Il Battista/Canto primo
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CANTO PRIMO
Musa, che su nel cielo alma risplendi
D’aurea corona, e di stellato manto,
Vesti le piume sempiterne, e scendi
Qui dove umil del gran Battista io canto;
E dimmi tu, che ogni segreto intendi,
Come più ch’altro glorïoso e santo,
Il producesse in pria l’alvo materno
8Con alta prova di favore eterno.
Come tra folti boschi ei si nascose,
Sì prese il mondo scellerato a schivo,
Come il nudrir nelle magion selvose
Mele, e locuste, o dissetollo il rivo;
Verace Precursor, genti ritrose,
Popol perverso, e di giustizia privo
Con saggi detti alla giustizia accese,
16E ’l vero Agnel di Dio lor fe’ palese.
Ma se l’opre di lui, che in bel sereno
Con fama eterna ad ora ad or sen vanno,
Nè vuoi sue glorie raccontarmi appieno,
Che dell’Occaso paventar non sanno;
Narrami il pregio della morte almeno,
Eterna infamia al Galileo Tiranno,
Che da rie danze lusingato e vinto,
24Mirar sofferse il sì gran Santo estinto.
E tu, per cui d’Italia il nome altero
Or più sen va per Universo, aita
Porgi, gran Ferdinando, al gran pensiero,
Che a superno Elicona oggi m’invita:
A te ricorro, ed è ragion s’io spero,
Che per l’alta bontà, che in te s’addita,
Ove d’alcun celeste odi le lodi,
32Del vanto suo, più che del proprio godi.
Tutta gioconda il cor, tutta lucente
Di gemme, tutta di ghirlande adorna
Splende Firenze tua, se in Orïente
Del carissimo Santo il dì ritorna;
Quinci a lui celebrar divenne ardente,
Ed ei, che fra le stelle almo soggiorna,
E per gradir, che non sian scorte indarno
40Sue Muse dal Giordano al tuo grand’Arno.
Mentre del Redentor givano sparsi
Per Siria i pregi, anzi Satan s’uniro
Dentro da’ regni tenebrosi ed arsi
I rei ministri d’immortal martiro;
Da quegli iniqui egli bramò contarsi
L’umane colpe, lor sovran desiro;
E quanto fosse, esaminar volea,
48Vêr Dio la Terra peccatrice e rea.
Aspri Demon dagli Emisperi Eoi,
Là dove lampi d’ôr l’Alba diffonde,
E di là dove stanco i destrier suoi
Febo nel grembo di Nettuno asconde,
Erano apparsi, ed onde Nilo i tuoi
Alti principj manifesti, ed onde
Borea gonfio le gote, autor di gelo,
56Move soffiando, e rasserena il cielo.
Giù negli orridi abissi oltre Acheronte,
Oltra i nembi di Stige, atra Palude,
Stansi i regni di Dite, e Flegetonte
I varchi attorno innavigabil chiude,
Furie d’angui e di tosco irte la fronte,
Vegghian mai sempre trascorrendo, e crude,
D’acuti ferri ambe le palme armate,
64Vietano indi faggir l’alme dannate.
Per entro assorbe, e rimbombando incende
Atro bollor di atroce fiamma eterna;
Ma là nel mezzo apresi tetra, e fende
L’inestinguibil campo ampia caverna;
Tanto fra balze e precipizi scende,
Duro a pensarsi, la spelonca inferna,
Quanto nel gran sentier gira distante
72Dal volto della terra il ciel stellante.
Dell’ima tomba nell’orribil fondo
D’Erebo è il centro, e fieri tuoni, e venti
Scuotonlo intorno, e di sozzure immondo
Il tempestano ognor piogge bollenti:
Ombra caliginosa, error profondo
Quegli antri ingombra d’ogni luce spenti,
Se non dan lume al formidabil loco
80Sulfurei lampi di funereo foco.
Quivi empio, atroce oltre l’uman pensiero,
Sotto giogo immortal d’arse catene,
Giaceasi il re del condannato impero,
Anch’ei dannato ad ineffabil pene:
Che agli uomini del ciel s’apra il sentiero,
Ha cotanto dolor, ch’ei nol sostiene,
Vorria stato cangiarsi all’universo,
88E freme e latra in gran furor sommerso.
Men suona incendio per foresta alpina,
Fatto più fier da’ boreali orgogli,
Men sotto freddi giorni onda marina,
Che muova assalto contra immobil scogli,
Men torrente, che in valle aspro ruina;
Ma pur tra quegli immensi empi cordogli,
Che udir volesse, con le man fe’ chiaro,
96Ond’alto grido le crud’alme alzaro.
