Il Circolo Pickwick/Capitolo 29

Da Wikisource.
Storia dei folletti che si pigliarono un sagrestano

../Capitolo 28 ../Capitolo 30 IncludiIntestazione 14 agosto 2010 75%

Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Storia dei folletti che si pigliarono un sagrestano
Capitolo 28 Capitolo 30

"In una vecchia città abbaziale, da questa parte del paese, viveva tanti e tanti anni fa — tanti mai anni che la storia ha da esser vera, perchè i nonni dei nostri nonni implicitamente ci credevano — viveva ed officiava come sagrestano e come becchino un tal Gabriele Grub. Naturalmente non perchè un uomo si trova di essere sagrestano, epperò circondato sempre dagli emblemi della mortalità, si deve argomentare ch’ei debba essere un uomo uggioso e malinconico. Gli intraprenditori di pompe funebri sono la gente più allegra di questo mondo, ed una volta io stesso ho avuto l’onore di essere intrinseco di uno di cotesti conduttori di esequie, il quale nella vita privata e quando non si trovava in funzioni era il più comico ed allegro omettino che abbia mai solfeggiato una canzone alla scapigliata, senza scattarne una iota, o ingollato un bravo bicchiere di ponce senza fermarsi a ripigliar fiato. Ma a dispetto di tutti questi bei precedenti, Gabriele Grub era un certo figuro chiuso, bisbetico, angoloso, un uomo cupo e solitario, che non se la faceva con altri fuorchè con sè stesso e con una vecchia fiaschetta impagliata che gli entrava giusto nell’ampia tasca del panciotto; un uomo che dava ad ogni allegra faccia che gli passava vicino certe occhiate così storte e maligne, che incontrandolo per via era difficile non sentirsene disturbati.

"Appunto un Natale, sul far della sera, Gabriele si pose la vanga in spalla, accese la lanterna, e si avviò un piede dopo l’altro verso il sacrato, perchè dovea finir di scavare una fossa pel giorno appresso; e sentendosi molto giù, pensò di scuotersi un poco e di rimettersi in tono, attaccando subito il suo lavoro. Andando passo passo su per la vecchia strada, ei vedeva la luce allegra delle fiammate brillare attraverso le case decrepite, e udiva le risa sonore e le grida gioconde di coloro che vi stavano raccolti intorno; notò i preparativi affaccendati per la festa del giorno appresso, e fiutò i mille odori succolenti che impregnavano l’aria, levandosi in nuvole di vapori dalle finestre delle cucine. Tutto ciò, al cuore di Gabriele Grub era fiele ed arsenico e nel vedere delle frotte di fanciulletti balzar fuori dalle case, e andare incontro folleggiando a un’altra mezza dozzina di ricciuti bricconcelli, e scappar tutti di conserva per passar la serata nei loro giuochi di Natale, Gabriele sorrideva biecamente, e stringeva più forte nel pugno il manico della vanga, pensando alla febbre scarlattina, alla tosse canina, alla difterite, al vaiuolo, e a tante altre sorgenti di consolazione dello stesso genere.

"In questa felice disposizione di animo, Gabriele seguitava a camminare, rispondendo con una specie di grugnito sordo alla buona sera che gli dava questo e quell’amico, fino a che svoltò nel sentiero buio che menava al sacrato. Ora Gabriele non avea visto l’ora di arrivare a quel sentiero buio perchè, generalmente parlando, era quello un bel posticino tetro e lugubre, dove la gente di città non bazzicava molto volentieri, meno che di pieno giorno quando il sole era alto; per conseguenza non fu piccolo il suo sdegno quando udì uno di cotesti monelli che se n’andava strillando una sua canzonetta di Natale, proprio in questa parte del sacrato, chiamata il Sentiero delle Bare fin dai tempi della vecchia abbazia e dei frati tonsurati. Andando avanti e udendo sempre più avvicinarsi la voce, ei s’accorse che la veniva da un ragazzetto, il quale si affrettava per raggiungere una delle allegre brigatelle sulla strada, e che, un po’ per tenersi compagnia, un po’ per prepararsi all’occasione, intuonava la sua canzonetta con tutta la forza dei piccoli polmoni. Sicchè Gabriele aspettò che il ragazzetto gli passasse vicino, e quando l’ebbe sotto la mano lo spinse in un angolo e gli diè sulla testa quattro o cinque botte con la sua lanterna, tanto per insegnargli a modular meglio la voce. E mentre il monello si allontanava più che di passo con una mano sul capo, cantando una canzone ben differente dalla prima, Gabriele Grub gorgogliò di contentezza, ed entrato nel sacrato, chiuse la porta e menò i chiavistelli.

