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I naufraghi del Poplador/12. Mastro Josè

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12. Mastro Josè

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11. La rivolta 13. La vendetta del capitano

12.

MASTRO JOSÈ


Gettati in mare i cadaveri con una palla di cannone legata ai piedi, curati alla meglio i feriti, sgombrata la coperta dalle barricate e lavatala dal sangue e imbrogliate le vele, Hearney chiamò attorno a sé i ribelli, che erano ridotti ad un numero piuttosto esiguo.

— Camerati, — disse il miserabile, salendo su un barile, — ascoltatemi attentamente. La nave che col nostro valore abbiamo conquistata, non è nuova, è vero, ma è però una bella nave, solida, abbastanza rapida e armata forse meglio di una fregata. Se noi saremo audaci, vi assicuro che sull'Oceano Pacifico faremo delle grandi cose.

— Bravo! — gridò uno spagnolo, gettando via la sigaretta per prestare maggior attenzione.

— Io ed i miei compagni, che abbiamo corseggiato per non pochi anni nelle acque australiane sotto il comando di un intrepido pirata, possiamo assicurarvi che i legni mercantili pullulano in certi stretti che noi ben conosciamo, e che abbordarli è la cosa più facile di questo mondo ed insieme la meno pericolosa. Se voi vorrete, io, in tre o quattro anni, vi farò diventare ricchi come Cresi.

— Bravo californiano! — gridò un meticcio di gigantesca statura.

— Io non domando di meglio — disse un yankee.

— La cosa mi va — disse uno spagnolo.

— Andiamo in Australia — gridarono alcuni.

— Viva la pirateria! — urlarono gli altri.

— Silenzio, camerati — disse il californiano. — Non ho ancora finito.

— Parlate — gridarono alcune voci.

— Vi ho detto che in certi stretti del Pacifico le navi mercantili pullulano, ma devo pure dirvi che talvolta si incontrano degli incrociatori irti di cannoni e che non scherzano mai. Se vi prendono vi mettono un solido laccio al collo e vi appendono a qualche pennone.

— Alle cannonate risponderemo colle cannonate — disse uno spagnolo.

— E dai lacci ci guarderemo — aggiunse un meticcio.

— Ma venti uomini non tengono testa a cento o a centocinquanta — disse un californiano. — E noi non siamo più di venti, camerati.

— Bravo Northon — disse Hearney. — Tu parli meglio di tutti.

— By-God! — esclamò un washingtoniano. — Northon ha ragione. Non siamo più di venti.

— E cosa dobbiamo fare? — chiese un meticcio.

— Te lo dirò io — disse Hearney. — Si tratta di condurre la nave in Australia e là di reclutare dei forzati. Io conosco una baia che è esclusivamente abitata da quelle brave persone.

— Andiamo alla baia — dissero alcuni.

— Ma chi condurrà la nave in Australia? — chiese uno spagnolo.

— Chi! — esclamarono alcuni. — Eccoci in un bell'impiccio.

— Hearney — disse una voce.

— Hearney, mio caro, se tu lo vorrai saprà condurti in California, o al Messico, o al Perù; saprà abbordare una nave tanto sotto la costa, quanto in alto mare; saprà stare al timone e comandare bravamente una manovra durante un uragano, ma condurti attraverso il Grande Oceano questo poi no — disse il californiano. — Il mio capitano non mi ha insegnato ad adoperare il sestante né tutti i calcoli che sono necessari per condurre una nave a due o tremila miglia dalla costa senza fracassarla contro gli scogli. E tu, sai fare il punto?

— Io no.

— E voialtri?

— Nemmeno — risposero in coro i ribelli. — A bordo del Poplador non c'erano che tre uomini che sapessero adoperare il sestante e fare i calcoli.

— Chi sono? — chiese Hearney.

— Don Guzman, il tenente Michele e mastro Josè. — disse un meticcio.

— Uno di essi ci guiderà.

— Ma chi? — chiesero i ribelli ad una voce.

— Il capitano si farà uccidere piuttosto di guidarci in Australia e così pure il tenente — disse Hearney. — Ma il vecchio Josè, messo alle strette e minacciato, non rifiuterà. Io scommetto che sarebbe contentissimo di sentirsi nominare capitano.

