I Paralipomeni del Lucifero di Mario Rapisardi/Ai lettori

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Nicola Zanichelli

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Canto primo
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AI LETTORI.


Il manoscritto del canto che qui appresso pubblichiamo ci venne recato settimane fa dalla posta, insieme a una letterina molto gentile per noi.

Ricevendo ogni giorno una quantità straordinaria di manoscritti di versi, siamo (è facile capirlo) diventati un po’ diffidenti in fatto di autori sconosciuti. Questa volta però la nostra diffidenza fu subito vinta dal vedere il caso alquanto strano di un poeta che ambendo, come cortesemente egli si esprime, l’onore del nostro elzeviro, voleva conservar l’anonimo persino [p. 2 modifica]col suo editore, anzi, e sopratutti col suo editore, la letterina diceva.

Leggemmo dunque e da principio, lo confessiamo, con qualche sorpresa e con piacere. Ma inoltrati vie più nella lettura ci sentimmo a poco a poco sopraffatti da un sentimento di dubbio e di sospetto che sarà, crediamo, partecipato dai lettori.

Avevamo fra le mani un lavoro scritto sul serio, o la satira fina ed urbana di una forma poetica?

La prefazione, che spiegava il concetto morale e la ragione estetica del lavoro, pretendeva si trattasse di una cosa sul serio.

«Non è senza profonda trepidanza che io metto fuori il primo canto di un nuovo poema, mentre l’Italia, anzi l’Europa si è appena stancata dall’applaudire il Lucifero; e quando sentiamo da ogni parte, a proposito di esso, con insistenza ripetere che l’epopea se ne giaccia morta da un buon paio di secoli e [p. 3 modifica]vano sia qualunque sforzo per richiamarla alla vita.

«Mi affida alcun poco il fatto che, in onta all’acqua lustrale spruzzata dai critici sulla supposta bara della gran morta, l’epopea si mostri di quando in quando viva di vita immortale e apparisca torreggiante nel regno dell’Arte come ai tempi più propizii alla sua divina fioritura.....»

Ma il tono magistralmente severo della prefazione (l’abbiamo anche riletta) non è punto bastato a serenarci la coscienza. Talchè ci siamo indotti a pubblicar questo saggio un po’ pel valore intrinseco che ci è parso di scorgere in esso, un po’ per la curiosità di conoscere l’impressione delle persone competenti.

Stampando il primo canto dei Paralipomeni del Lucifero non intendiamo però incoraggiare l’ignoto autore ad inviarci gli altri dodici, che, a detta sua, vengon dopo. E siamo questa volta tanto più sinceri con lui, quanto meno [p. 4 modifica]intendiamo abusare della cortese accoglienza fatta dai lettori italiani alle nostre edizioncine in elzeviro.

La imitazione del Lucifero e nel tornio del verso e della frase poetica, e nelle similitudini, e nella concezione del soggetto e nella disposizione delle parti, insomma nei più minuti parcolari dei pregi e dei difetti di questo poema, ci par spinta nei Paralipomeni a tal estremo da togliere ad essi qualunque lievissimo valore di originalità. E le opere di arte, secondo noi, buone o cattive che siano, è proprio inutile il copiarle.

Che se poi trattasi (come leggendo nasce il sospetto) di un bizzarro tentativo di caricatura letteraria, lo stesso poeta dovrebbe saperci grado della nostra riserba.

In questo caso il pregio dell’opera consiste, particolarmente, nella sua brevità. Col tirarla più a lungo si rischierebbe di farle perdere quell’aria di leggiera canzonatura che a noi, e [p. 5 modifica]a quanti abbiamo fatto leggere il manoscritto, è sembrato di scoprirvi.

Per ciò abbiamo osato di sopprimere la prefazione.

Ci siamo ingannati?


Bologna, 1 marzo 1878.

L’Editore.