"Si cavò il soprabito, posò a terra la lanterna, e calandosi nella fossa scavata a mezzo, vi lavorò di voglia un’ora buona. Ma la terra era indurita dalla gelata, e non era mica facile romperla e gettarne fuori le palate; e benchè vi fosse la luna, non era che un meschino primo quarto e non mandava nessuna luce sulla fossa, che si trovava anche all’ombra della chiesa. In qualunque altra occasione, questi ostacoli gli avrebbero messo una gran bizza addosso a Gabriele Grub; ma ei si sentiva ora così contento di aver tappata la bocca a quel monello strillone, che non badò gran fatto al poco progresso che avea fatto, e guardò di sotto nella fossa, quando ebbe finito il suo lavoro per quella notte, con una tetra soddisfazione, borbottando mentre raccoglieva i suoi strumenti:

È un alloggio signorile

quando in corpo non c’è fiato.

Pochi palmi di sacrato

Riquadrati dal badile.

Non c’è cristi, per chi muore

È un alloggio da signore.

Una pietra per cuscino,

Una pietra a piè del letto

Oh pei vermi che banchetto,

Oh che splendido festino!

Sì, la fossa per chi muore

È un alloggio da signore.

Creta molle intorno intorno,

Erba verde sulla testa,

Chi ci va, sempre ci resta

Giorno e notte, notte e giorno.

Sempre è aperto a tutte l’ore

Questo alloggio da signore.

"— Oh! oh! — fece Gabriele Grub, ridendo e mettendosi a sedere sopra una lapide mortuaria che era un suo posto favorito di riposo. E tirò fuori la sua fiaschetta impagliata. — Una bara a Natale, una cassa di Natale. Oh, oh, oh!

"— Oh! oh, oh! — ripetette una voce che gli suonò proprio vicina.

"Gabriele si fermò di botto, nel punto stesso che stava per abboccare la fiaschetta, e si guardò attorno con una certa apprensione. Tutto era silenzio, un vero silenzio di tomba; il sacrato, al pallido lume della luna, era tranquillo ed immobile. La bianca gelata brillava sulle pietre sepolcrali, e appiccava tante gemme agli intagli e ai bassorilievi della vecchia chiesa. La neve si stendeva dura e vitrea sul terreno, e copriva i frequenti monticelli di terra di uno strato così bianco e liscio, da far quasi credere che vi stessero di sotto i cadaveri avvolti nei loro lunghi lenzuoli. Non il menomo mormorio rompeva la tranquillità profonda della scena solenne. Il suono stesso pareva esser gelato, così tutto era freddo e queto.

"— Sarà stata l’eco, — disse Gabriele Grub, alzando di nuovo la fiaschetta alle labbra.

"— Non è stata l’eco, — rispose una voce profonda.

"Gabriele balzò in piedi e stette immobile, come se avesse messo radici, colpito di maraviglia e terrore. Gli sorgeva davanti una forma strana che di botto gli gelò il sangue nelle vene.

