Il Circolo Pickwick/Capitolo 44

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Tratta di varii incidenti seguiti nella prigione e della misteriosa condotta del signor Winkle; e fa vedere come il povero prigioniero della Cancelleria fosse finalmente rilasciato libero

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Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Tratta di varii incidenti seguiti nella prigione e della misteriosa condotta del signor Winkle; e fa vedere come il povero prigioniero della Cancelleria fosse finalmente rilasciato libero
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Il signor Pickwick fu profondamente commosso dal devoto affetto di Sam, nè potette dare alcun segno di dispiacere o di sdegno per la improvvisa risoluzione di lui nel constituirsi per un tempo indefinito in una prigione di debitori. Si ostinò soltanto a domandare una spiegazione sul nome del creditore di Sam, ma con la medesima ostinazione Sam si rifiutò di rispondere.

— Non serve, signore, non serve, — disse Sam, più e più volte. — Gli è un certo individuo maligno, dispettoso, vendicativo, con un cuore di selce che non c’è verso di rammollirlo, come osservò quel virtuoso sacerdote a proposito del vecchio signore idropico, quando disse che lo credeva più capace di lasciare tutto il suo patrimonio alla moglie che impiegarlo a fondare una cappella.

— Ma considerate, Sam, — rimostrò il signor Pickwick, — che la somma è così tenue da potersi pagar subito; e poichè ho risoluto oramai di tenervi qui con me, pensate voi stesso quanto mi sareste più utile potendo entrare ed uscire a piacer vostro.

— Obbligatissimo a vossignoria, ma io direi di no, ecco.

— Che cosa, Sam?

— Direi, dico, che non mi umilierei mai e poi mai a chiedere un favore a cotesto nemico spietato.

— Ma non gli si chiede mica un favore rendendogli il suo danaro.

— Domando scusa, signore; ma sarebbe un gran favore il pagarlo ed ei non se lo merita; ecco quel che voglio dire.

Qui, vedendo che il signor Pickwick si grattava con aria scontenta la punta del naso, il signor Weller pensò bene di mutar discorso.

— Io ho fatto la mia decisione per amor del principio, — notò Sam, — tale e quale a voi, signore; e questo mi ricorda di quel tale che si ammazzò per amor dei principii, come naturalmente avrete inteso a dire.

Il signor Weller si fermò a questo punto e diè al padrone un’occhiata di scancio.

— Non capisco il naturalmente, Sam, — disse il signor Pickwick, incominciando a sorridere, benchè un po’ seccato dall’ostinazione di Sam. — La fama di codesto signore non è pervenuta mai al mio orecchio.

— No? — esclamò il signor Weller. — Pare impossibile! Era scrivano in un ufficio governativo.

— Ah?

