<dc:title> I fioretti di Sancto Francesco </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Anonimo</dc:creator><dc:date>XIV secolo</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Anonimo - I fioretti di Sancto Francesco.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=I_fioretti_di_Sancto_Francesco/Capitolo_XXXII&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20240702002159</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=I_fioretti_di_Sancto_Francesco/Capitolo_XXXII&oldid=-20240702002159
I fioretti di Sancto Francesco AnonimoAnonimo - I fioretti di Sancto Francesco.djvu
primi compagni di sancto Francesco con tutto loro isforzo s’ingegnavano d’essere poveri di cose terrene e ricchi di virtú, per le quali si perviene alle vere ricchezze cilestiali et eterne. Adivenne uno di che essendo eglino raccolti insieme a parlare di Dio, l’uno di loro disse questo essempro: - E’ fu uno, il quale era grande amico di Dio et avea grande grazia di vita attiva e di contemplativa, e con questo avea sí eccessiva e sí profonda umilità, che elli si riputava [p. 124modifica]grandissimo peccatore; la quale umilità il santificava e confermava in grazia e facevalo continuamente crescere in virtú e doni di Dio, e mai non lo lasciava cadere in peccato. — Udendo frate Masseo cosí meravigliose cose della umilità, e conoscendo ch’ella era un tesoro di vita eterna, cominciò ad essere sí infiammato d’amore e disiderio di questa virtú della umilità; che in grande fervore levando la faccia a cielo, fece vóto e proponimento fermissimo di non si ralegrare mai in questo mondo, insino a tanto ch’elli sentisse la detta virtú perfettamente nell’anima sua. E d’allora innanzi istava quasi di continuo rinchiuso in cella, macerandosi con digiuni, vigilie et orazioni e pianti grandissimi dinanzi a Dio, per inpetrare da lui questa virtú, sanza la quale elli si riputava degno dello inferno, e della quale quello amico di Dio ch’elli avea udito, era cosí dotato. Et istando frate Masseo per molti di in questo desiderio, adivenne che uno di egli entrò nella selva, et in fervore di spirito andava per essa gittando lagrime, sospiri e voci, domandando con fervente desiderio a Dio questa virtú divina; e però che Dio esaudisce volentieri le orazioni delli umili e contriti, istando cosí frate Masseo, venne una voce da cielo, la quale il chiamò due volte: — Frate Masseo, frate Masseo! — et elli, conoscendo per ispirito che quella era la voce di Cristo, sí rispose: — Signor mio, signor mio! — E Cristo a lui: — Che vo’ tu dare per avere questa grazia, che tu [p. 125modifica]domandi? — Risponde frate Masseo: — Signore, voglio dare gli occhi dello capo mio. E Cristo a lui: — Et io voglio che tu abbi la grazia et anche gli occhi. — Et detto questo, la voce disparve, e frate Masseo rimase pieno di tanta grazia della disiderata virtú della umilità e di lume di Dio, che d’allora innanzi elli era sempre in giubilo: et ispesse volte, quando egli orava, faceva uno giubilo uniforme con suono a modo di colomba ottuso uh! uh! uh! e con faccia lieta e cuore giocundo istava cosí in contemplazione; e con questo essendo diventato umilissimo, si riputava minimo di tutti gli uomini dello mondo. Domandato da frate Iacopo da Falerone, perché nello suo giubilo elli non mutava verso, rispose con grande letizia che quando in una cosa si trova ogni bene, non bisogna mutare verso. A laude di Cristo. Amen.