"Sopra un tumulo poco discosto sedeva una figura fantastica, che subito Gabriele sentì non poter essere una creatura di questo mondo. Le gambe lunghissime che avrebbero potuto toccar terra, ei le teneva incrocicchiate e quasi aggrovigliate bizzarramente; aveva nude le braccia ossute e puntava le due mani sulle ginocchia. Sulla persona piccola e rotonda portava un corpetto stretto ornato qua e là di sgonfietti; una mantelletta gli pendeva alle spalle, il cui bavero era tagliuzzato in maniera da tener luogo di gala o di cravatta; le scarpe si torcevano in due punte lunghe ed aguzze. Portava in capo una specie di pan di zucchero a larghe tese, ornato di una penna diritta e sottile. Il cappello era coperto di gelo, e il folletto pareva star seduto su quella precisa pietra sepolcrale da due o trecento anni. Se ne stava a sedere tranquillissimo; e tirando fuori tanto di lingua in atto derisorio, fissava con un tal ghigno l’atterrito Gabriele come soltanto un folletto era capace di fare.

"— Non è stata l’eco, — disse il folletto.

"Gabriele Grub era paralizzato e non poteva neppure tirare il fiato.

"— Che fate voi qui la sera di Natale? — disse in tono severo il folletto.

"— Ci son venuto, signore, per scavare una fossa, — balbettò Gabriele Grub.

"— Chi è che si aggira fra le tombe in una sera come questa? — domandò il folletto.

"— Gabriele Grub! Gabriele Grub! — gridò un coro selvaggio di voci che suonarono alto per tutto il sacrato.

"Gabriele si guardò intorno tremando a verga a verga. Nulla si vedeva.

"— Che portate costì in cotesta fiaschetta? — gli domandò il folletto.

"— Un gocciolo di ginepro, signore, — rispose il sagrestano, più che mai balbettando e tremando; perchè ei l’aveva comprato dai contrabbandieri, e sospettò un momento che il suo interrogatore fosse impiegato nel dipartimento doganale dei folletti.

"— Chi è che beve del ginepro da solo e in un cimitero in una sera come questa? — gridò il folletto.

"— Gabriele Grub! Gabriele Grub! — intuonarono di nuovo le voci selvaggie.

"Il folletto ghignò maliziosamente all’annichilito sagrestano, e poscia alzando la voce, esclamò:

"— E chi dunque è nostra buona e legittima preda?

"A questa domanda il coro invisibile rispose in un tono simile a quello di molti coristi che cantassero sull’organo della vecchia chiesa; un tono che parve venir portato fino all’orecchio del sagrestano sull’ali di un venticello e passar con questo e perdersi lontano lontano. Ma sempre il medesimo era il ritornello della risposta: "Gabriele Grub! Gabriele Grub!"

"Il folletto allargò la bocca in un sorriso più beffardo che mai e disse:

"— Ebbene, Gabriele, che ne dite?

"Il sagrestano non aveva più fiato in corpo.

"— Che ne dite di questo, Gabriele! — ripetette il folletto, facendo schizzare in aria i due piedi di qua e di là dalla pietra sepolcrale, e guardando alle punte ricurve con tal compiacenza come se avesse contemplato il più bel paio di Wellingtons in Bond-street.

"— E... sì, dico... è una cosa molto... curiosa, signore, — rispose il sagrestano mezzo morto dalla paura; — molto curiosa, e graziosa anche; ma io me ne vado, signore... me ne vado a finire il mio lavoro, se non vi dispiace.

"— Lavoro! — esclamò il folletto; — che lavoro?

"— La fossa, signore, la fossa da scavare, — balbettò il sagrestano.

"— Ah, ah, la fossa, eh? — esclamò il folletto. — Chi è che scava fosse quando tutti gli altri stanno allegri e ci trova il suo piacere?

"E da capo le voci misteriose risposero: "Gabriele Grub! Gabriele Grub!"

"— Temo, Gabriele, che i miei amici vi vogliano, — disse il folletto, spingendo la lingua da una parte della guancia — una lingua spropositata, — temo, Gabriele, che i miei amici vi vogliano, — disse il folletto.

