito overo prominentia dilla corona non siano occultate. Quantunque che el se possi tanto più magnificare la parte sopra sequente dille ornature, come intravene al Zophoro, oltra la assignata Symmetria excedere per tale causa. Sopra da poscia di questa prima coronatione, sequiva uno quadrato perfecto, cum tale norma.
Quanto proiecto dil Zophoro era sopra il perpendicolo dille columne, tanto era et quello protenso. Il quale diviso in due partitione, una quanto si trovava, tanto di crassitudine se attribuiva alla suprema corona. Constituiti questi dui quadrati uno per lato. Il residuo dunque interiecto, al perpendicolo dilla apertione dilla porta, distincto in septene portione, la mediana fu riservata ad uno solio, overo Nichio ove resideva la Nymphale statua. Tre poscia, et de qui, et de lì relicte alle collaterale parte.
Lo exito dilla proiectura dilla superiore coronice facilmente se offerisce, facendo dilla linea dilla sua crassitudine uno Tetragono, diviso per il Diagonio, trovase la iusta regula dilla prominentia.
Hora sumendo inseme tutta la figura degli .xxiiii. quadrati trovasi la sesquialtera. La quale figura consta .O.P.Q.T. Manifesto è che la contene in sé uno Tetragono, et semi. Tale medietate aequabilmente divisa in sei portione di linee recte, trovasi interstitie linee cinque, et partitione sei. Sopra la quinta linea superna, nel suo mediano stigmate, offerisce regulatamente il fastigio dil frontispicio, proclinando d’indi la liniatura sopraFinalmente il frontispicio cum exquisita correspondentia participando il liniamento dilla elegante coronice, nel suo primo ordine usurpava poscia il piano dil proiecto quadrato, ultimo, una parte di coronice denticulata, intra la quale si continiva la planitie angulare.
La praedicta porta fue diligentissimamente adfabrefacta in una politura aequata di lapideo tabulato secto, conformantise le undulate figure nel cohaeso dille tabule. Cum vaga convenientia dille inserte opere, et la materia luculea, et gratiosa. Da uno lato et l’altro dal contento dilla porta separate dui passi, extavano ancora immote due magne et superbe columne fina alla sua crepidine di scabricie di ruina sepulte. Dalle quale io al potere il ruinamento rimovendo, le base aenee denudai discoprendole, et tali di materia erano gli Capitelli, egregiamente conflati. Et per piacere mesurando la crassitudine di una Base, et duplicantila, exprimeva il diametro integro dilla ima crassitudine dilla columna. Per la quale mensuratione trovai la proceritate sua più che duidetriginta cubiti. Le due vicine alla porta, di finissimo Porphyrite, et di gratioso Ophites, l’altre due cariatice, overo striate, overo canaliculate, et optimamente prompte. Ultra queste poscia alla leva et dextra parte ordinariamente cum sotiale binato altre cum modesta Enthesi petra durissima laconica astavano.
Il semidiametro de l’ima circuitione dilla columna facea la crassitudine dilla Base, la quale di Thori, di orbiculo, overo Scotia, overo Trochilo, et Plintho constava. Quel semidiviso per tertio, per sé uno usurpava il Plintho, la sua latitudine uno diametro et semi. Partito ancora le due partitione in quatro, una tolleva il summo Thoro. Distribuite le tre in parte gemine una apprehendeva il Thoro imo, et l’altra se praestava all’excavato Trochilo. Cum gli lymbi tolta una septima parte sua. Tale mensuratione trovai dagli periti artifici elegantemente observata. Sopra gli regulati capitelli dille antedicte columne, se extendeva una egregia Trabe, overo Epistylio cum la ima fascia ornata di rotundati verticoli, overo bacce, et la secunda cum associatione in longo di fusi truncati, intercalati tra l’uno et l’altro dui spondili soppressi in filatura. La tertia cum venustate aprovata era investita di Simate auricule in nobile foliatura cauliculata di expresso probatissimo. Superassideva a questo il Zophoro di sinuose fronde, nelle spire, overo vertigini grandi et diversi scapi et fiori cum vaga pampinulatura profundamente interscalpti, negli quali molte volucre nidulavano. Sopra poscia sequiva uno ordine di exquisiti Mutuli, cum modulata intercalatura. Sopra gli quali principiava la inversa gradatione d’una copiosa coronice. Ultra poscia questa dirupta coronatione, demolito et fracto vedevase la maiore parte, cum vestigio, overo imitatione di fenestre binate et magne, orbate de gli ornati. Malamente indicando quale si fusse lo aedificio definito et perfecto. Sotto la praelibata trabe derivava la cima, overo il fastigiato culmo dil frontispicio dilla praeservata porta. Ove tra la proclinatione sua et tra la liniatura dil trabe imitava quel spatio la figura scalina, che monstra uno trigonio di pleure, overo coste inaequale. Sotto il trabe nel spatio tra le columne, era sostentato di mirifici mutuli, cum artificioso intervacuo, in questa descripta figura quanto poteva amplexare il maiore spatio, excavati erano dui rotondi ad imitamento d’una platina circumligata per gli labii di undiculatione, gullule, et scotie, ove nella summa gradatione in medio de gli circumscripti liniamenti tuberava uno Thoro, investito nobilmente di querna folliatura, compaginatamente una subiecta all’altra, circumvinculate di lori alveati, cum dispersi fructi. Intro dille quale residevano due venerande imagine, expedite dal vaso cioè dal concavo. Dal diaphragma in su. La toraca parte coperta di palio sopra il sinistro humero in nodatura antiquaria. Cum hirsute barbe et fronti laureati, cum indole digna et maiestale.
Nella quadrata proiectura dil Zophoro sopra le antescripte columne in fronte, era tale caelatura. Una Aquila cum le ale passe, cum le ungiute branchie pausava sopra uno turgido fasciculo di fronde et fructi nel medio pandante. Le gracile extremitate dil quale de qui et de lì invinculate di varicante Cymose suspese erano tenute, di exactura quasi pervia.
Dunque la perspicua Porta expedita nella planitie dill’alamento intercollumnio di marmoro coaxatamente tabulato cum summa approbatione era situata. Per la quale cosa alquanto essendo accommodata la exigente dimonstratione, degli più principali membri dilla dicta magnifica porta. Parmi nel sequente opportunamente explanare gli sui grati et pervenusti ornamenti. Perché ad lo architecto arduo più se praesta lo essere, cha il bene essere. Questo è che optimamente primo ad isso s’appertene il solido disponere, et nell’animo definire (come sopra dicto fui) dila universalefabrica, cha gli ornati. Gli quali sono accessorii al principa-
le. Dunque al primo, la foecunda peritia di uno solamente si
richiede. Ma al secundo molti manuali, overo opera-
tori Idiote (chiamati dagli Graeci Ergati) neces-
sarii concorreno. I quali (come dicto è)
sono gl’instrumenti dillo
Architecto.