— Sicuro. Una brava e pulita persona; una di quelle persone assegnate e precise, che quando il tempo è umido ficcano i piedi in certe loro scarpe di gomma elastica, e che non hanno altri amici sul cuore che le maglie di lana; metteva da parte il suo danaro per amor del principio, si mutava tutti i giorni la camicia per amor del principio, non parlava mai ad alcuno dei suoi parenti, sempre per principio, temendo sempre che avessero a chiedergli del danaro in prestito; ed era in somma e preso così tutto insieme un carattere simpaticissimo. Si facea tagliare i capelli ogni quindici giorni per principio, e in quanto ai vestiti avea fatto un contratto fondato sul principio economico — tre vestiti nuovi all’anno mandando indietro i vecchi. Essendo un signore molto regolato, andava tutti i giorni a desinare nello stesso posto, dove non si spendeva più di uno scellino e nove pence. E che scellino e che nove pence erano i suoi, come diceva spesso il trattore con le lagrime agli occhi, senza tener conto del suo modo di attizzare il fuoco in tempo d’inverno, ch’era una perdita sicura di quattro pence e mezzo al giorno. E con che tono da gran signore si comportava "Il Morning Post dopo quel signore"dice tutti i giorni nell’entrare. "Vedete di trovarmi il Times, Tommaso; fatemi vedere il Morning Herald, quando è libero; non dimenticate la Chronicle e portatemi intanto l’Advertiser, avete inteso?"E si metteva poi con gli occhi fissi sull’orologio, e scappava fuori proprio un quarto di minuto prima per afferrare a volo il ragazzo che veniva a portare il giornale della sera, e se lo metteva poi a leggere con tanto interesse e tanta perseveranza, da far disperare a dirittura tutti gli altri avventori, specialmente un certo vecchio irascibile che il cameriere era costretto a tener d’occhio, per paura che non avesse a commettere qualche sua furia col trinciante. Ebbene, signore, ei si fermava lì, occupando il posto migliore, per tre ore di fila, non pigliando altro dopo desinare che un po’ di sonno; e quindi se n’andava ad un caffè poco discosto a sorbire una tazzolina con quattro biscottini, per andarsene finalmente a casa dove si metteva subito a letto. Una notte gli vien male. Manda pel dottore. Arriva il dottore in una carrozzella verde, con una certa specie di predellina ch’ei poteva spiegare e ripiegare da sè, quando smontava o montava, per non obbligare il cocchiere a scendere e far vedere alla gente ch’ei portava adosso la sola livrea senza i calzoni corrispondenti. "Che c’è?"dice il dottore. "Mi sento male assai"risponde. "Che avete mangiato?"— "Vitello arrosto."— "E l’ultima cosa che avete divorato?"— "Biscottini"dice l’ammalato. "Questo è desso"dice il dottore. "Vi mando subito una scatoletta di pillole, e non ne mangiate più, badate."— "Di che?"dice l’ammalato "di pillole?"— "No, di biscottini"risponde il dottore. "Come!"esclama l’ammalato balzando dal letto; "ho mangiato quattro biscottini alla sera per quindici anni di fila per amor del principio."— "Ebbene, sarebbe bene che li lasciaste oramai per amor del principio"dice il dottore. "I biscottini sono igienici"dice l’ammalato. "Nossignore"dice il dottore tutto sdegnato. "Ma vanno così a buon mercato, vedete, e sono così buoni per quel prezzo."— "Per voi sarebbero sempre cari a qualunque prezzo, anche se vi pagassero per mangiarli"dice il dottore. "Quattro biscottini alla sera faranno il fatto vostro in sei mesi!"L’ammalato lo guardava fiso, pensa un bel pezzo, e dice alla fine: "Ne siete proprio sicuro?"— "Ci scommetto la mia riputazione."— "Quanti biscottini credete che mi ammazzerebbero in una volta sola?"domanda l’ammalato. "Non so"risponde il dottore. — "Credete che basti mezza corona?"— "Credo di sì,"— "Tre scellini basterebbero di certo, non è così?"— "Certissimo"dice il dottore. "Benissimo"dice l’ammalato "buona notte". Il giorno appresso si alza, accende il fuoco, si fa venire tre scellini di biscotti, li arrostisce, se li mangia tutti, e si fa saltar le cervella.

— E perchè fece questo? — domandò bruscamente il signor Pickwick, non poco colpito dalla tragica soluzione del fatto.

— Perchè fece questo! — ripetette Sam. — Ma appunto per sostenere il suo principio che i biscotti non facevano rnale e che nessuno al mondo gliel’avrebbe levato di testa!

Con questi delicati ed ingegnosi artifizi si andò studiando il nostro Sam di eludere le domande del padrone in quel suo primo entrare nella Fleet. E il signor Pickwick, trovando inefficace ogni affettuosa rimostranza, consentì alla fine mal suo grado ch’ei prendesse alloggio a settimana in compagnia di un ciabattino calvo che occupava una cameretta in una delle corsie superiori. A questo modestissimo appartamento trasportò il signor Weller un materasso, un cuscino e due lenzuola che il signor Roker gli diè a nolo; e quando a tarda sera vi si fu coricato, gli parve a dirittura di stare a casa sua e come se tutta la sua famiglia fosse nata e cresciuta nella prigione per tre generazioni di fila.

— Fumate sempre dopo essere andato a letto, vecchio tacchino? — domandò il signor Weller al suo ospite, quando furono soli.

— Fumo, sì, beccaccino mio, — rispose il ciabattino.

— Potrei sapere per finezza per che motivo vi fate il letto sotto cotesta tavola?

