Il Baretti - Anno II, n. 2/Lettera d'occasione

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Guglielmo Alberti

Lettera d'occasione ../Il muro trasparente ../La pittura futurista IncludiIntestazione 30 settembre 2021 100% Da definire

Il muro trasparente La pittura futurista

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Lettera d’occasione.

Caro Pilade,

È tacita condizione fra di noi, anzi è un legame, che proprio del tuo silenzio io mi soddisfi. Questa lettera se in alcun modo lo immaginassi suscitatrice di una tua risposta, non che ponzarla con fatica, son certo che non mi riuscirebbe di pensarla affatto. Perchè conosco la tua precisa persona, e di essa m’importa — peggio e più ancora: di me di fronte ad essa. Onde anche ne viene che il far pubblicare queste righe non mi preoccupa. Tu ridotto a un’ombra muta, ma in ascolto, attento, intelligente — il pubblico essendo la consueta moltitudine anonima: cade, così anzi nemanco nasce velleità alcuna di polemica. Il discorso può svolgersi filato, urgente paranco, ma disinteressato, sembra; e col disinteresse chissà che non si giunga talora a ritrovare un filo di sincerità.

Dico anonimo il pubblico: a trarli dalla massa Tizio. Caio, Sempronio, sai già che oltre il previsto non ne cavi. Professioni di fede, nobili sdegni, machiavellismo da strapazzo, colati nel conio spicciolo del luogo comune — ecco la moneta valevole per i loro negozi.

Ed è pacifico ormai che a nulla menano le predicazioni.

In altri tempi il rogo delle vanità menava ad altro rogo; senza tuttavia che nemanco fra i santi extra-canonici il martire potesse essere meritamente assunto. Ma anzi, attraverso i tempi, il suo esempio ad altro non è valso, se non a far vieppiù convinti di come radicata e ricca di succhi, in questa sua dolce terra, sia la vita del popolo d’Italia, che nella sua quotidiana placidità trionfa inerte di ogni riforma che non sia meramente esteriore e cui non lo costringa il bastone o la fondata tema di un danno materiale.

Discorso, questo, risaputo. Onde, nello squallore dei tempi, bilanci di sconfitte, atti d’umiltà e consimili disincantate constatazioni potranno oggi esser anche di moda, come di moda per un pezzo sono stati manifesti e programmi. Tutto sta, non solo a serenamente indagare le cause di ciò, ma distinte che le si abbia, badare a che l’umor dei tempi, suadente al raccoglimento, non ne conduca poi rinunzie più apparenti che schiette, od abdicazioni per disamore, stanchezza, sfiducia in noi stessi, negli altri, negli Dei.

Quella di ritrovarci legittimi ascendenti, di ricomporci su questa scompaginata terra un albero genealogico sul quale proficuamente poterci innestare, è una romantica prova che, ciascuno a suo modo, ma tutti s’è fatta. Pilade, rammenti! La nostalgia di una tradizione di classica civiltà ci ha lungamente travagliato. Oggi — non so di te; quanto a me, son libero da ogni rimpianto.

Ci si dorrebbe anzitutto intendere su quel che da una tradizione pretendiamo, quel che una tradizione può significare, e quello che è in effetto. Pilade, rammenterai che, terra ideale allevatrice e conservatrice della Tradizione, era per noi la Francia. La continuità ininterrotta della sua letteratura, fluente pari pari colla sua storia civile, un tono di vita trasparente sempre, uguale serbato e tramandato, e tale da permettere ed agevolare lo scambio delle idee, distinzione e chiarezza di quello società — di quanta ammirazione ci penetravano, ma come ci disperavano...

La tradizione che possiamo dir nostra è invece segreta, tanto segreta che a volersi rifar di proposito a dei modelli, par davvero che sia fatica non che inutile, perniciosa così da far puntualmente cadere nell’esercizio retorico la tradizione nostra è in un tono che mi piace dire di moralità nativa, straniato sì che la comunità italiana difficilmente ci si può riconoscere, ma pur rampollante dalle più profonde e pure scaturigini della nostra terra — tono che t'è dato scoprire attraverso o meglio sotto le differenze individuali, quando, accomunandoli appunto per la loro storica solitudine, familiarmente raduni nel tuo spirito la rada ma ricca schiero dei sommi italiani. Risparmiami di enumerarli.

Ma ecco vedi la solitudine e il distacco come, lungi dall’impoverirti, ti si vadan mutando, se una fede temperata d’ironia ti animi, in una maggiore virtuale ricchezza offerta dalla possibilità delle più varie integrazioni. E non fraintendermi: mi rifaccio a una parola d’altri su queste stesse colonne: raccoglimento. Non predico, vedi pure, sradicamenti. Un accento italiano, dico uno stile, stimo che risonerà più schietto dalle nostre labbra quanto meno ci saremo adoperati a farlo tale.

Libero così dagli obblighi che comporta l’eredità di un bene ordinato patrimonio tradizionale, con vivo tuttavia il senso di una carnale ma pur trepida adesione alla mia terra (più ancora che immediatamente alla mia gente), non distinguo più frontiere, ma soltanto una varietà di più fruttuose esperienze onde arricchirci di quanto dobbiamo pur riconoscere farci difetto. E dove leggi esperienze intendi tutte quelle che il moralista può assommare in un ideale Traitè de l’homme e che son l’intimo tessuto dell’opera del romanziere.

E chiudo un discorso troppo lungo per il mio fiato, troppo corto, monco anzi, se badi a che ho preteso di trattarvi. Per scaricarmi d’ogni responsabilità tirerò in ballo l’umore dei tempi.

Addio. Ti lascio; con, a guisa di benedizione, queste parole del religioso Baudelaire: «Et ainsi se forme une compagnie de fantômes déja nombreuse, qui nous hante familièrement, et dont chaque membre vient nous vanter son repos actuel et nous verser ses persuasions».

Oreste.