I briganti del Riff/18. La caccia al gitano

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18. La caccia al gitano

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17. I due leoni 19. Un massacro

18.

LA CACCIA AL GITANO


Il leone non era ancora morto malgrado le molte ferite, e gli studenti e Zamora lo udivano ruggire ancora con grande forza. Cogli yatagan Pedro e Carminillo si sentivano capaci di affrontarlo, se si mostrava, e di farlo completamente a pezzi.

Sdraiati sotto il fico, tutti lordi di sangue, i due giovanotti si erano messi a divorare le dolcissime frutta che Zamora, arrampicatasi fino ai più alti rami, faceva cadere in gran numero in mezzo alle erbe.

— Bisogna credere, — disse Pedro, dopo essersi satollato — che come esiste un dio per gli ubriachi, ne esista pur uno pei poveri studenti. Non ti sembra un sogno, Carminillo, di essere ancora vivo? Tutto mi sarei aspettato da parte di quei feroci briganti, ma un supplizio così spaventevole mai. Se sapessero che siamo più vivi di prima e decisi di muovere, come i nostri compatrioti, all'assalto del Gurugù! Se non troveremo il totem avremo almeno conquistato la sinistra montagna che tanto spaventa.

In quel momento la gitana calò rapidamente dal fico, e con un salto andò a cadere fra i due studenti, dicendo loro: — Silenzio!... Passano dei cavalieri lungo il margine della boscaglia. Da lassù io gli ho veduti.

— Molti? — chiese Carminillo.

— Una cinquantina almeno.

— Che siano quelli che ci hanno condotti qui?

— È probabile, poiché scendono dall'alto, e so che durante la notte gli uomini del duar dovevano partire per la guerra.

— Da chi lo hai saputo?

— Da Siza Babà.

— L'hai veduta?

— Aspetta, señor.

La zingara scivolò, agile come una serpe, fra i grossi e foltissimi cespugli che fronteggiavano la boscaglia, e lanciò un rapido sguardo verso l'altipiano.

Una cinquantina di cavalieri scendeva in gruppo serrato, avviandosi verso la macchia. Quelle canaglie, prima di partire per la guerra, volevano certamente assicurarsi se i due studenti, che avevano imprigionati nel ventre delle vacche, erano ancora vivi, pronti a decapitarli per portare con loro due trofei sanguinosi.

Zamora, visto che i cavalieri si erano fermati, come se cercassero un passaggio attraverso alla boscaglia, ritornò prontamente, dicendo ai suoi amici: — Fuggiamo... le canaglie del Riff tornano ancora.

— Che disgrazia non aver sottomano una buona mitragliatrice! — esclamò Pedro, saltando lestamente in piedi. — Con quale voluttà forerei la pelle di quelle belve umane.

Presero tutti e tre la corsa proprio nel momento in cui, sul margine della macchia, tutto grondante di sangue, ricompariva il leone acciecato dal pistolone ed affettato dagli yatagan.

— Questo occuperà per un po' i briganti — disse Carminillo.

In breve tempo gli studenti e la gitana raggiunsero la radura dove le termiti, si accanivano contro le due vacche, divorando peli, pelle, carne e muscoli.

— Che ci riprendano? — si chiese ansiosamente Carminillo.

— E perché scappiamo? — disse Pedro. — Non vi è nessun motivo.

— Vuoi affrontarli?

— No, ma ingannarli. La luna è tramontata, fa buio pesto e l'ombra è cupa. Arrampichiamoci su una quercia e confondiamoci fra il fogliame. Mi pare che la cosa sia facilissima, e mi stupisco come questa idea non mi sia venuta prima.

— Ed è una splendida idea — osservò Carminillo. — Su, arrampichiamoci.

Le piante non mancavano, e tutte di enormi dimensioni, e ricche di rami che giungevano fino quasi a terra. Ne scelsero una, spinsero prima in alto la gitana, poi si affrettarono a seguirla, mettendosi a cavalcioni d'un grosso ramo.