"— Con vostra licenza, signore, — rispose l’inorridito sagrestano, — io non credo, non lo credo; non mi conoscono, signore; non mi pare che mi abbiano mai veduto questi signori, non mi pare.

"— Oh, sì che vi hanno veduto! — rispose il folletto. — Noi conosciamo l’uomo dalla cera bieca e dalla guardatura maligna, che se ne veniva stasera su per la via, gettando le sue occhiatacce ai bambini e stringendo più forte la sua vanga da becchino. Noi conosciamo l’uomo che nella malizia invida del suo cuore, ha percosso il fanciullo, sol perchè il fanciullo era allegro, ed egli no. Noi lo conosciamo, noi lo conosciamo!

"Qui il folletto scoppiò in una stridula risata, che gli echi ripercossero a cento doppi, e alzando le gambe in aria, stette ritto sul capo, o piuttosto sulla punta del suo pan di zucchero, sul margine della pietra sepolcrale, donde poi spiccò con mirabile agilità un fiero capitombolo, venendo a cadere proprio ai piedi del sagrestano, e situandosi nel preciso atteggiamento dei sarti quando siedono sul pancone da lavoro.

"— Ho paura... ho paura di dovervi lasciare, signore, — disse il sagrestano, facendo lo sforzo per muoversi.

"— Lasciarci! — esclamò il folletto; — Gabriele Grub lasciarci! Oh, oh, oh!

"Mentre il folletto rideva, il sagrestano vide un momento una brillante illuminazione nella chiesa, come se tutto il fabbricato s’incendiasse. Poi di botto si spense; l’organo suonò un’arietta briosa, e larghe frotte di folletti, in tutto e per tutto simili al primo, si versarono pel sacrato, e incominciarono a saltare e a scavalcarsi fra le pietre sepolcrali, senza fermarsi mai per ripigliar fiato e saltando di sopra ai più alti, uno dopo l’altro, con la più maravigliosa destrezza. Il primo folletto era uno stupendo saltatore, e nessuno gli poteva andare a paro. Benchè istupidito dal terrore, il sagrestano non potette fare a meno di osservare, che mentre i suoi amici si contentavano di saltare sulle lapidi comuni, il primo sceglieva le cappelle gentilizie e le scavalcava di un balzo, inferriata e tutto, con tanta franchezza e disinvoltura come se si fosse trattato di una semplice siepe.

"Questo giuoco andò via via diventando frenetico; l’organo suonava e suonava sempre più forte e sollecito, e i folletti saltavano più rapidi e focosi, facendo capriole e salti mortali, e rimbalzando sulle pietre sepolcrali come palle elastiche. Il cervello del sagrestano girava e girava vorticosamente con la rapidità del moto che aveva sott’occhio, e le gambe gli tremavano sotto, e gli spiriti gli passavano a torme davanti, quando ad un tratto il re dei folletti lanciandosi alla volta di lui, lo pigliò pel collo, e si sprofondò con lui nelle viscere della terra.

"Quando Gabriele Grub ebbe tempo e modo di ripigliare il fiato, che la rapidità della discesa gli aveva mozzato, si trovò in una specie di ampia caverna, circondato da tutte le parti da turbe di folletti, brutti e arcigni; nel centro della sala, sopra un seggio elevato, signoreggiava il suo amico del sacrato; e proprio al suo fianco stava lo stesso Gabriele Grub, più morto che vivo.

"— Fa freddo stasera, — disse il re dei folletti, — molto freddo. Orsù, qualcosa di caldo da bere.

"A quest’ordine, una mezza serqua di ossequiosi folletti con un sorriso perpetuo stampato sulle facce sinistre, e che però Gabriele si figurò dovessero essere cortigiani, disparvero rapidamente e di lì a poco tornarono con un bicchiere di fuoco liquido, che presentarono al re.