— Bell'idea! — esclamò uno spagnolo.

— Viva mastro Josè! — gridarono gli altri.

— Conducetelo in coperta — disse Hearney.

Quattro marinai, armatisi per bene, scesero nel quadro di poppa e poco dopo ritornarono conducendo il mastro, il quale, quantunque tutto ignorasse, anzi temesse un brutto tiro, era tranquillissimo. Un grido rimbombò subito sul ponte del vascello.

— Viva mastro Josè!

— Olà, ragazzi, siete pazzi o ubriachi? — chiese il lupo di mare al colmo della sorpresa. — Poco fa erano palle belle e buone ed ora sono applausi. Che sia il whisky?

— Non è il whisky, vecchio Josè. — disse Hearney. — Sai che vogliamo nominarti nostro capitano?

— Io, vostro capitano!... Io!... — esclamò il messicano.

— Odimi, amico — disse il californiano. — Noi manchiamo di un abile marinaio che ci possa condurre in Australia, e tu sei uno di quei lupi che non hanno paura di attraversare il Grande Oceano. Se tu accetti di diventare nostro capitano, ti daremo tanto oro quanto pesi e ti rispetteremo; se rifiuti ti deporremo su qualche isola del Pacifico assieme a don Guzman ed a Michele. Da una parte onori e oro, dall'altra tribolazioni e forse la morte: decidi.

— È vero che volete fare i pirati? — chiese Josè.

— Ti dispiace forse?

— No, non mi dispiace.

— Accetti di essere il nostro capitano?

— Accetto.

Un urlo scoppiò fra i ribelli.

— Viva il nostro capitano!

Il lupo di mare s'inchinò sorridendo; chi però lo avesse osservato attentamente, avrebbe veduto un cupo lampo balenargli negli occhi.

— Camerati — gridò un californiano. — Un capitano non basta; bisogna nominare un tenente.

— Sarà Hearney — disse uno spagnolo.

— Grazie, camerati! — gridò il californiano. — Ed ora portate in coperta due o tre barili di whisky e beviamo.

— Una parola, tenente — disse Josè. — Cosa faremo di don Guzman e del suo compagno?

— Li appiccheremo — disse un meticcio.

— È meglio gettarli in mare — disse uno spagnolo.

— Né l'uno né l'altro, camerati — disse Hearney. — Li sbarcheremo su qualche isola del Grand'Oceano.

— Su quale? — chiese Josè, che divenne leggermente pallido.

— Io conosco un isolotto affatto disabitato che è molto lontano dalle coste americane; si chiama Copper.

— E perché non sbarcarli alla Guadalupa, o alle Los Aligos, o alla Lontra di mare, oppure alle Revilla Gigedo? — chiese Josè.

— Sono troppo vicine al Messico e troppo frequentate dalle navi, mio caro Josè — disse Hearney.

— Eppure...

— No, no, portiamoli all'isola Copper — gridarono i ribelli.

— E sia — disse Josè. coi denti stretti. — Beviamo, camerati, che ho una sete terribile. Berrei persine del sangue!

Sette od otto marinai portarono in coperta tre barilotti di whisky e li sfondarono.

— Alla salute del nostro capitano — urlarono i ribelli, cacciando entro il liquore le tazze.

— Alla vostra, amici — disse Josè.

L'orgia cominciò. I marinai, seduti attorno ai barili, bevevano senza risparmio agitandosi come indemoniati e urlando come ossessi. Brindavano, cantavano, bestemmiavano, ridevano, si bisticciavano e si picchiavano. Al whisky successe il gin, al gin il brandy, al brandy il rhum. Alla sera, giganteschi punch fiammeggiarono, illuminando la notte di una luce livida.

Josè sembrava il capo dell'orgia. Beveva, cantava, rideva e prometteva a tutti monti d'oro e sacchi di diamanti. Ma quando nessuno lo guardava, lo sguardo d'odio che lanciava su quelli ubriachi era tale da metter paura. Quando poi i suoi occhi si posavano su Hearney, tutta la sua faccia si alterava e mormorava fra i denti:

— Maldito. Il lupo di mare mangerà ben presto il lupicino.

Alla mezzanotte Hearney, che forse non si sentiva troppo sicuro, fece cessare l'orgia. Ordinò di portare gli ubriachi nelle amache e comandò di spiegare le vele.