Lassù l'oscurità era tale, che né un leone né una pantera sarebbero stati capaci di scoprirli.

Si erano appena accomodati, quando udirono una fragorosa scarica seguita da un ruggito.

— I briganti hanno ucciso il leone — disse Carminillo. — Ormai già era finito.

— Che vengano proprio qui ad assicurarsi se noi siamo morti? — chiese Pedro.

— Sono tanto canaglie da voler deridere due poveri prigionieri imbottiti vivi nella carne ancora calda — rispose Carminillo.

— Che ci riprendano? Piuttosto di ritornare là dentro a marcire ancora mi farò uccidere.

— Zamora, avevano dei cani i briganti?

— Non ne ho veduti, señor.

— Allora non abbiamo molto da temere — disse Carminillo. — Stiamo quieti e non scambiamo più una parola.

I briganti, ucciso il leone, impresa ben facile, si erano avanzati nella boscaglia chiacchierando e ridendo rumorosamente.

Bastarono pochi minuti perché giungessero nella radura; ma quivi i cavalli cominciarono ad impennarsi rifiutandosi ostinatamente di avanzare, malgrado i colpi di staffa. Avevano scorte le termiti e non desideravano affatto di farsi mordere le gambe da quelle bestioline sanguinarie.

I riffani erano però giunti a così breve distanza dalle due vacche, da accorgersi subito della scomparsa dei prigionieri. Grida di furore scoppiarono fra di loro.

Il più irritato sembrava la Jena del Gurugù, a cui certamente dispiaceva molto di essere stato giuocato in quel modo.

Fecero lunghi commenti in lingua araba, poi si slanciarono a destra ed a sinistra internandosi nella boscaglia, colla speranza di riprendere i due disgraziati.

Le loro ricerche furono brevi. Forse convinti che fosse stato il leone a trarli fuori dalla loro prigione per divorarseli, dopo aver riattraversata la radura si allontanarono.

— Auff!... — esclamò Pedro, che non poteva stare cinque minuti senza muovere la lingua. — Finalmente se ne sono andati. Che ritornino?

— Io spero di no, — rispose Carminillo — tuttavia, per precauzione, fermiamoci qui ancora qualche mezz'ora.

— E poi dove andremo?

— In cerca di Janko — disse la gitana, con voce grave. — La Strega dei Vènti lo aspettava, e doveva averlo mandato sul Gurugù a cercare il totem.

— Fulmini di Palos!... E se l'avesse trovato! — esclamò Pedro.

— È per questo che vi propongo di andare ad aspettare quel miserabile nella cuba della strega.

— C'è ancora quella faccia da morto?

— No, perché io l'ho uccisa. Si era ubriacata e voleva i miei occhi, i miei denti, i miei capelli e le mie carni per ritornare giovane. Quando mi sono accorta che metteva mano agli yatagan coll'evidente intenzione di sgozzarmi, ho spezzati i miei legami, le sono saltata addosso, l'ho spinta fuori della cuba e poi l'ho precipitata in un profondo burrone.

— Sarà proprio morta? — chiese Pedro.

— L'ho veduta stramazzare sulle rive del torrente, nelle cui acque aveva tuffate le gambe — rispose la gitana.

— Non ti fidare, Zamora. Che cosa ne dici, Carminillo?

— Che sarà meglio accertarcene. E poi anche Janko la cercherà, e noi cattureremo il traditore. È lontana quella cuba?

— Vi potremo giungere in un'ora e mezzo.

— Tu hai detto che vi è un torrente nel burrone.

— Sì, señor.

— Non vedo il momento di raggiungerlo e di prendere un bagno. Sono tutto incrostato di sangue e attirerò su di me milioni di mosche. Possiamo scendere. I cavalieri devono essere, a quest'ora, assai lontani. Vorrei scendere nel burrone, se sarà possibile, prima che spunti l'alba.

Gli studenti e la gitana, rassicurati dal silenzio che regnava nella macchia, si misero subito animosamente in cammino.

