I predoni del Sahara/Capitolo 12 - Una vendetta nel deserto

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Capitolo 12 - Una vendetta nel deserto

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Capitolo 12 - Una vendetta nel deserto
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12 - Una vendetta nel deserto


Le marce sull'interminabile mare senz'acqua, come gli arabi chiamano, nel loro linguaggio figurato, le immense e desolate pianure del Sahara, si succedevano sempre più faticose e più monotone.

Le sabbie si succedevano alle sabbie senza nessuna variante, ora formando bassure che parevano non dovessero finire mai, ed ora in lunghe file di dune che davano l'aspetto di onde solidificate, stancando immensamente gli sguardi e anche l'anima dei due europei e dei loro compagni.

Solo a lunghe distanze, intorno alle rocce emergenti come isolotti perduti su quel mare di sabbia, s'incontravano magre erbe, intristite dagli implacabili raggi di quel terribile sole, e sulle quali si gettavano avidamente i poveri cammelli, disputandosele.

Era il vero deserto, senza un albero che potesse rallegrare lo sguardo, senza un pozzo ove bagnarsi le labbra arse, senza un essere vivente qualsiasi, perché se il Sahara ha animali feroci e anche antilopi e gazzelle e struzzi, essi non s'incontrano che nelle vicinanze delle oasi.

Era un vero oceano di sabbia e di fuoco, sormontato da una atmosfera ardente che disseccava ed incartapecoriva le carni, faceva sudare grandemente gli uomini e assorbiva rapidamente l'acqua degli otri già tanto scarsa. E che luce poi, che irradiazione! In certi momenti gli occhi non potevano più affrontare quei riflessi brucianti, che producevano dolori paragonabili alle trafitture di mille spilli, e le palpebre non bastavano più a ripararli.

Dinanzi, l'orizzonte che pareva coperto di fiamme; in alto un cielo sfolgorante che non si poteva guardare nemmeno per un solo istante; a terra i riflessi acciecanti delle sabbie rese quasi incandescenti.

Nondimeno la carovana non s'arrestava, ansiosa di giungere ai pozzi di Beramet per rinnovare le sue provviste d'acqua che cominciavano a scemare con spaventosa rapidità e scovare El-Abiod.

Aveva però rinunciato, dopo alcuni giorni, alle marce diurne, quantunque gli accampamenti sotto le tende, con quel sole terribile che le riscaldava come forni, riuscissero penosissimi pel marchese e per Rocco, non abituati a quelle alte temperature.

Non si mettevano in cammino che qualche ora prima del tramonto, continuando fino all'alba. Tuttavia il calore si manteneva quasi eguale anche la notte, perché nessun soffio d'aria la mitigava e le sabbie non perdevano quasi nulla della loro incandescenza, nemmeno nelle prime ore del mattino.

Non fu che al nono giorno dopo la partenza da Tafilelt che la carovana poté finalmente salutare l'esile e alto minareto di Beramet, nel momento in cui il muezzin, col viso volto alla Mecca, lanciava nello spazio la preghiera mattutina:

“Allah, Allah, russol Allah... [Dio è Dio e non v'è altro Dio che Dio, e Maometto è il suo profeta].”

La carovana si era arrestata. Tutti gli uomini e anche Esther, che doveva pure fingersi mussulmana, si erano inginocchiati sui tappeti appositamente distesi, e dopo aver recitato la preghiera alla presenza degli abitanti, ciascuno aveva fatto le sue abluzioni colla fine sabbia della via, come prescrive il Corano, allorché il viaggiatore non trova acqua a sua disposizione.

Ciò fatto uomini e cammelli erano entrati nella piccola oasi, colla speranza di trovare la carovana.

Beramet non è che una piccola stazione, situata a poche miglia dal fiume Igiden, fiume però che rimane asciutto per anni continui: esso dovrebbe scaricare le sue magre acque in un laghetto salmastro che si estende verso il settentrione, quasi ai confini del Marocco.

Beramet si compone d'una piccola moschea, di tre o quattro duar, abitati ognuno da un gruppetto di famiglie, e di magre piantagioni di datteri, di acacie e di aloè.

I suoi abitanti appartengono quasi tutti alla razza degli Amargui, la più bella e la più fiera del Marocco, nemica degli arabi, ai quali fanno subire, quando se ne presenta l'occasione, i più cattivi trattamenti.