"— Ah! — sospirò tutto soddisfatto il folletto, di cui le guance e la gola erano trasparenti come cristallo mentre egli ingollava la fiamma, — questo sì che scalda il sangue; subito qui un altro bicchiere pel signor Grub.

"Invano il disgraziato sagrestano protestò di non essere abituato la sera a bere cose calde; perchè uno dei folletti lo tenne, mentre l’altro gli versava in gola il liquido fiammeggiante, e tutta l’assemblea si teneva i fianchi dal gran ridere vedendolo a tossire e affogare e ad asciugarsi il torrente di lagrime che gli sgorgava dagli occhi, dopo aver mandato giù la terribile bevanda.

"— Ed ora, — disse il re, dando bizzarramente della punta aguzza del suo cappellone nell’occhio del sagrestano, e producendogli così uno squisitissimo dolore, — ed ora, mostrate all’uomo tristo ed abbietto qualche quadro della nostra ricca collezione.

"Mentre il folletto pronunciava queste parole, una nuvola nera che s’addensava nel fondo della caverna a poco a poco si diradò, e lasciò vedere a grande distanza un quartierino, più miserabile che modesto, ma aggiustato e pulito. Una frotta di bambini se ne stavano raccolti davanti a un bel fuoco, un po’ afferrandosi alle sottane della mamma, un po’ sgambettandole intorno. Di tratto in tratto la mamma si levava da sedere, e tirava un po’ da parte la tendina della finestra come se aspettasse qualcuno di fuori. Un pasto frugale era già bell’e disposto sulla tavola, ed una sedia a bracciuoli era situata vicino al fuoco. Si udiva bussare alla porta; la mamma andava ad aprire, e i bambini le si stringevano intorno, e battevano palma a palma, e il babbo entrava in casa. Era stanco e fradicio e si scoteva la neve dai vestiti, mentre i bambini tutti affaccendati gli pigliavano pastrano, cappello, bastone e guanti, e scappavano col carico addosso fuori della camera. Così, mettendosi a tavola davanti al fuoco, i bambini gli saltavano sulle ginocchia, la mamma gli sedeva accanto, e tutto pareva tranquillità e gioia.

"Ma un mutamento sopravvenne, quasi impercettibilmente. La scena andò prendendo l’aspetto di una cameretta da letto, dove il più piccolo e il più caro di quei bambini era coricato e se ne moriva; le rose gli erano cadute dalle guance e la luce gli s’era spenta negli occhi; e nel punto stesso che il sagrestano lo guardava con un interesse che non avea mai provato, il poverino rendeva l’ultimo sospiro. I fratellini e le sorelline si stringevano intorno al letticciuolo, e gli prendevano la manina fredda e greve; ma subito lo lasciavano andare ritraendosi spauriti, e lo guardavano fiso: perchè, a dispetto di quella sua calma, di quella pace che lo faceva parere addormentato, vedevano bene ch’egli era morto, e indovinavano e sentivano che un angioletto li guardava dall’alto, e li benediceva, dall’alto di un cielo splendido e felice.

"E di nuovo una nuvola leggera passò di sopra al quadro, e di nuovo il soggetto cambiò. Il babbo e la mamma erano oramai vecchi e deboli, e il numero di quelli che stavano loro intorno era scemato più che a mezzo; ma il buon umore era dipinto su tutti i visi e raggiava da tutti gli occhi, mentre si raccoglievano tutti davanti al focolare e narravano o ascoltavano le belle storie dei tempi andati. Piano e tranquillo il padre discendeva nella tomba, e subito dopo, la compagna che avea partecipato a tutti i travagli di lui e alle cure quotidiane, lo seguiva in un luogo di riposo e di pace. I pochi sopravvissuti s’inginocchiavano presso la tomba recente e bagnavano di lagrime la zolla verde che la copriva; poi si partivano di là, tristi e raccolti ma non già con grida amare e lamentazioni disperate, perchè sapevano che un giorno o l’altro si sarebbero incontrati altrove; e di nuovo si cacciavano fra la gente affaccendata, e il loro contento e l’allegria facevano ritorno.

