I cani/Cane sanguinario

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4. Cane sanguinario

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Il cane amico dell'uomo Cani da guerra


Quelle tenerezze che l’uomo finge pel cane le finge anche pel proprio simile, ma nella pratica tratta l’uno come l’altro. La schiavitù è una istituzione umana che i savi dell’antichità proclamavano necessaria; i savi del tempo nostro la dicono abbominevole, ma c’è sempre stata e c’è ancora.

L’uomo adopera i cani a custodire gli schiavi come li adopera a custodire gli animali da macello, li ammaestra a impedire la fuga dei neri, a inseguirli quando sono fuggiti, a ricondurli se non si difendono in modo da farsi sbranare.

Nell’isola di Cuba si alleva a quest’uopo una razza di grossi alani, e si ha tutta la possibile cura di mantenere questa razza nella maggiore purezza di sangue, e gli individui provati eccellenti cacciatori hanno un altissimo prezzo. Cento anni or sono, anzi meno, perché il fatto che sto per riferire avvenne appunto nell’anno 1798, gli inglesi fecero la caccia all’uomo coll’aiuto dei cani. I neri ribellati e fuggiaschi della Giamaica minacciavano, e bisognava adoperare mezzi energici. Il governo inglese fece venire da Cuba i cani migliori per la caccia dei neri, guidati da neri abilissimi nel dirigere quei cani contro gli uomini del loro colore. Bastò l’arrivo dei cani e dei neri di Cuba perché i neri della Giamaica, che avevano resistito a ogni altra maniera d’assalto combattendo vittoriosamente, si arrendessero senz’altro.

Il governo inglese, oggi così dichiarato avversario della schiavitù, ottantotto anni or sono ne era zelante sostenitore.

La razza degli alani di Cuba discende da una lunga serie di avi ammaestrati a fare la caccia all’uomo. E ciò spiega la sua attuale eccellenza. Fra quegli avi ve ne furono dei valenti. Gli spagnuoli li avevano ammaestrati bene. Sapevano far prigionieri gli indiani, e stramazzarli al suolo, e all’uopo sbranarli. Quando fu saccheggiata la città di Messico venne sguinzagliata una schiera eletta di questi cani, che fece meraviglie.

La storia ci ha tramandato il nome di uno di quei cani, il più segnalato di tutti. Si chiamava Bezerillo. Era di mezzana statura, rosso di pelo, col muso nero fino agli occhi. Venne lodato per due qualità che rarissimamente si trovano riunite; il coraggio temerario, e il giudizio e il colpo d’occhio nel momento del pericolo più grande. Bezerillo aveva un grado superiore a quello di tutti gli altri cani militari, e riceveva quotidianamente la doppia razione.

Si precipitava in mezzo agli indiani quando era al culmine il furore della mischia, piombava sopra un uomo, lo azzannava pel braccio, e lo trascinava prigioniero fra gli spagnuoli. Se l’uomo cedeva, non gli faceva nessun male. Se resisteva lo atterrava, poi gli dava tempo a pentirsi, rialzarsi e seguirlo. Se continuava a difendersi lo sbranava. Riconosceva dopo i prigionieri che aveva fatto, non li aggrediva più, li guardava di buon occhio.

Il capitano Fago di Senadiza si annoiava più del solito un mattino, e per procurarsi un po’ di svago volle darsi lo spettacolo di far sbranare da Bezerillo una povera vecchia indiana. Fece chiamare quella vecchia, le diede una lettera e le ordinò di portarla al governatore della isola. Quando la vecchia fu in istrada venne sguinzagliato il cane, che le si precipitò subito furiosamente addosso. Quella vecchia, che era stata fatta prigioniera da Bezerillo, pel terrore cadde a terra, poi con rotte parole scongiurò il cane a risparmiarla facendogli vedere la lettera che doveva portare. Il furore del cane si acquetò, e dopo un istante l’animale s’accostò alla vecchia e prese ad accarezzarla. Il capitano Fago di Senadiza riuscì in tal modo per un’altra via a scacciare la noia. Quello spettacolo lo divertì.

Bezerillo morì sul campo di battaglia. Morì colpito da una freccia avvelenata che gli scoccarono i Caraibi, i quali, conoscendolo, siccome bene si può comprendere, lo prendevano di mira.