Sono begli uomini, robusti, cacciatori intrepidi e camminatori instancabili, con un miscuglio di selvatichezza e di dolcezza, più ospitali dei Sellak, che sono invece arroganti, ladri e assassini ed ai quali disputano la supremazia delle tre o quattro razze che vivono nel Marocco. Giovani, vivono di caccia e coltivano i campi; diventati vecchi, fanno i pastori e passano intere giornate distesi al suolo, in una immobilità assoluta, sfidando il sole a testa nuda.

Appena entrati fra i duar, il marchese ed i suoi compagni s'avvidero subito, con molto dispiacere, che non vi era in quel momento alcuna carovana.

“Già andati?” si chiese il marchese, con visibile malumore.

“Sono partiti da cinque giorni,” rispose El-Haggar, che si era già informato dal capo della borgatella.

“Per dove?”

“Per i pozzi di Marabuti.”

“Quanti giorni ci saranno necessari per giungere a quei pozzi?” domandò il marchese.

“Non meno di tre settimane,” rispose El-Haggar.

“Signorina Esther,” chiese il marchese, volgendosi verso la giovane ebrea, “avete bisogno di qualche giorno di riposo?”

“No, marchese,” rispose la sorella di Ben. “Sul cammello non mi affatico, essendo abituata al passo di questi animali.”

“Allora potremo ripartire questa sera, se non vi rincresce.”

“Mi spiacerebbe invece farvi perdere qualche giorno.”

“Grazie, fanciulla.”

Rizzarono le loro tende fuori dai duar onde essere più liberi, poi Ben, El-Haggar ed i due beduini si recarono ai pozzi per abbeverare ampiamente i cammelli e fare le loro provviste d'acqua. I pozzi del Sahara sono tutti eguali. Vengono scavati da una corporazione speciale detta dei R' tassa, e con sistemi assolutamente primitivi, sicché la loro durata è breve.

Fanno un buco nel terreno, lo allargano a poco a poco, puntellandolo, onde le sabbie non cedano, e foderandolo con tronchi di palmizi vuoti. Simili opere sono poco solide e le sabbie, franando a poco a poco, finiscono presto per riempire i pozzi facendo scomparire l'acqua.

Quelli però di Beramet erano ancora in ottimo stato e potevano fornire acqua in quantità e anche eccellente, cosa piuttosto rara, essendo essa per lo più un po' salmastra.

I cammelli furono dapprima lasciati bere a sazietà, poi furono costretti a ingurgitare altra acqua mediante un imbuto cacciato sulle loro narici, operazione poco piacevole di certo per quei poveri animali, ma necessaria onde aumentare la loro provvista interna.

Alla sera, un pò dopo il tramonto, la carovana, aumentata di due mehari, ossia cammelli corridori, acquistati dal marchese, e ben provvista d'acqua e di viveri, lasciava Beramet, prendendo la via del sud.

Il deserto pareva che fosse diventato più arido ancora. Non più rocce, non più magre erbe, non il più piccolo animale: sabbia, e sempre sabbia, avvallata confusamente in larghe ondulazioni, e poi sabbia ancora.

“Mi sembra che il deserto si abbassi considerevolmente,” disse il marchese, il quale cavalcava a fianco di Ben.

“Forse questo sarà il fondo dell'antico mare,” rispose l'ebreo.

“Ah! Credete anche voi che anticamente il Sahara fosse coperto d'acqua?”

“Tutti lo affermano, signore.”

“Eppure gli scienziati ne dubitano, mio caro Ben. L'altitudine media del deserto è di quattrocento metri sul livello del mare, quindi ammetterete che l'acqua non doveva salire a tanta altezza, se, come si dice, comunicava coll'oceano.”

“Vi sono però delle bassure considerevoli, marchese.”

“Non lo nego, ma sono relativamente poche.”

“Quale spiegazione danno dunque gli scienziati?”

“Affermano che il Sahara, al pari dei deserti del Turkestan e di Gobi, non sia già diventato tale pel ritiro delle acque, bensì a causa di sollevamenti geologici avvenuti in epoche antiche e che la sabbia si sia formata per azione disgregante, operata superficialmente sulle rocce dall'aria e dalle piogge.”

“Può essere, marchese,” disse Ben Nartico. “Gli strati rocciosi sono abbondantissimi nel Sahara e anche d'una durezza poco considerevole. Ah!”