"La nuvola si chiuse sul quadro, sottraendo questo alla vista del sagrestano.

"Che ve ne pare eh? — domandò il folletto, volgendo la larga faccia verso Gabriele Grub.

"Gabriele mormorò qualche mezza parola lasciando capire che la cosa gli pareva graziosa, e si mostrò un po’ vergognoso, mentre il folletto gli ficcava addosso gli occhi crucciati.

"— Ah, uomo sciagurato! — esclamò il folletto in tono d’infinito disprezzo. — Voi!... — E pareva disposto a dir di più se non che lo soffocò lo sdegno, e così, alzando una delle sue gambe flessibilissime e fattasela un po’ girare al di sopra del capo come per assicurar la mira, somministrò a Gabriele Grub un gran bel calcio; al che, tutti i folletti della corte si strinsero subito intorno al malcapitato sagrestano, e lo presero a calci senza misericordia, secondo l’antico ed immutabile costume dei cortigiani della terra, i quali distribuiscono calci o carezze a coloro che l’augusto padrone carezza o prende a calci.

"— Mostrategli qualche altra cosa, — ordinò il re dei folletti

"A queste parole la nuvola si aprì di nuovo, ed ecco apparve uno splendido paesaggio, tutt’affatto simile ad un altro che si può vedere anche oggi a mezzo miglio dalla vecchia città abbaziale. Il sole raggiava nel limpido azzurro del cielo, l’acqua del ruscello scintillava, gli alberi parevano più verdi, i fiori più gai sotto quei raggi vivificanti. L’acqua s’increspava e mormorava, gli alberi stormivano sfiorati appena dal venticello, gli uccelli gorgheggiavano fra i rami e l’allodola si librava in alto gettando il suo saluto al mattino. Perchè in effetto era un mattino splendido, un balsamico mattino d’estate; la foglia più minuta, il più sottile filo di erba, fremevano nella pienezza della vita. La formica industre sbucava fuori pel suo lavoro quotidiano, la farfalla aleggiava e si scaldava ai raggi del sole; miriadi d’insetti aprivano le ali diafane e s’inebriavano della loro breve ma felice esistenza. L’uomo usciva all’aperto, sollevato dalla bella scena; e tutto era armonia e splendore.

" — Uomo sciagurato! — esclamò il re dei folletti, in un tono più sprezzante della prima volta. E di nuovo diè una giratina aerea alla gamba, e di nuovo pigliò di mira le spalle del sagrestano, e di nuovo i folletti cortigiani seguirono l’esempio del loro signore.

"Più e più volte la nuvola si addensò e si disperse, e molte cose ebbe a vedere e ad imparare Gabriele Grub, il quale, benchè dai calci frequenti gli cocessero le spalle, guardava e guardava con un interesse che niente valeva a diminuire. Ei vide gli uomini che lavoravano sodo e si guadagnavano con la fatica diuturna un tozzo di pane, allegri e felici; e vide che al più povero di spirito il dolce aspetto della natura era sorgente inesausta di allegrezza e di pace. Vide coloro, che erano stati educati con ogni sorta di delicatezze, sopportare con lieto animo privazioni e dolori che avrebbero schiacciato tanti e tanti altri più forti di loro, perchè avevano in sè gli elementi della felicità, del contento e della pace. Vide che la donna, la più tenera e fragile creatura di Dio, era assai più spesso superiore all’avversità, ai travagli, alla sciagura, perchè custodiva nel proprio cuore una sorgente perenne di devozione e di affetto. E vide soprattutto che gli uomini come lui, i quali s’impermalivano del buon umore altrui, erano l’erba più velenosa sulla bella faccia della terra; e ponendo a raffronto tutto il bene con tutto il male del mondo, ei venne nella conchiusione che al trar dei conti gli era questo un mondaccio assai decente e rispettabile. E non sì tosto ebbe formulato questo pensiero, la stessa nuvola che s’era chiusa sull’ultimo quadro parve distendersi sui sensi di lui e persuadergli dolcemente il riposo. Ad uno ad uno svanirono i folletti, e nel punto stesso che l’ultimo s’involava, ei s’addormentò.