Con una rapida corsa raggiunsero il margine della macchia, e dopo essersi assicurati che nessun cavaliere batteva l'altipiano, salirono verso la cuba, girando assai al largo dal duar.

Mancavano due ore al sorgere del sole quando giunsero dinanzi alla piccola costruzione che s'alzava a breve distanza dall'abisso. Temendo di trovarvi dentro Janko, i due studenti fecero la loro entrata cogli yatagan in pugno, ma non videro nessuno.

Zamora accese un'altra lampada che aveva visto pendere in un angolo della cuba, e sua prima cura fu di cercare le munizioni necessarie al suo pistolone che le aveva reso un così grande servizio, mentre Pedro si occupava delle provviste, assai scarse disgraziatamente, e consistenti in una dozzina di gallette di mais ed in cinque sacchetti contenenti un po' di farina, fichi secchi e datteri.

— E Janko non si vede giungere — disse Carminillo. — Scendiamo nel burrone per verificare se la vecchia è proprio morta ed a prendere un bagno che ci è più necessario d'un pranzo, poi torneremo qui ad aspettarlo.

Presero la lampada, essendo ormai la luna tramontata, e si diressero verso l'abisso dal fondo del quale saliva, allegramente, lo scrosciare del torrente.

— Da dove l'hai gettata, Zamora? — chiese Carminillo, curvandosi sulla immensa fenditura.

— Da dove mi trovo io in questo momento — rispose la gitana.

— Noto che le pareti dell'abisso sono tutte coperte da foltissimi cespugli sui quali Siza Babà potrebbe essere rotolata senza farsi gran male.

— La luna allora splendeva, e l'ho veduta giungere in fondo al baratro, rimbalzare contro una spalliera di fichi d'India e rimanere immobile sulle rive del torrente — disse la gitana.

— Questo abisso deve misurare almeno sessanta metri, — soggiunse il giovane ingegnere — e se nella corsa si trova una roccia si può cadere per non rialzarsi più. Tuttavia io voglio scendere.

— Ed anch'io... — disse Pedro. — A te, Zamora, ti lasceremo un yatagan, e se quel colletto da forca che si chiama Janko tornasse, picchia sodo senza contare i colpi.

— Farò come ha fatto Carminillo col leone — rispose la gitana.

— Non finirlo del tutto. Rimane sempre il segreto del totem, e quella canaglia può avere avuto delle preziose indicazioni dalla strega.

Carminillo prese la lampada, si fece indicare il punto dove Siza Babà erasi fermata, e cominciò la discesa seguito da Pedro. La cosa era molto ardua, quantunque i fianchi dell'abisso fossero coperti di piante strettamente unite, quasi amalgamate fra di loro. Dovettero fare uso dell'yatagan per aprirsi un sentiero.

A poco a poco, alla fioca luce della lampada, guidati dal fragore del torrente, scendevano. Impiegarono però non meno di mezz'ora prima di raggiungere il fondo.

Carminillo scoprì subito la spalliera contro la quale la vecchia strega aveva fatto il suo ultimo salto. La squarciarono a gran colpi di yatagan e raggiunsero il torrente.

— Lì, señor, proprio lì!... — gridò una voce dall'alto.

Era Zamora la quale aveva seguita cogli sguardi la lampada, che spiccava abbastanza vivamente in quella profonda oscurità.

— Vedi nessun corpo umano tu, Pedro? — chiese Carminillo, dopo d'aver percorso un certo tratto di riva. — Il torrente non può averla portata via.

— Lo credo anch'io — rispose Pedro.

— Che quella vecchia dannata avesse l'anima incavigliata?

— Se era una strega!...

Carminillo alzò le spalle e si mise a perlustrare nuovamente la riva, mentre Zamora dall'alto gridava per la seconda volta: — Lì, señor, lì!...

— Io comincio a credere che la strega si sia salvata e che sia poi fuggita. Era tanto magra d'altronde, che anche cadendo da un sesto piano, sarebbe giunta felicemente a terra ed avrebbe ancora...