“Che cosa avete?”

“Guardate quella roccia isolata che sorge dinanzi a noi.”

“La vedo.”

“È la roccia d'Afza la bella.”

“Ne so meno di prima.”

“È una storia che nel Sahara tutti conoscono.”

“Ma che io ignoro, Ben.”

“Ricorda una terribile vendetta.”

“Allora me la racconterete.”

“Sì, quando ci fermeremo, marchese. Per ora marciamo.”

Il deserto manteneva la sua desolante uniformità e anche il suo intenso calore. Una calma assoluta regnava su quelle sconfinate pianure. Se qualche colpo d'aria giungeva a lunghi intervalli, era d'altronde così ardente che non si desiderava, perché pareva togliesse il respiro.

Quella prima marcia, dopo la partenza da Beramet, si prolungò fino all'alba, desiderando il marchese di guadagnare via onde poter raggiungere la carovana almeno a Marabuti.

Appena sorto il sole, furono alzate le tende e tutti vi si rifugiarono per prepararsi la colazione e prendere poi un pò di riposo. Mentre Rocco s'occupava dei piatti forti, consistenti per lo più in una zuppa di legumi ed in frittelle di farina, Esther preparò un delizioso moka che offrì ai suoi compagni assieme ad alcuni bicchierini di vecchio Cognac, liquore che il marchese non si era dimenticato di portare.

“Alla fermata ci siamo, amico, e la storia della rupe mi è ancora ignota,” disse il marchese a Ben.

“Ve la narrerò io, marchese,” disse Esther.

“Allora il racconto avrà maggior pregio. Afza deve essere stata una donna, è vero?”

“E una delle più belle del deserto.”

“Qui si nasconde qualche cupo dramma.”

“Una vendetta che vi darà un'idea dei costumi degli abitanti del Sahara,” disse Esther, e poi cominciò:

“Un giorno presso quella roccia sorgeva un duar circondato da bellissimi datteri, perché allora i pozzi non erano ancora stati rovinati ed il terreno non era diventato sterile.

“Voi già sapete che quando l'acqua viene a mancare, il deserto riprende i suoi diritti e tramuta anche le più belle oasi in una pianura arida, sulla quale non spunta più l'erba.

“Quel duar era abitato da un beduino, che si chiamava Alojan, un uomo audace, intrepido cacciatore e che tutti conoscevano nel Sahara.

“Alojan era felice perché oltre a possedere numerosi cammelli, possedeva pure la più bella donna del deserto, Afza, una Tuareg che aveva pagato quasi a peso d'oro sul mercato d'Anadjem. Disgraziatamente quella felicità non doveva durare a lungo; Allah aveva disposto diversamente.

“Un giorno Alojan, mentre inseguiva un'antilope, giungeva in una bassura sabbiosa, dove il terreno era coperto di lance spezzate, di sciabole insanguinate e di cadaveri. Una battaglia doveva essere avvenuta in quel luogo fra tribù di Tuareg avversarie. Alojan, temendo di venir sorpreso dai vincitori, stava per tornarsene al suo duar, quando gli giunse agli orecchi un lamento. Si spinse fra i cadaveri e scoprì a terra un giovane guerriero che respirava ancora.

“Alojan era valoroso e anche molto generoso. Raccolse il ferito, lo caricò sul suo cammello e lo trasportò nel suo duar, ove lo curò come se fosse stato un fratello.

“Dopo quattro lunghi mesi di convalescenza quel giovane, che si chiamava Faress, era completamente guarito.

“«Tu ormai non hai più bisogno delle mie cure,» gli disse il generoso Alojan. «Se vuoi tornare presso la tua tribù, io ti condurrò e ti lascerò anche se con dispiacere; ma se vuoi rimanere nel mio duar, sarai per me un fratello; mia madre sarà anche la tua, e mia moglie ti sarà sorella.»

“«O mio benefattore,» rispose il giovane guerriero, «ove troverei dei parenti come quelli che tu mi proponi? Senza di te io non sarei più vivo e la mia carne avrebbe servito di pasto agli uccelli da preda e le mie ossa sarebbero rimaste senza sepoltura sulle sabbie ardenti del deserto. Giacché lo vuoi, io rimarrò presso di te, per servirti tutta la vita.»