— Dove mettiamo la prua? — chiese a Josè, che era salito sul ponte di comando.

— Volete proprio sbarcare all'isola Copper? — chiese il lupo di mare con voce sorda.

— Tutti lo vogliono, capitano.

— Mettete la prua al sud-ovest, per ora.

— Quanti giorni impiegheremo per giungervi?

— Otto o dieci, se il tempo non diventa burrascoso.

— Conoscete l'isola?

— Vi sono sbarcato una volta per cacciare le testuggini.

— Era abitata?

— Non ho visto nemmeno un selvaggio.

— Meglio così. Vegliate attentamente, capitano; la nave è nelle vostre mani.

Josè lo guardò fisso fisso senza rispondere, poi accese la pipa e si mise a passeggiare sul ponte col capo chino sul petto.

Hearney scese sulla tolda, diede uno sguardo alle vele, un altro all'oceano che sembrava deserto, poi si recò nel quadrato di poppa.

— Bisogna informare i prigionieri della nostra bella decisione — disse il pirata, sorridendo. — Urleranno, minacceranno, ma la forza l'abbiamo noi. Stiamo in guardia però; sono uomini pericolosi.

Staccò una lanterna, armò una pistola, s'avvicinò alla porta della saletta di poppa, tirò il catenaccio e l'aprì. Un uomo si precipitò addosso al pirata: era il tenente Michele.

— Miserabile! — urlò questi, alzando le mani.

— Non ischerziamo — disse il californiano, facendo un salto indietro. — Ho una pistola in mano e vi giuro che son pronto ad adoperarla, se voi mi toccate.

— Vile! — urlò il tenente.

— Calmatevi, Michele — disse don Guzman, trattenendolo nel momento che stava per gettarsi sul pirata. — Quell'uomo sarebbe ben contento di uccidervi. Non dategli questa soddisfazione.

— Avete una ben triste opinione di me, don Guzman — disse Hearney, sforzandosi di sorridere.

— Un miserabile tuo pari non può ispirare una buona opinione — rispose don Pablo con profondo disprezzo. — Che vuoi da noi?

— Vi porto una buona nuova, don Guzman. Invece di appiccarvi come aveva proposto qualcuno, abbiamo deciso di deportarvi all'isola Copper.

— Chi era il presidente del tribunale? — chiese Michele con ironia.

— Io, tenente.

— Un presidente che puzzava di corda!

— Le vostre ingiurie non mi fanno arrossire, tenente.

— Ciò vuol dire che sei il più vile degli uomini.

Hearney alzò le spalle.

— Ho da farti una domanda, Hearney — disse don Guzman. — Cosa avete fatto di mastro Josè?

— Mastro Josè passeggia sul ponte di comando — rispose il californiano. — È stato nominato capitano.

— Josè capitano d'una banda di pirati! — esclamò don Guzman.

— Tu menti! — urlò Michele.

— Vi giuro che ho detto la verità — disse Hearney. — Non avete udito a gridare: Viva Josè!

— È vero — disse don Guzman. — Anche Josè ci tradisce; Josè, il mio vecchio mastro! È orribile, è orribile!

— Io non lo crederò mai — mormorò Michele. — Il vecchio è furbo e ci ha amati troppo. Mio caro Hearney, ti giuocherà un bel tiro quel vecchio lupo di mare.

— Desiderate qualche altra informazione? — chiese il californiano.

— Dove va il Richmond? — domandò Michele.

— In Australia a corseggiare. Buona notte, capitano; buona notte, tenente.

Chiuse la porta a catenaccio e risalì in coperta.

Il Richmond, un po' sbandato sul tribordo, filava rapidamente verso il sud-ovest, con tutte le vele spiegate. Sul ponte di comando passeggiava il vecchio Josè e sulla tolda chiacchieravano gli uomini di guardia.

— Tutto va bene — mormorò il furfante, stropicciandosi allegramente le mani. — Diverrò ricco come un nababbo indiano.

All'indomani, 30 aprile, il vento cambiò alquanto e l'oceano divenne grosso, ma il Richmond mantenne la rotta verso il sud-ovest. A mezzodì mastro Josè fece il punto, modificò di alcune quarte la direzione sino allora tenuta e fece spiegare tutte le vele, persino gli scopamari e i coltellacci. L'equipaggio, che era tornato docile come prima, eseguì tutte le manovre.