Nell’antichità l’uomo adoperò sovente il cane in guerra come validissimo aiuto. Un secolo prima dell’èra cristiana i romani riuscirono vincitori dei Cimbri, ma non senza aver sostenuto una fierissima lotta tanto cogli uomini quanto coi loro cani ammaestrati non solo a far la guardia alle provvigioni, ma anche a combattere contro il nemico.

Plinio racconta che i Colofonieri, popoli sempre in guerra, avevano un intero esercito di grossi alani, che erano sempre i primi ad aggredire il nemico e decidevano in ultimo delle sorti favorevoli della battaglia.

Nelle guerre tra l’Inghilterra e la Scozia, faceva parte delle milizie una grossa razza di cani chiamati sanguinari.

Durante le guerre tra l’Inghilterra e la Francia furono portati quei cani sanguinari in quest’ultimo paese, e il conte di Essex ne aveva ottocento nella sua armata d’Irlanda.

Un bellissimo cane militare faceva la delizia de’ torinesi pochi anni or sono. Apparteneva alla musica di un reggimento di fanteria, e andava ogni giorno in piazza Castello pel cambio della guardia, tirando una carrettella sulla quale stava la grancassa.

Io ho conosciuto personalmente, e anche intimamente, una coppia di cani militari, di cui il maschio si chiamava Cannone, e la femmina Bomba. Pronuba alle loro nozze era stata la sesta batteria di artiglieria da piazza (operai da costa), la quale sta costantemente nell’amplissima pianura che da cinquant’anni è campo di esercizi militari, la vauda tra San Maurizio e Cirié, presso Torino.

Si facevano gli esercizi del tiro; collo sparo, la palla balzava dal cannone facendo la sua rapidissima curva, saltellava, si fermava: poi ne partiva un’altra, poi un’altra, e così per tutta la mattinata. Finiti gli esercizi, i soldati andavano a raccogliere quelle palle, ma prima che andassero i soldati ci andavano, o almeno tentavano di andarci, dei ladracchioli di campagna che trovavano più proficuo il furto di quei pezzi metallici che non quello delle foglie dei gelsi, dei pali delle viti, dei grappoli dell’uva.

Cannone e Bomba avevano l’incarico di tener lontani i ladri da quelle palle, e li tenevan lontani davvero.

Lo Zend Avesta dice quale deve essere il posto in cui legalmente si deve trattenere il cane da guardia; deve essere a una distanza tale da ciò che si tratta di difendere che da quella si possa distinguere un animale bianco da un animale nero.

Cannone e Bomba facevano appunto così; si mettevano a una tale distanza dalle palle giacenti che da quella potevano vedere il ladro che si venisse accostando in giri tortuosi, e non perdere d’occhio la palla.

Vi furono fiere lotte; quando uno dei due coniugi veniva aggredito l’altro accorreva e in due mettevano in fuga un branco anche di cinque o sei furfantelli.

Alla prima sassata si precipitavano contro al malcapitato che non stava ad aspettar la seconda, e, malgrado la velocità delle sue gambe, non di rado ne portava insanguinati i polpacci.

Cannone e Bomba erano l’idolo della sesta batteria, lautamente nutriti, accarezzati, festeggiati da tutti i soldati, sergenti, ufficiali inferiori e superiori. Quei due cani, maestri nella difesa, diventarono anche maestri nel significato letterale della parola.

Vedendo che incominciavano ad invecchiare, si pensò a dar loro dei successori; un cane della loro razza, tra il molosso e l’alano, giovane e con tutte le buone qualità richieste per un coscritto, fu dato loro ad ammaestrare. Un mattino fu messo un collare al cane coscritto, e attaccati al collare due lembi di corda, uno da una parte e l’altro dall’altra. Uno dei capi di questa corda fu messo in bocca a Cannone che stava dalla parte destra del coscritto, e l’altro a Bomba, che stava dalla parte sinistra. Poi si gridò: «Avanti».

I due maestri partirono di galoppo, trascinando lo scolaro che tennero là tutta la mattina. Così si continuò fino a che il coscritto non ebbe imparato a far da sé.

Dopo qualche anno di questo insegnamento, fatto a parecchi alunni, uno alla volta, si osservò che Cannone e Bomba non facevano più la lezione tanto lunga; lasciavano lo scolaro dopo un poco, e se ne tornavano a casa. Come in tutti i vecchi insegnanti, il loro zelo si era rallentato.

Non so se gli scolari abbiano oggi agguagliato i maestri. È possibile che Cannone e Bomba siano ancora vivi, ma certo, se ciò è, godono da parecchi anni della giubilazione.