— Perchè sono stato sempre abituato ad un baldacchino prima di venir qua, e trovo che le gambe della tavola mi fanno precisarnente lo stesso effetto.

— Siete un bell’originale, siete.

— Cotesto non lo so. Sono quel che sono, e faccio il comodo mio.

Questo breve dialogo avea luogo, mentre il signor Weller giaceva sul suo materasso ad un capo della camera, e il ciabattino sul suo all’altro capo. La camera era appena rischiarata da una candela e dalla pipa del ciabattino che risplendeva sotto la tavola come un carbone acceso. La conversazione, per succinta che fosse, predispose il signor Weller in favore del ciabattino; sicchè levatosi un po’ sul gomito, ei lo guardò più a lungo che non avesse prima avuto il tempo e la voglia di fare.

Era un uomo emaciato, come sono tutti i ciabattini, ed aveva una barba ispida e grigia, come tutti i ciabattini hanno. Una faccia curiosa, bonaria, tutta lavorata e frastagliata di grinze, era ornata da un par d’occhi che un tempo aveano dovuto avere un’espressione di grande allegria, perchè ancora conservavano un certo luccichio. Poteva egli avere un sessant’anni di età, e Dio sa quanti di prigione; sicchè quello sguardo che esprimeva anche alla lontana la gioia o la soddisfazione era abbastanza singolare. Era piccolo della persona, ed essendo tutto rannicchiato nel suo letto, pareva a dirittura come se non avesse gambe. Teneva in bocca una gran pipa rossa, e se la fumava e contemplava la fiamma della candela in uno stato d’invidiabile placidezza.

— State qui da molto? — domandò Sam, rompendo il silenzio ch’era già durato un pezzo.

— Da dodici anni, — rispose il ciabattino masticando il cannello della pipa.

— Per disprezzo alla Cancelleria?

Il ciabattino accennò di sì col capo.

— Ebbene, — esclamò Sam con una certa severità, — perchè mo volete fare l’ostinato, sciupando la vostra vita preziosa in questa fognaccia del diavolo? Perchè non vi decidete a dire alla Cancelleria che siete dolente della vostra condotta e che non lo farete più?

Il ciabattino, sorridendo, si pose la pipa nell’angolo della bocca, e poi la rimise a posto, senza rispondere mezza parola.

— Sentiamo un po’ perchè? — insistette Sam.

— Ah, — fece il ciabattino, — voi queste cose qui non le capite bene. Perchè vi figurate ch’io sia rovinato?

— Ma, — rispose Sam smoccolando la candela, — mi figuro che la cosa dovette incominciare come al solito, che faceste dei debiti?

— Non ho mai dovuto un quattrino a nessuno. Provatevi ancora.

— Forse compraste delle case, il che in buona lingua vuol dire aver perduto il cervello; o vi metteste a fabbricare, il che in linguaggio medico significa essere incurabile.

Il ciabattino scosse il capo e disse:

— Provatevi meglio.

— Non avrete mica litigato, spero? — disse Sam sospettoso.

— Mai e poi mai. Il fatto è che io mi trovai rovinato per avere avuto una eredità.

— Via, via! o per chi m’avete preso? Magari che qualche mio nemico mi volesse rovinare a questo modo. Vi dico io che lo lascerei fare.

— Oh, capisco bene che non ci credete, — disse il ciabattino fumando tranquillamente la sua pipa. — Nemmeno io ci crederei se fossi in voi; ma con tutto questo, non c’è niente di più vero.

— E come fu? — domandò Sam, un po’ scosso nel suo scetticismo dall’occhiata datagli dal ciabattino.

— Proprio così, — rispose il ciabattino. — Un vecchio signore pel quale io lavoravo, giù verso la campagna, e di cui menai in moglie una parente povera — la mi è morta Dio la benedica, com’io lo ringrazio! — fu preso da un colpo e se n’andò.

— Dove? — domandò Sam, che dopo i vari eventi della giornata andava pigliando sonno.

— Che volete ch’io sappia? — disse il ciabattino parlando col naso in una voluttuosa aspirazione della sua pipa. — Se n’andò all’altro mondo.