Un grido di Carminillo lo interruppe: — Del sangue!...

— Dove?

— Proprio dietro la spalliera dei fichi.

— Ciò significa che la vecchia si sarà rotta la testa, ma non abbastanza per morire — disse Pedro.

— Vediamo: qui vi è della sabbia, e qui vedo le tracce di due piedi umani bene impressi sulle sabbie.

— Possono essere impronte vecchie lasciate da qualche riffano.

— No, perché quei briganti non portano stivali.

— Ed allora?

I due studenti si guardarono l'un l'altro un po' pallidi, poi un nome uscì contemporaneamente dalle loro labbra: — Janko?...

— Che cosa dici tu, Pedro? — chiese Carminillo.

— Io dico che quel birbante, attirato forse dalle urla della strega, è sceso qui, e si è portata via la vecchia, che era la sua grande protettrice.

— E dove l'avrà portata? Come hai veduto, la cuba era vuota.

— Forse quel birbante si è accorto del nostro avvicinarsi e si è affrettato a sgombrare, portando con sé Siza Babà. Doveva pesare meno d'una mummia egiziana quella strega, ed il giovanotto è robusto quanto noi.

— Dove si sarà nascosto?

— Io lo lascerei andare al diavolo insieme al suo scheletro vivente — disse Pedro.

— E se dietro le indicazioni fornitegli dalla vecchia, Janko fosse riuscito a trovare il totem? A che cosa avrebbero servito a noi tanti disagi e tanti pericoli?

— Hai ragione, Carminillo. Sì, bisogna dare la caccia a quei due birbanti, e possibilmente fucilarli.

— Coi fucili che non abbiamo.

— Ci serviremo del pistolone di Zamora.

— Facciamo subito un bagno per sbarazzarci di tutto questo sangue, poi, quando il sole sarà spuntato, vedremo dove andranno a finire le orme del gitano.

I due studenti si spogliarono lestamente e balzarono nel torrente, che in quel punto era profondo un paio di piedi, e per dieci minuti vi guazzarono dentro, poi presero le loro vesti e si misero a strofinarle energicamente ed a lavarle.

— Penserà il sole ad asciugarci — disse Pedro. — Nel Riff fa troppo caldo per prenderci delle costipazioni o delle polmoniti.

Torsero e ritorsero a tutta forza i vestiti per farne uscire l'acqua, poi li indossarono, non senza fatica però.

— Fulmini di Palos!... — esclamò Pedro. — Sento ora un infinito benessere. Con tutto quel sangue che avevo indosso non ne potevo proprio più. Ah!... Quel fetore infame!...

— Facciamo scendere Zamora — disse Carminillo.

— Coi viveri e senza lampada?

— Ha il piede sicuro, e poi non avrà gran che da portare.

Fece colle mani portavoce e, dominando lo scrosciare del torrente, gridò: — Puoi scendere, Zamora?

— Sì, señor — rispose la gitana.

— Non dimenticare le gallette, almeno!... — gridò Pedro.

— Porterò tutto.

La brava ragazza si caricò dei sacchetti contenenti i viveri, si passò nella fascia il pistolone e si mise a scendere, seguendo il sentiero che i due studenti avevano aperto. Cinque minuti dopo era presso i compagni.

— La strega? — chiese subito.

— Scomparsa, mia cara — rispose Carminillo. — Quella vecchia doveva avere le ossa d'acciaio.

— È impossibile!... — esclamò la gitana, impallidendo. — L'ho veduta io, coi miei occhi, rotolare fino qui e fermarsi sulla riva del torrente.

— Qualcuno deve averla aiutata però, perché abbiamo scoperto, sulle sabbie, le impronte di due stivali. La vecchia, che io mi ricordi, non portava nemmeno delle ciabatte.

— Aveva i piedi nudi.

— Allora Janko è venuto qui e l'ha portata via.

— E noi? — chiese la gitana, dopo qualche istante di silenzio.