Nei giorni seguenti nulla accadde di nuovo. Il vento si manteneva sempre buono e la nave camminava con discreta celerità, non ostante i larghi cavalloni che correvano per l'ampio oceano e la corrente che tendeva trascinarla verso il sud ove si unisce colla grande corrente che sale lungo le coste peruviane. Mastro Josè ogni mezzodì faceva il punto e dava la rotta. Hearney si mostrava sempre contentissimo e l'equipaggio lavorava alacremente senza mai lagnarsi. Don Guzman si manteneva tranquillo, ma non così il tenente Michele, il quale di tratto in tratto veniva preso da tremendi accessi di collera. Anzi più di una volta aveva preso pel collo i marinai incaricati di portargli il cibo e li aveva mezzi strangolati.

Il pomeriggio del 7 maggio, cioè otto giorni dopo la rivolta, mastro Josè, esaminata prima attentamente una carta geografica dell'Oceano Pacifico e fatti alcuni calcoli, chiamò Hearney che passeggiava a prua, fumando una sigaretta.

— Cosa desiderate, capitano? — chiese il californiano.

— Siamo a sole trenta miglia dall'isola Copper — disse il vecchio lupo di mare. — All'alba potremo sbarcare i nostri prigionieri.

— By-God! — esclamò il californiano. — Questa notizia mi fa molto piacere.

— Ed anche a me — disse Josè sorridendo. — Le collere del tenente Michele cominciavano ad inquietarmi.

— Cosa dobbiamo fare?

— Calerete in acqua il gran canotto e lo fornirete di vela e remi.

— Perché?

— Attorno all'isola Copper vi sono centinaia di scogli pericolosissimi e le navi sono obbligate a tenersi a quindici miglia dalle coste, per non fracassarsi.

— Cosa regaleremo ai prigionieri?

— Metterete nel gran canotto tre fucili, alcune libbre di polvere e di palle, della carne, dei biscotti, una cassa di vesti, qualche zappa se ne abbiamo e un barilotto di acqua.

— Dell'acqua?

— Nell'isola Copper l'acqua non abbonda.

— Devo preparare tutto ciò subito?

— Meglio subito che domani mattina. Perderemo meno tempo.

Hearney chiamò alcuni marinai, fece calare in acqua il gran canotto, lo fece attrezzare e vi mise dentro tutto ciò che gli aveva ordinato il vecchio lupo di mare. Alle otto di sera l'imbarcazione era pronta.

Mastro Josè, alle nove fece imbrogliare una parte delle vele, temendo — diceva — di dar di cozzo contro qualcuno dei numerosissimi scogli che circondano l'isola, poi invitò Hearney a bere una bottiglia di whisky.

Il californiano, che come tutti gli yankees ci teneva a bere, non si rifiutò. Ma da una bottiglia di whisky passarono ad una bottiglia di gin, e da una bottiglia di gin ad una di brandy. Alle undici il californiano aveva bevuto tanto che non si reggeva più sulle gambe, e non era più capace di tener aperti gli occhi.

— Un altro bicchiere, tenente — disse mastro Josè con un risolino diabolico. — Poi andremo a dormire fin all'alba.

Hearney non si fece pregare, ma quell'ultimo bicchiere fu il suo colpo di grazia. Il brigante cadde sotto la tavola come fosse morto e Josè faticò non poco a portarlo nella sua amaca.

— Ora, — disse il mastro, guardando cupamente l'ubriaco, — andiamo a trovare gli amici. Il lupo ha mangiato il lupicino.

Si guardò attorno. Nella camera di prua era solo. Passò nella stanza attigua riservata ai marinai; gli uomini russavano profondamente. Salì in coperta; una profonda oscurità regnava, essendo gli astri coperti da un fitto velo di vapori ed i marinai di guardia stavano dispersi parte a poppa e parte a prua.

— Andiamo, vecchio mio — disse. — Audacia e sangue freddo.

Scese silenziosamente, senza essere stato veduto, nella batteria e passò nel quadro di poppa. Tirò senza far rumore il catenaccio ed entrò nel salotto. Non c'era nessuno, ma da una cabina usciva un filo di luce ed un mormorìo di voci. Bussò leggermente.