“Devo però dirvi che Faress era stato indotto a rimanere da un motivo meno puro; era l'amore che cominciava a sentire per la bella Afza, amore nato dalle cure che ella gli aveva prodigato.

“Erano passati altri due mesi, quando Alojan, che non aveva avuto il minimo sospetto, incaricò Faress di scortargli la madre, la moglie e due fanciulli fino ad un'oasi, dove contava di piantare il suo duar.

“L'occasione fa il ladro, come si dice. Faress, non sapendo resistere, pose la tenda su un cammello, vi collocò la madre coi due fanciulli e li mandò innanzi, dicendo che li avrebbe presto raggiunti con Afza.

“La vecchia attese a lungo, e non vide più giungere né l'uno, né l'altra. Faress, salito su un rapido cavallo, aveva portato Afza presso la sua tribù.

“Alla sera, quando Alojan giunse alla nuova oasi, trovò la madre piangente, seduta presso una palma.

“«Dov'è Afza?» le chiese con voce terribile.

“«Io non ho veduto né tua moglie, né Faress;» rispose la vecchia. «È da questa mattina li attendo.»

“Allora per la prima volta un sospetto attraversò il cuore e il cervello del tradito. Aiutò la madre ad alzare la tenda, prese le sue armi, salì sul suo mehari e corse disperatamente attraverso il deserto; finché giunse presso la tribù di Faress.

“All'entrata del duar si fermò presso una vecchia che viveva sola. Scorgendolo, costei lo guardò a lungo con stupore, dicendogli:

“«Perché non vai dallo sceicco della tribù? Oggi è giorno di festa e non si nega ospitalità a nessuno straniero, fosse anche un nemico.»

“«E perché si fa festa?» chiese Alojan.

“«Faress El-Meido, che era rimasto sul campo di battaglia e che era stato pianto per morto, è tornato conducendo con sé una bella donna e oggi si sono celebrate le nozze.»

“Alojan dissimulò la rabbia tremenda che lo divorava e attese pazientemente la notte.

“Quando tutti gli abitanti dei duar dormivano, strisciò senza far rumore sotto la tenda di Faress, e prima che questi aprisse gli occhi, con un colpo di scimitarra gli spiccò la testa dal busto.

“Afza si svegliò, e Alojan l'afferrò prontamente dicendole: “«Seguimi!»

“«Imprudente!» esclamò la donna con voce tremante pel terrore che la invadeva. «Va', fuggi, prima che i parenti di Faress ti uccidano.»

“«Silenzio, donna» disse Alojan, con voce minacciosa. «Alzati, invoca Dio e maledici il demonio che ti ha spinto ad abbandonare il tuo sposo ed i tuoi figli.»

“Afza, che aveva veduto un terribile lampo balenare negli occhi del tradito, cercò di gridare al soccorso, ma venne afferrata strettamente e portata sul cammello.

“L'allarme però era stato dato, e il padre di Faress e due dei suoi figli si erano slanciati sulle tracce di Alojan.

“Questi, vedendosi inseguito da vicino, impugnò le sue armi e si difese come un leone. Nel frattempo Afza, liberatasi dai suoi legami, si unì agli inseguitori, scagliando sassi contro Alojan, e uno dei sassi lo colse alla testa, ferendolo.

“Nondimeno Alojan uccise i due fratelli di Faress e riuscì ad atterrare anche il padre.

“«Io non uccido i vecchi,» disse, quando lo vide a terra. «Riprendi il tuo cavallo e ritorna fra i tuoi.»

“Poi riafferrata Afza, si rimise in viaggio dirigendosi verso il suo primiero duar, senza aver detto una parola alla sua donna.

“Quando giunse presso la rupe che avete veduto, da uno dei suoi servi che era ancora rimasto nell'oasi, fece chiamare il padre ed i fratelli della moglie, che abitavano poco discosti, e raccontò loro quanto era avvenuto.

“«Padre;» disse poi, quand'ebbe finito, «giudica tua figlia.»

“Il vecchio s'alzò senza dire verbo, trasse la scimitarra e la testa della bella Afza ruzzolò al suolo.

“Compiuta la vendetta, Alojan rovinò i pozzi onde tutte le piante morissero, li riempì di sabbia, poi salito sul suo cammello scomparve fra le dune del deserto, né più si seppe nulla di lui.

“La rupe però è rimasta a ricordare la vendetta del povero cacciatore del deserto sulla infedele Afza.”