— E noi daremo la caccia a quel bandito ed alla sua mummia — rispose Carminillo. — Aspettiamo che le tenebre si diradino un po'.

— E facciamo intanto colazione — disse Pedro.

Le stelle impallidivano e l'alba s'avanzava, sgombrando l'altipiano e l'abisso dalle tenebre. Un'aurora rossissima, quasi color del sangue, seguì l'alba, annunciando l'imminente comparsa del sole.

I due studenti e la gitana si erano alzati spingendosi verso la riva del torrente.

— Le vedi qui queste impronte? — disse Carminillo alla gitana. — Guarda bene, Zamora.

— Qui è passato Janko, sono certa di non ingannarmi. Conosco troppo bene gli stivali che portava — rispose la giovane.

— L'avevo sospettato.

— Allora è lui che ha portata via la vecchia.

— Non c'è più da dubitare. Passiamo sull'altra riva e mettiamoci in caccia.

Con un salto varcarono il torrente, che non era più largo d'un metro e mezzo, e subito ritrovarono sulla sabbia altre impronte che si dirigevano non già verso la cuba, bensì verso l'opposto versante dell'abisso.

— Non ha osato ritornare al rifugio di Siza Babà — disse Carminillo. — Egli teme la nostra vendetta e fugge forse verso il Gurugù, portandosi sulle spalle la vecchia.

— Noi che non abbiamo che delle magre colazioni da trasportare, marceremo più rapidamente di lui — osservò Pedro. — Quel traditore non andrà molto lontano.

— Adagio, amico — rispose Carminillo. — Saremo sempre così fortunati da scoprire le sue orme? Le sabbie finiscono a pochi metri da noi.

— Mi pare però di vedere come una specie di squarcio aperto fra la vegetazione che copre anche l'altra parete — disse Zamora. — Le piante non si sono ancora raddrizzate e riunite perfettamente.

— Ed allora in caccia — soggiunse Pedro. — Voglio vedere che faccia farà quella canaglia quando ci vedrà ricomparire e più vivi di prima.

Si caricarono dei sacchetti e si misero lestamente in cammino sotto una vera pioggia di fuoco che asciugava rapidamente i vestiti dei due studenti. Raggiunto il solco aperto fra le piante, attaccarono animosamente la parete, tenendosi però bene in guardia, poiché se Janko e la strega si fossero trovati sull'orlo dell'abisso, avrebbero avuto poco da faticare per sfracellarli a colpi di macigni. Fortunatamente nulla accadde, ed un'ora dopo i due studenti e la gitana rimettevano i piedi sul vasto altipiano del Riff.

Il Gurugù giganteggiava dinanzi a loro ad una distanza di forse due giorni di marcia, spingendo superbamente in alto la sua vetta nuda, coi fianchi coperti di selve e cosparsi di duars. Al disotto altri monti, assai più bassi, e colline, si stendevano incrociandosi in modo da formare delle gole e fosse profondissime, posti adatti per gli agguati dei riffani.

Gli studenti e la gitana si misero subito a cercare le piste di Janko, cosa non difficile, poiché i venti impetuosi di scirocco avevano portato anche lassù grossi strati di sabbia.

Carrai!... — esclamò ad un tratto Carminillo, con un grido di rabbia. — Quella canaglia ci ha giuocati.

— Perché? — chiese Pedro.

— Ecco qui quattro impronte ben distinte che non so se siano di un cavallo o di una mula. Tu, — disse poi Carminillo volgendosi al compagno — che sei del paese dei muli, giacché sei andaluso, osserva un po'.

— Queste non sono impronte di cavallo — rispose il chitarrista. — Me ne intendo io.

— Allora Janko cavalca una mula e ritorna verso il Gurugù portandosi seco la strega, più o meno gravemente ferita — disse Carminillo.

— Le mule vanno adagio, — osservò Zamora — e noi non rimarremo molto indietro. Quel furfante torna al Gurugù per portarmi via il totem.

— Non perdiamo tempo, — disse Carminillo — e giacché qui non si scorgono duars, mettiamoci sulle tracce del gitano.