Ciascun s’avanza, e con alteri accenti
Narrava istoria di mortali errori,
Diceansi colpe di disdegni ardenti,
E larghi esempi di lascivi amori:
Spietati oltraggi di superbe menti,
Rapine ingorde degli altrui tesori:
E tanti rubellanti al re celeste
104Di bassa plebe, ed onorate teste.
Quando infiniti le divine offese
Già dispiegate avean, come suoi vanti,
Levossi un mostro, e che sovrane imprese
Contar dovesse, egli facea sembianti:
Dall’arsa fronte, e dalle guance accese
Disgombrò con furor gli angui fischianti,
E dalle labbra di rio tosco asperse,
112E sull’orrido tergo ei gli cosperse.
Poi del Tartareo re, fatto bramoso
D’udirlo, inchina il portentoso aspetto,
Al fin con mugghio orribile odioso
Sospinse il suon dall’infiammato petto:
Giust’è, che altier sen vada, e gloriose
Ciascun di quei che insino ad ora han detto:
Certo di gloria, e d’ogni onor son degni,
120Tant’alme han tratte a tanti falli indegni.
Or me, ciò che dirò non sol rischiari
E Te, che hai di noi tutti alto governo,
Ma sia gran specchio, ove mirando impari
Immense colpe suscitar l’inferno:
O degno, a cui nel mondo ergansi altari,
Grande di Dite regnatore eterno,
Già d’antichi parenti attorno all’acque
128Del Galileo Giordano un fanciul nacque.
Nè solo fu per la canuta etade,
Mal usa in terra a generar famiglia,
Ma pur per altro alle Giudee contrade
Il natal di costui gran meraviglia;
Crebbe con gli anni, e sempre alla bontade,
E fisse alla virtude ebbe le ciglia,
E sempre volse ad ogni calle il tergo,
136Che lunge andasse dal celeste albergo.
Schifo del vulgo e della nobil gente,
Elesse tra foreste ermo soggiorno,
Ove il solean nudrir l’onda corrente,
E le dure erbe, ch’egli avea d’intorno;
E sempre o pur gelato, o pure ardente
Per la varia stagion volgesse il giorno,
Egli amò ricoprirsi i membri ignudi
144Con peli di cammello ispidi e crudi.
Così romito in volontarj affanni,
Tra caldissimi prieghi a Dio cosparsi,
Scherniva il mondo, e da’ suoi tanti inganni
Puro e candido al Ciel seppe serbarsi;
Ma pervenuto in sul bel fior degli anni,
A’ cupid’occhi altrui volle mostrarsi
Lungo il Giordano, e col fervor de’detti
152Empiea di zelo e di giustizia i petti.
Corse la fama sì, che a schiere a schiere
Se ne giva appo lui gente infinita,
Turbe vaghe dell’ôr, turbe guerriere,
E tutte a non perir chiedeano aita:
Egli or con piane voci, or con severe
Correggea di ciascun l’ingiusta vita,
E gli inviava agli stellanti chiostri;
160Gran struggitor di questi imperj nostri.
Qui sul pensier di così grave offesa,
Che far doveasi? a che voltarsi il core?
Vergogna universal non far contesa;
Ma per contesa fargli onde il valore?
Pur dove travagliosa è più l’impresa,
Ivi impiegarsi è più vivace onore:
Quinci ingiurie si gravi io mal sostenni,
168E per tal modo a vendicar men venni.
Di mille colpe e mille vizj vinto,
Galilea fieramente occupa Erode,
Ed ogni amor verso il fratello estinto,
Di lui pur vivo ei la consorte gode:
Ha costei di beltà pregio non finto,
E vien di leggiadria non falsa lode;
Pur a lei di più grazia êmpio il sembiante,
176Perch’ella di più foco êmpia l’amante.
Quinci mai sempre dal suo volto ei pende,
E con tal forza quei begli occhi ammira,
Che ciò ch’ella una volta a bramar prende,
Più che sua propria vita, egli desira.
Fama per la Giudea le piume stende,
E sonando per Siria si raggira,
E tra cotanti popoli veloce,
184Messaggiera del vero alza la voce.
Tutto ingrombrossi di disdegno il petto
Giovanni, il gran nemico, onde ragiono;
Che per altro il Battista anco vien detto,
E di tal fama egli infiammossi al suono:
Viensene del tiranno anzi al cospetto,
E non consente all’amator perdono;
Ma l’acerbe sue fiamme aspro corregge,
192E contra il suo fallir spiega la legge.
In su quel punto ire diffonde estreme
Entro il cor della donna aspra e sdegnosa,
E nel fervido rege agito insieme,
Confusa di furor, fiamma amorosa.
Per voi qui di gioir non ha più speme;
Vil uom vostri diletti offender osa?