— Ah, capisco, capisco. E poi?

— E poi lasciò cinquemila sterline.

— Una cosa molto delicata da parte sua.

— Una delle quali cinque me la lasciò a me, perchè avevo sposato la sua parente, capite.

— Benissimo, — mormorò Sam.

— Ed essendo circondato da un nugolo di nipoti che si bisticciavano per la proprietà, mi fa suo esecutore testamentario, e mi lascia il resto sulla fede per dividerlo fra loro secondo diceva il testamento.

— Sulla che? — domandò Sam destandosi un poco. — O è contante o non è contante, ecco.

— Sulla fede, capite. È un termine legale.

— Non lo credo mica, — disse Sam scuotendo il capo. — Ce n’è pochina della fede in quella bottega lì. Ad ogni modo andate avanti.

— Or bene, — riprese il ciabattino, — quando andai per far registrare il testamento, i nipoti e le nipoti, arrabbiati come cani e gatti per non aver loro tutto il denaro, ottennero un caveat contro di esso

— Un che?

— Uno strumento legale, che vuol dire in sostanza, basta così che non se ne fa più nulla.

— Vedo, vedo, — disse Sam, — una specie di parente stretto del corpus. Sicchè?

— Ma, — proseguì il ciabattino, — trovando che non si poteano metter d’accordo e che però non poteano fare annullare il testamento, ritirarono il caveat, ed io pagai tutti i legati. Non avevo ancora, si può dire, finito di pagare, quand’ecco che un nipote mi intima un atto per l’annullamento. Viene la causa qualche mese dopo davanti a un giudice vecchio e sordo, in una camera buia verso il cimitero di San Paolo; e dopo che quattro avvocati gli ebbero tirato l’umido e confuso la testa per quattro giorni di fila, prende un par di settimane per studiare il processo in sei volumi, e poi dà fuori la sentenza che siccome il testatore non avea la testa a segno, così io dovea rendere tutta la moneta e pagar le spese. Naturalmente appellai: e la causa venne trattata davanti a tre o quattro signori sonnacchiosi, che l’avevano udita tutta in quell’altra corte, dove sono, come a dire, avvocati senza clienti; la sola differenza è questa che qui li chiamano dottori e laggiù delegati, non so se mi spiego. Come mi figuravo, confermarono la sentenza del vecchio sordo. Dopo di questo s’andò in Cancelleria, dove si sta ancora e dove starò in eterno. I miei avvocati si hanno già pigliato da un pezzo tutte le mie mille sterline, e tra la sorte principale, come la chiamano, e le spese, eccomi qua dentro per diecimila sterline, dove rimarrò vita natural durante a rattoppar scarpe. Ci sono stati dei pezzi grossi che hanno detto di voler portar la cosa davanti al Parlamento, e forse l’avrebbero anche fatto, se avessero soltanto avuto il tempo di venir da me, o se avessi potuto io andar da loro; sicchè si annoiarono delle mie lunghe lettere e lasciarono cader la cosa. E questa è verità di Dio, senza una parola di più o di meno, come cinquanta e cento persone, dentro e fuori di qua, sanno benissimo.

Il ciabattino si fermò un momento per vedere l’effetto che la sua storia avea fatto sull’animo di Sam: ma trovando che Sam avea preso sonno, scosse la cenere, posò la pipa sospirando, si tirò la coperta sul capo e si addormentò anch’egli.

Il giorno appresso il signor Pickwick se ne stava tutto solo facendo colazione, essendo Sam occupatissimo in camera del ciabattino a pulire le scarpe e le uosa del padrone, quando udì all’uscio una bussatina; e prima ancora che avesse potuto dire Avanti, vide apparire una chioma ed un berretto di velluto, che riconobbe subito come proprietà personale del signor Smangle.

— Come state? — domandò l’egregio uomo, accompagnando la domanda con una infinità di cenni misteriosi; — dico, eh, aspettate qualcuno stamane? Tre persone — tre gentiluomini di prima qualità — hanno domandato di voi giù, e sono andati picchiando a tutti gli usci del camerone; e figuratevi voi quante se n’hanno dovute sentire dai prigionieri che hanno avuto il disturbo di andare ad aprire.