Il caldo era intensissimo. Pareva che dalle screpolature del suolo uscissero delle vere vampe, tuttavia il piccolo drappello marciava affannosamente, tendendo, di quando in quando, gli orecchi. Lo strato di sabbia era finito ed era successo una vegetazione bassa ed aggrovigliata, che si spingeva lungo il margine di un altro profondissimo burrone.

A mezzogiorno, sfiniti, grondanti di sudore, fecero una breve sosta imposta da Pedro, il quale reclamava imperiosamente la colazione, poi ripartirono salendo aspre colline coperte di quercie.

— Via!... Via!... — non cessava di dire Carminillo, tergendosi senza posa il sudore che lo inondava. — La mula non deve essere lontana.

Avevano scoperto, fra le piante, una specie di solco che doveva essere stato tracciato dall'yatagan di Janko. La mutilazione dei rami era recentissima, poiché la linfa usciva ancora. I fuggiaschi non dovevano essere dunque molto lontani. Scoprirli però non era facile, poiché i boschi si succedevano ai boschi, impedendo perfino di vedere il gigantesco Gurugù.

Cadde la sera e dovettero nuovamente fermarsi sul margine di una profondissima gola, tutta fiancheggiata da enormi piante.

— La mula ha le gambe più robuste delle nostre — disse Pedro.

— Non voglio che quella canaglia ritorni sul Gurugù con Siza Babà — osservò Carminillo. — Anche Janko in qualche luogo si accamperà, poiché mai più sospetta di essere inseguito da noi; quindi possiamo riposarci alcune ore. Carrai!... Il cannone!...

Gli studenti e la gitana erano balzati in piedi curvandosi verso l'immensa gola che s'allungava per tre o quattro miglia, tutta fiancheggiata da folte piante in mezzo alle quali potevano nascondersi legioni di briganti.

Una granata era scoppiata in aria, lanciando tutto intorno frammenti micidiali.

— I nostri compatrioti, non è vero, Carminillo? — chiese Pedro, il quale era diventato pallidissimo.

— Sì — rispose il giovane ingegnere. — Hanno avanzato bene quei valorosi; sono già in vista del Gurugù.

— Carminillo, andiamo ad incontrarli!... — gridò Pedro, che aveva i lucciconi agli occhi. — È la bandiera della patria che si avanza!...

— Io non ti permetterò mai di commettere una simile sciocchezza — rispose Carminillo. — Questa gola può essere piena di briganti in agguato.

— Ragione di più per correre verso i nostri.

— E farci mitragliare. Come potrebbero distinguerci fra l'oscurità che è già scesa?

— Eh, gridando viva la Spagna!...

— Pazzie, Pedro. Gettati a terra e vediamo che cosa sta per succedere.

— Ma è possibile che i nostri siano già qui?

— Spingeranno la guerra con slancio disperato per finirla una buona volta con questi briganti. I riffani non posseggono pezzi d'artiglieria, quindi non posso ingannarmi.

— Che veniamo presi in mezzo a qualche terribile combattimento? — chiese Zamora.

— Finché resteremo quassù no. Il fondo della gola è inaccessibile sia ai cavalieri che ai pedoni.

— Tu, Zamora, che hai la vista migliore della nostra non vedi i briganti? — chiese Pedro.

— Ve ne sono centinaia e centinaia nascosti sotto le piante. Hanno teso ai nostri un agguato.

— Carminillo, andiamo ad avvertirli!...

— Ci prenderanno per riffani e non ci risparmierebbero — rispose il giovane ingegnere, il quale non perdeva il suo sangue freddo. — Corichiamoci ed osserviamo.

— E Janko?

— Che l'ira di Dio se lo porti!... Lo prenderemo più tardi. Il Gurugù è ancora lontano.

In quel momento si udirono due altri colpi di cannone, seguiti da un fuoco accelerato di mitragliatrici. Gli spagnoli montavano all'assalto della nefasta gola del Gran Lupo.