— Chi viene a seccarci? — chiese il tenente Michele, con collera.

— Io, mastro Josè.

La porta si aprì violentemente ed i due prigionieri uscirono.

— Tu, tu qui! — esclamò don Guzman.

Sporse la destra al vecchio lupo di mare, ma subito la ritirò.

— Anche tu sei nel numero dei ribelli — disse con accento triste. — Eppure non l'avrei mai creduto.

— Capitano — disse Josè con voce commossa. — Anche voi avete creduto che tradissi la repubblica messicana? Io, il vecchio Josè, il vostro mastro!

— Spiegati, vecchio — intimò Michele, che non si era ancora calmato.

— Ho rappresentato una commedia e nulla di più, tenente — rispose Josè.

— Ma non hai accettato il grado di capitano tu? — chiese don Guzman.

— È vero, don Pablo, ma collo scopo di salvarvi.

— Salvarci!...

— Sì, mio capitano, vengo a salvarvi.

— Ah mio buon Josè! — esclamò don Guzman, stringendo la mano del bravo marinaio.

— Mio caro lupo, tu sei un furbo della più bell'acqua — disse Michele. — Corpo d'un cannone! Ed io che aveva creduto alle parole di quell'animale di Hearney! Se lo prendo, gli faccio uscire mezza lingua.

— Sei solo? — chiese il capitano.

— Solo — rispose Josè.

— Come ci salveremo?

— A poppa c'è il gran canotto armato e ben approvvigionato. Basterà tagliare la gomena, per essere liberi.

— Il gran canotto pronto! — esclamò Michele. — Ma siamo forse in vista dell'isola Copper!

— Ho agito con furberia, tenente — disse Josè, sorridendo. — Ho dato ad intendere ai ribelli che noi ci troviamo a una ventina di miglia dall'isola ed ho fatto preparare il gran canotto per sbarcarvi. Invece io ho diretto la nave in modo che ora ci troviamo fra Copper e la Revilla Regeda, sicché, se il diavolo non ci mette la coda, in un paio di settimane potremo toccare una terra abitata anziché un'isola deserta.

— Sei un bravo uomo, vecchio mio — disse Michele, stringendogli vigorosamente le mani.

— Grazie, tenente.

— Ma i ribelli si accorgeranno della nostra fuga — disse don Guzman.

— La notte è oscura, capitano, ed Hearney dorme profondamente con tre bottiglie di whisky che gli ho fatto bere.

— Ma come scenderemo nel canotto?

— Ci caleremo in mare da un sabordo della batteria.

— È pronto tutto?

— Tutto, capitano.

— E fuggiremo senza punire i traditori? — chiese Michele. — Io vorrei torcere il collo ad Hearney.

— Ad Hearney solo! — esclamò don Guzman, con un tono di voce che fece rabbrividire Josè. — Don Guzman non perdona il tradimento, tenente, e tutti i traditori morranno. È aperta la santabarbara, Josè?

— Che volete fare, capitano? — chiese il mastro con ansietà.

— Josè, — disse don Guzman con voce sorda, — vi sono uomini vilmente assassinati dai loro camerati, che chiedono vendetta al loro capitano. Don Pablo Guzman ha giurato di vendicarli e manterrà la parola.

— Bravo capitano! — esclamò Michele. — Faremo scoppiare il vascello come una bomba. Caro Hearney, hai gridato troppo presto: «Viva la pirateria, abbasso i messicani!» Ti arrostiremo per bene. Corpo di una spingarda! Sarà uno spettacolo superbo!

— Andiamo — disse Guzman.

— Un momento, capitano — disse Josè. — Bisogna spogliarsi.

— Perché?

— Per raggiungere la scialuppa è necessario calarsi in mare.

— Hai ragione.

I tre messicani si spogliarono non conservando che le mutande.

— Avremo dei vestiti dopo? — chiese Michele.

— C'è una cassa nel gran canotto — disse Josè. — Ora prendete questi coltelli, sono buoni tanto contro i pescicani, quanto contro gli uomini.

— Grazie — disse don Guzman. — Andiamo, amici.

Spensero il lume ed uscirono dal quadrato in punta dei piedi e col coltello in pugno.