— Povero me! vedete un po’ che scioccheria, — disse il signor Pickwick alzandosi. — Ma sì, son degli amici che aspetto fin da ieri, son loro di certo.

— Amici vostri! — esclamò Smangle afferrandolo per mano. — Basta così. Da questo preciso minuto sono anche amici miei, perbacco, e di Mivins pure. Che cara anima dannata quel Mivins, eh?

— Davvero, l’ho conosciuto così poco, che...

— Lo so, lo so. Vedrete appresso, vedrete. Una persona amabilissima, incantevole. Quell’uomo lì ha un ingegno comico che farebbe l’onore e la fortuna del teatro di Drury Lane, capite.

— Davvero?

— Ah, per Giove! Uditelo un po’ quando fa i quattro gatti nella botte, — quattro gatti distinti, mio egregio signore, in fede di gentiluomo. Capite bene che ci vuole un ingegnaccio, capite! Non si può fare a meno di stimare e di amare un uomo che possiede questa sorta di qualità. Non ha che un solo difetto, un solo... quel piccolo difetto che v’accennai, sapete.

E siccome il signor Smangle crollava il capo in atto confidenziale, il signor Pickwick sentì di dover dire qualche cosa, e rispose: Ah! guardando verso la porta con una certa impazienza.

— Ah! — ripetette il signor Smangle con un profondo sospiro. — Una compagnia piacevolissima quell’uomo lì, non si trova il compagno, sapete. Ma ha quel difetto lì, quell’ombra, diciamo. Se gli sorgesse davanti lo spirito del nonno, figuratevi, sarebbe capace di chiedergli subito l’accettazione di una sua firma sopra una cambiale di diciotto pence.

— Perbacco! — esclamò il signor Pickwick.

— Sicuro; e se avesse il potere di risuscitarlo, vi dico io che da qui a due mesi e tre giorni lo risusciterebbe dalla tomba, per rinnovare l’effetto!

— Coteste sono qualità notevolissime, senza dubbio — disse il signor Pickwick; — ma io temo che mentre noi discorriamo qui, i miei amici siano forse molto perplessi non riuscendo a trovarmi.

— Lasciate fare a me, — esclamò Smangley dirigendosi verso la porta. — Buon giorno. Non voglio esservi di disturbo, capite, vi lascio in libertà con loro. A proposito...

E Smangle si fermò di botto, richiuse l’uscio che aveva aperto e tornando in punta di piedi verso il signor Pickwick, gli si accostò e gli bisbigliò all’orecchio:

— Vi scomoderebbe per caso un piccolo prestito di mezza corona fino alla fine della prossima settimana?

Il signor Pickwick non potette fare a meno di sorridere, ma cercando di mantenersi serio, cavò di tasca la moneta e la pose in mano del signor Smangle; il quale, con molti e svariati cenni intimi e misteriosi, disparve in cerca dei tre forestieri, e tornò di lì a poco annunziandoli. Quindi, tossito che ebbe tre volte e fatti altrettanti cenni come per assicurare il signor Pickwick che non avrebbe dimenticato il debito suo, strinse la mano a tutti con grande affettuosità e se n’andò finalmente.

— Miei cari amici, — disse il signor Pickwick, stringendo la mano a Tupman, Winkle e Snodgrass che erano appunto i tre forestieri in questione, — ho proprio piacere di vedervi.

Il triumvirato era molto abbattuto. Il signor Tupman scosse il capo compassionevolmente, il signor Snodgrass trasse con manifesta emozione il fazzoletto; e il signor Winkle si ritirò verso la finestra e si soffiò forte il naso.

— Buon dì, signori, — disse Sam, entrando in quel punta stesso con le uosa; — e morte alla malinconia, come disse il ragazzo quando morì la maestra di scuola. Benvenuti al collegio, signori.

— Questo bel matto, — disse il signor Pickwick, battendo con la mano in capo a Sam, mentre questi inginocchiato gli abbottonava le uosa, — questo bel matto s’è fatto arrestare per star qui con me.

— Possibile! — esclamarono i tre amici.

— Sissignori, — disse Sam, — io sono... state fermo, signore, se non vi dispiace... io son prigioniero, signori miei: dentro, come disse la signora gravida.

