Il Canzoniere (Bandello)/Le Rime Estravaganti/XXVII - Tu che qui passi e 'l bel sepolcro miri

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Le Rime Estravaganti
XXVII - Tu che qui passi e 'l bel sepolcro miri

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XXVII.

È il sonetto-epitaffio inserito nella novella dove il Bandello narra come «il Signor Giovanni Ventimiglia ama Lionora Macedonia e non è amato. Egli si mette ad amar un’altra. Essa Lionora poi ama lui e non essendo da lui amata, si muore» (I-22).


Tu che qui passi e ’l bel sepolcro miri,1
     Ferma li piedi e leggi il mio tenore,
     Chè di bellezza è qui sepolto il fiore,2
     4Cagion a molti d’aspri e fier martiri.3
Infiniti per lei gettò i sospiri
     Gran tempo un cavaliero, ed ella fòre4
     Di speme sempre il tenne e sol dolore
     8Gli diè per premio a’ tanti suoi desiri.
Egli, sprezzato, altrove il suo pensiero5
     Rivolse, e quella a lui piegossi alora6
     11Ch’era a lui stata sì ritrosa e dura.7
Ma piegar non potendo il cavaliero8
     Morir elesse e uscì di vita fuora,9
     14Sì fiera fu la doglia oltra misura.10

Note

  1. V. 1. Tu che passi, cfr. son. XVI, v. 1, di queste Rime estrav.
  2. V. 3. Il fiore, nella novella è detto: «Questa sua beltà che tu tanto apprezzi è come un fiore» (p. 83) e non solo come paragone, ma come descrizione diretta: «La Signora Lionora nel vero era una de le belle e vaghe gentildonne di Napoli» (p. 75). Aveva ella infatti «aurea testa, serena fronte di pura neve, nere ed arcate ciglia cui sotto due folgoranti e mattutini soli fanno invidia a Febo... condecevol e profilato naso, guancie che due
  3. V. 4. Cagion a molti. Ed ella era «tanto superba e sì schifevole che ella non averia degnato di far buon viso al re, e da tutti era chiamata per sovranome “la sdegnosa„» (p. 75).
  4. V. 6. Un cavaliero. Giovanni Ventimiglia «cavaliero pronto di mano e prudente conseglio» (p. 74). Egli «nei lacci d’amore per lei irretito, deliberò usar tutti quei mezzi che per amante alcuno fossero possibili ad usare, a ciò che l’amor de la donna ne acquistasse» (p. 75). Lunga enumerazione di tali mezzi. Senonchè «non seppe mai tanto fare, nè tanto affaticarsi che ella mai gli mostrasse buon viso, del che egli ne viveva molto di mala voglia..... Già più di dui anni in queste pene era l’infelice amante dimorato... [indi]... perseverò circa dui anni come prima faceva, servendola ed onorandola, nè mai ebbe da lei una sola rivolta d’occhi» (pp. 76-79).
  5. V. 9. Egli sprezzato, «Il Ventimiglia così da la donna sprezzato...» (p. 79).
  6. Vv. 9-10. Altrove il suo pensiero rivolse, «E perchè come dice il divin poeta messer Francesco Petrarca che a questa malizia d’amore altro rimedio non è che da l’uno sciogliersi e a l’altro nodo legarsi, come d’asse si trae chiodo con chiodo, ancor che de l’amor de la signora Lionora fosse libero, nondimeno se qualche scintilla di fuoco era sotto le vecchie ceneri sepellita, egli del tutto l’estinse, perciò che a nuove fiamme il petto aperse, cominciando a riscaldarsi de l’amor d’una giovane molto bella, la quale, conosciuto il vero amor del cavaliero, non si dimostrò punto schiva, di modo che egli acquistò la grazia di lei ed ella di lui» (pp. 85-86).
  7. Vv. 10-11. Quella, ritrosa e dura a lui piegossi alora. Lionora, che era per l’appunto «dura, ritrosa e superba» (p.77). In seguito «ella, sempre stata rubella d’amore, sentì in un punto così accendersi ed infiammarsi de l’amor del cavaliero ecc.» (p. 91) che fece di tutto per richiamarla a sè.
  8. V. 12. Piegar non potendo il cavaliero, e «veggendo che egli non era disposto a far cosa che ella volesse, venne in tanta malinconia che di sdegno e di cordoglio infermò» (p. 96).
  9. V. 13. Morir elesse e uscì di vita fuora, infatti «deliberò di non restar più in vita, parendole assai più leggero passar il terribil passo de la morte che sopportar la pena che l’affliggeva. Onde, perdutone il sonno e il cibo andava d’ora in ora
  10. V. 14. La novella si chiude col presente sonetto, preceduto da queste parole: «Fu la donna seppellita ne la chiesa di San Domenico, a la cui sepoltura fu attaccato questo sonetto, fatto da non so chi». Ma noi sappiamo ormai (cfr. pagine introduttive di questo volume, p. 28, nota), che l’autore altri non è che il Bandello medesimo.