"Era giorno chiaro quando Gabriele Grub si svegliò, e si trovò lungo disteso sulla pietra sepolcrale nel cimitero, con la fiaschetta vuota a fianco, e il mantello, il badile, la lanterna, biancheggianti per la neve caduta, sparsi per terra. La lapide dove il primo folletto gli era apparso, gli stava ritta davanti, e la fossa nella quale avea lavorato la sera innanzi non era molto discosta. Alla bella prima ei dubitò della realtà delle sue avventure; ma il dolore che si sentì alle spalle, quando fece per alzarsi, lo fece certo che i calci dei folletti non erano mica stati dei calci ideali. Vero è che sulla neve, ad onta dei capitomboli dei folletti, non si vedeva traccia di alcuna sorta; ma ei si ricordò giustamente che i folletti, essendo spiriti, traccia non ne potevan lasciare. Si rizzò dunque il meglio che seppe, diè una brava scossa al mantello, se lo mise indosso, e volse la faccia verso la città.

"Ma egli era un altro uomo, e non potea sopportare il pensiero di tornare in un posto dove avrebbero deriso il suo pentimento e non aggiustato fede alla subita conversione. Stette un po’ in forse; e quindi prese un’altra via affidandosi alla ventura per cercare altrove il suo pane.

"La lanterna, il badile e la fiaschetta furono trovati quel giorno stesso nel cimitero. Si fecero sulle prime molte congetture sul fato del sagrestano, ma subito si accertò che i folletti se l’avevano portato via; e non mancarono dei testimoni degni di piena fede che lo avevano proprio veduto portato per aria in groppa di un cavallo baio cieco d’un occhio, con le zampe di leone e la coda di orso... Con l’andare del tempo, a tutto questo si prestò piena fede; e il nuovo sagrestano soleva mostrare ai curiosi, per pochi spiccioli di mancia, un bel pezzo della banderuola del campanile che casualmente avea rotto nella sua fuga aerea il sullodato cavallo, e ch’egli avea raccattato nel cimitero, uno o due anni dopo.

"Disgraziatamente queste storie vennero un po’ disturbate dall’improvvisa riapparizione dello stesso Gabriele Grub, una decina d’anni appresso, divenuto un vecchio misero, contento e pieno di reumatismi. Narrò la sua storia ad un ecclesiastico ed anche al mayor; e seguito vi venne a poco a poco a ritenerla come un fatto storico, nella qual forma è arrivato fino a noi. Quei primi che credevano al racconto del campanile, scossa una volta la loro fiducia, non si lasciarono persuadere facilmente a staccarsene di nuovo; sicchè pigliarono delle arie profonde; scrollarono le spalle, si toccarono la fronte, e borbottarono delle parole smozzicate lasciando intendere che Gabriele Grub s’avesse bevuto tutto il ginepro e poi si fosse addormentato sulla pietra sepolcrale; e affettavano poi di spiegare quel ch’egli supponeva aver visto nella caverna dei folletti, dicendo ch’egli avea girato il mondo ed era divenuto più saggio. Ma questa opinione, che non riuscì mai ad accaparrarsi una certa popolarità, a poco a poco fu abbandonata; e comunque la cosa stesse, siccome Gabriele Grub soffrì di reumatismi fino agli ultimi momenti della sua vita, si cava almeno da tutta la storia una morale, — ed è questa, che se un uomo si mette all’uggioso e beve da solo la sera di Natale, può star sicuro che non se ne troverà punto meglio, per quanto siano poderosi gli spiriti, o per quanto siano ristoranti, come quelli che bevve Gabriele Grub nella caverna dei folletti."