— Prigioniero! — esclamò il signor Winkle con inesplicabile energia.

— Ohe, signore! — fece Sam, alzando gli occhi. — Che è successo?

— Speravo, Sam, che... niente, niente, — disse in fretta il signor Winkle.

C’era nei modi del signor Winkle un certo che di così brusco e impacciato, che il signor Pickwick si volse mal suo grado agli altri due amici per avere una spiegazione

— Non sappiamo nulla, — rispose il signor Tupman alla muta domanda. — È stato molto eccitato in questi due ultimi giorni, con un contegno affatto insolito in lui. Abbiamo temuto che qualche cosa ci fosse, ma egli recisamente lo nega.

— No, no, — disse il signor Winkle, arrossendo sotto lo sguardo del signor Pickwick, — realmente non c’è nulla. Vi assicuro che non c’è nulla. Sarà forza ch’io mi allontani per qualche tempo per mie faccende private, e avevo sperato di ottener da voi il permesso di farmi accompagllare da Sam.

Il signor Pickwick si mostrò ancora più stupito di prima.

— Credo, — balbettò il signor Winkle, — che Sam non avrebbe avuto nessuna difficoltà a questo; ma naturalmente la sua attuale condizione di prigioniero rende la cosa impossibile. Sicchè dovrò partir solo.

Mentre il signor Winkle diceva questo, il signor Pickwick sentì con una certa maraviglia che le dita di Sam tremavano nell’abbottonar le uosa, come s’egli avesse trasalito. Di più Sam alzò anche gli occhi in volto al signor Winkle, e benchè lo sguardo che si scambiarono fosse istantaneo, parve che si intendessero egregiamente.

— Conoscete nulla di tutto ciò, Sam? — domandò secco secco il signor Pickwick.

— Nossignore, — rispose il signor Weller, dandosi ad abbottonare con grandissima furia.

— Ne siete proprio sicuro, Sam?

— Tanto sicuro, signore, per quanto non ho udito nulla della cosa prima di questo momento. Se anche c’indovino, non ho il diritto di dire di che si tratta, per paura di pigliare un granchio.

— Nè io ho il diritto di immischiarmi altrimenti negli affari privati di un amico, per intrinseco che sia, — disse il signor Pickwick dopo un breve silenzio; — per ora lasciatemi dir soltanto che di tutto questo io non capisco nulla. E basti così.

Esprimendosi a questo modo, il signor Pickwick portò la conversazione su vari argomenti, e il signor Winkle s’andò a poco a poco calmando, benchè non giungesse a riacquistare una piena franchezza di modi. Di tante cose avevano da discorrere che la mattinata passò prestissimo e quando alle tre il signor Weller portò in tavola un cosciotto di montone arrosto ed un enorme pasticcio di carne, con vari piatti di vegetali e boccali di birra, che furono disposti su per le seggiole e sulle tavole del letto, tutti si sentirono disposti a render giustizia al desinare, abbenchè la carne fosse stata comprata e cucinata e il pasticcio fatto e infornato nella cucina stessa della prigione.

Successero al desinare una o due bottiglie di buon vino, che il signor Pickwick fece venire dal Caffè del corno, in Doctors Commons. L’una o due bottiglie erano poi in effetto una o sei, perchè quando alla fine se ne vide il fondo e si fu bevuto il tè, la campana incominciò ad avvertire gli estranei che si ritirassero.

Ma se la mattina il contegno del signor Winkle era stato inesplicabile, divenne assolutamente solenne e sovrannaturale, quando sotto l’azione combinata dei suoi sentimenti e dell’una o sei bottiglie ei si dispose a toglier commiato dall’amico. Si trattenne ultimo di tutti, aspettò che Tupman e Snodgrass fossero scomparsi, e allora calorosamente afferrò la mano del signor Pickwick con una espressione di viso nella quale una fiera e disperata risoluzione era terribilmente sposata alla essenza concentrata della disperazione.

— Buona notte, mio caro signore, — disse tra i denti il signor Winkle.

— Dio vi benedica, amico mio, — rispose tutto affettuoso il signor Pickwick, nel rendere all’amico la stretta di mano.