La Maestà real certo è schernita,
200Se come scellerata altri l’addita.
In sì fatti pensier tanto infiammaro
Per sè medesme le vaghezze crude,
Che dentro Macheronte al fin fermaro
Incatenata la sì gran Virtude;
Ed or, che tolto al ciel lucido e chiaro,
Come morto tra vivi ei si rinchiude:
Provi, se sa con quel suo spirito ardente,
208Da’ regni nostri allontanar la gente.
Non purgherà gli iniqui altrui costumi,
I gran pregi del ciel non farà conti,
Non scorgerà gli erranti, e dentro i fiumi
Battezzator non laverà le fronti.
Così tra fiamme, e tra tartarei fumi
A’ negri spirti egli dicea; che pronti
Alzaro stridi di furore interno,
216Onde altamente rimugghiò l’Inferno.
Non suona si sull’arenose sponde,
Quando per l’alto ciel vien che si sdegni,
E porti guerra d’Anfitrite all’onde,
Borea, signor degl’Iperborei regni;
Come per l’ampio Inferno si diffonde
Il confuso stridor de’ mostri indegni;
Finchè col guardo, e colla destra espresse
224Il crudo re, ch’ei favellar volesse.
Ratto ogni mostro allor per le mal nate
Tombe d’Averno, regïon tremende,
Premendo i gridi, e l’empie rabbie usate,
Intento agli atti del gran mostro attende,
E frenando per via l’onde infocate,
Cheto Acheronte, e Flegetonte scende,
E stan di Stige le scure acque immote,
232Nè per l’Erebo immenso ombra si scuote.
Qual sull’aspra stagion che al Sole avversa,
Mette a freno col gel l’onde correnti,
Corron per l’aria d’atro orror cospersa,
Orribili ad udir, fulmini ardenti;
Tal per quei mondi sconsolati ei versa
Alto rimbombo di temuti accenti,
Sì prorompe tonando ogni suo detto
240Dagli antri informi dell’orribil petto:
Non fia giammai, ch’eterna gloria io neghi
Al chiaro oprar di vostra gran virtute,
Poichè è ver che sì pronta ella s’impieghi
Del mondo contro l’immortal salute:
Or le penne ciascun per l’aria spieghi,
Nè s’incontri sudor che si rifiute,
Perchè gli uomini avvampi empio desio,
248E spargan ciechi il Creator d’obblio.
Dell’altezza del ciel son fatti degni,
Nostro antico soggiorno; ah rimembranza!
Onde ciascun s’innaspri, onde si sdegni,
Onde infiammi ciascun sua gran possanza:
Popolo onnipotente, a’ vostri regni
Per questa sola via pregio s’avanza,
Rapir, predar l’anime umane, e trarle
256Nel centro in fiamma atroce, e tormentarle.
Che se per gran destin foste costretti
Gli eterei campi abbandonare allora,
Ora è gloria di voi fargli negletti,
Fargli deserti, impoverirgli ogn’ora:
All’altezza del ciel gli uomini eletti?
Nell’altezza del ciel faran dimora?
Un sì fatto pensier non vi tormenta?
264Ah, per vostra virtù, non si consenta.
Sudate all’opra: ogni mortale appieno
Essere iniquo per vostr’arte impari;
Di tetra invidia loro empiete il seno,
Fategli inghiottitor, fategli avari:
Lascino sciolto all’avarizia il freno,
Incontra l’ira lor non sian ripari;
E dentro incendio di dannato amore,
272E d’infame lussuria arda ogni core.
E tu fedel, per le cui man si spinse
Quel gran Battista alla prigione oscura,
Fa si ch’ei pera, e chi colà lo strinse,
L’estingua ancor, tosto che puoi, procura:
Sai, ch’Esaia, che Geremia s’estinse,
Nè provò Zaccaria men rea ventura;
Gli esempj il tuo furor rendan più forte:
280Il vero strazio de’ nemici è morte.
Tal comandava, e d’ogn’intorno ha stese
Per mille bocche abbominati orrori;
Lezzo mortal, nubi di pece accese,
Zolfi infocati, e tenebrati ardori;
Poi trascorrendo a raddoppiare ei prese
Sull’alme, ivi sommerse, aspri dolori,
Sforzando i mostri a rinforzar su gli empi
288L’alte miserie, e gli ineffabil scempi.
Ma degl’iniqui il numeroso stuolo,
Scelto per guerreggiar gli egri mortali,
Sorge nel mondo, e l’uno e l’altro polo
Cercando vanno, eccitator de’ mali:
Quali veggiam, s’Austro dispiega il volo,
Trascorrer nubi tenebrose, tali
Tetre le squadre scellerate e rie
296Van trasvolando per l’eteree vie.