I profughi di Parga/Parte I

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Parte I. La Disperazione

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I profughi di Parga Parte II
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PARTE PRIMA

LA DISPERAZIONE

«Chi è quel Greco che guarda e sospira,
     Là seduto nel basso del lido?
     Par che fissi rimpetto a Corcira
     Qualche terra lontana nel mar. —
     Chi è la donna che mette uno strido
     6In vederlo una rôcca additar?

«Ecco ei sorge. — Per l’erto cammino
     Che pensier, che furor l’ha sospinto?
     Ecco ei stassi che pare un tapino,
     Cui non tocchi più cosa mortal. —
     Ella corre — il raggiunge — dal cinto,
     12Trepidando, gli strappa un pugnal. —

«Ahi, che invan la pietosa il contrasta
     Già alla balza perduta ei s’affaccia,
     Al suo passo il terren più non basta,
     II suo sguardo sui flutti piombò.
     Oh pavento! ei protende le braccia: —
     18Oh sciagura! già il salto spiccò. —

«Remiganti, la voga battete:
     Affrettate; — salvate il furente.
     Ei delira un’orrenda quiete:
     Muore — e forse non sa di morir. —
     O già forse il meschino si pente;
     24Già rimanda a’ suoi cari un sospir.» —

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Disse Arrigo. — E de’ remi la lena
     L’ansia ciurma su l’acque distese;
     Ma a schernirlo dall’ima carena
     Fra i tacenti una voce salì:
     «Che t’importa, o vilissimo Inglese,
     30Se un ramingo di Parga morì!»

Quella voce è il dispetto de’ forti
     Che, traditi, più patria non hanno. —
     Que’ voganti alle belle consorti
     Corciresi ritornan dal mar. —
     Con lor passa a Corcira il Britanno
     36Poi che i venti al suo legno mancâr. —

Come il reo che dà mente all’accusa,
     Sentì Arrigo l’ingiuria, e si tacque:
     Come il reo che non trova la scusa,
     Strinse il guardo, la fronte celò;
     E dell’isola avara ov’ei nacque
     42Sul suo capo l’infamia pesò.

Ma un nocchiero i compagni rincora;
     Sorge un altro, e lor segna un maroso;
     Ecco un altro si affanna alla prora;
     Il goerno da poppa ristè. —
     Ecco un plauso: «Su! mira il tuo sposo,
     48Mira, o donna, perduto non è.» —

Quando Arrigo posarsi al naviglio
     Vede il miser, su lui s’abbandona,
     E, qual madre a la culla del figlio,
     Su le labbra alitando gli vien;
     Della vita il tepor gli ridona;
     54Gli conforta il respiro nel sen.

I nocchieri a quel corpo grondante
     Tutti avvolgono a gara i lor panni;
     Tutti a gara d’intorno all’ansante
     Gli affatica un’industre pietà. —
     Noto a tutti è quell’uom degli affanni;
     60Ognun d’essi la storia ne sa.

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S’ode un pianto: — Discesa alla spiaggia
     È la donna che invoca il consorte,
     E alla voga che a lei già vïaggia
     Più veloce scongiura il vigor.
     Infelice un’angustia di morte
     66Le travaglia la speme nel cor.

A quel prego, su i banchi, — giuliva
     Del riscatto, — la ciurma s’arranca; —
     Già vicina biancheggia la riva; —
     Sotto prora già l’onda sparì; —
     Già d’un guardo il salvato rinfranca
     72La compagna de’ tristi suoi dì. —

L’uom di Parga all’ostello riposa;
     La sua stanca pupilla è sopita. —
     Ma, a custodia dell’egro, la sposa
     Quanto è lunga la notte vegliò;
     E a spïarne, tremando, la vita
     78Su lui spesso ricurva penò.

Nella veglia angosciosa il Britanno
     A la donna soccorre; e le dice:
     «Perchè taci, e nascondi l’affanno?
     Ah! mi svela i segreti del duol;
     Narra i guai che al deliro infelice
     84Fenno esosa la luce del Sol.» —

Era il chieder dell’uom che prepara
     Un conforto maggior che di pianto;
     E a lei scese su l’anima amara,
     Come ad Agar la voce del Ciel,
     Quando già pel deserto, ed a canto
     90Le gemea l’assetato Ismael. —

«O cortese, qualunque tu sia,
     No, d’aprirti il mio cor non mi pesa;
     Ma ove l’angiol di Parga t’invia
     A veder di sue genti il dolor,
     Se tu ascolti parola d’offesa,
     96Non irarti, ma piangi con lor.» —

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Ogni fiel di rampogna futura
     Temperò con tai detti l’onesta;
     Poi, qual donna che il tempo misura,
     Fe’ silenzio, e allo sposo tornò;
     La man lieve gli pose alla testa,
     102E contenta, un suo voto mandò:

«Da le membra è svanito l’algore.
     Ah! sien placidi i sonni; e dal ciglio
     Si trasfonda la calma nel cuore:
     Nè il funestin vaganti pensier
     Che gli parlin di patria, d’esiglio,
     108Che gli parlin d’oltraggio stranier.» —

Oltre il mezzo è varcata la notte. —
     Nel tugurio le tenebre a stento
     Da una poca lucerna son rotte
     Che già stride, vicina a mancar. —
     Fuor non s’ode uno spiro di vento,
     114Non un remo che batta sul mar. —

Tace Arrigo. — La Greca si asside
     A ridir le sue pene; e sovente
     Il sospir la parola precide,
     O l’idea ne la mente le muor,
     Perchè al letto dell’uomo languente
     120La richiama inquïeto l’amor.