— Sicchè? — gridò il signor Tupman dalla sala di fuori.

— Eccomi, eccomi, — rispose il signor Winkle. — Buona notte.

— Buona notte, — disse il signor Pickwick.

Vi fu un’altra buona notte, ed un’altra ancora, e poi un’altra mezza dozzina, e sempre il signor Winkle teneva stretta la mano dell’amico e con la medesima strana espressione lo guardava in viso.

— C’è qualcosa di nuovo? — domandò alla fine il signor Pickwick, quando si sentì il braccio indolenzito dal troppo scuotere.

— Nulla, — rispose il signor Winkle.

— Buona notte dunque, — disse il signor Pickwick cercando di svincolar la mano.

— Amico mio, mio benefattore, mio venerato compagno, — mormorò il signor Winkle, afferrandolo pel polso. — Non mi giudicate con asprezza, no; quando sentirete che tratto agli estremi ed esacerbato da ostacoli insormontabili, io...

— Venite sì o no? — gridò il signor Tupman ripresentandosi sulla soglia; — o volete che ci chiudano dentro?

— Sì, sì, eccomi, sono a voi, — rispose il signor Winkle. E con un sforzo violento si tolse di là.

Mentre il signor Pickwick, muto dallo stupore, teneva loro dietro con gli occhi, Sam Weller apparve in capo alla scala e bisbigliò qualche parola all’orecchio del signor Winkle.

— Oh certamente, contate sopra di me! — rispose questi.

— Grazie, signore. Non ve ne scorderete?

— Naturalmente no.

— Buona fortuna, — disse Sam toccandosi il cappello. — Sarei venuto così volentieri con voi, ma il padrone prima di tutto.

— È una cosa che vi fa molto onore, — disse il signor Winkle. E con queste parole scomparve giù per le scale.

— È strano! — borbottò il signor Pickwick rientrando in camera e mettendosi a sedere presso la tavola in atto pensieroso. — Che mai vorrà fare quel giovane?

Era stato così ruminando un bel pezzo, quando la voce di Roker, il carceriere, domandò di fuori se si poteva.

— Avanti, avanti, — disse il signor Pickwick.

— Vi ho portato un guanciale più soffice in cambio di quello provvisorio che v’hanno dato iersera.

— Grazie. Accettereste un bicchier di vino?

— Troppo buono, signore, — rispose il signor Roker accettando il bicchiere offertogli. — Alla vostra salute.

— Grazie, — disse il signor Pickwick.

— Ho da darvi la brutta notizia che il vostro ospite è stato male assai la notte scorsa, — disse Roker, posando il bicchiere ed esaminando la fodera del cappello prima di rimetterselo in capo.

— Chi? il prigioniero della Cancelleria? — esclamò il signor Pickwick.

— Non sarà prigioniero per molto tempo, — rispose Roker voltando in modo il cappello da poter leggere il nome dei fabbricante.

— Voi mi fate gelare il sangue. Che cosa volete dire?

— Era tisico da un pezzo, ed ora gli ha preso un grande affanno. Il dottore disse sei mesi fa che soltanto un mutamento d’aria avrebbe potuto salvarlo.

— Dio misericordioso! e quest’uomo è stato lentamente assassinato dalla legge per sei mesi di fila?

— Cotesto poi non lo so, — rispose Roker tenendo il cappello di qua e di là per le falde. — Per me dico che sarebbe stato lo stesso qui o altrove. Stamani lo si è portato all’infermeria; il dottore dice che bisogna per quanto è possibile tenerlo su, e il custode gli ha mandato da casa propria vino e brodo, eccetera. Non è mica colpa del custode, capite.

— Oh diamine, capisco benissimo.

— Temo però che non ci sia più da sperar nulla. Ho offerto a Neddy dodici pence contro uno, se voleva scommettere; ma non ha voluto, naturalmente. Grazie, signore. Buona notte.

— Un momento, — esclamò il signor Pickwick. — Dov’è l’infermeria?

— Proprio in capo al posto dove avete dormito. Se vi piace, vi ci conduco io.

Il signor Pickwick, senza rispondere verbo, si calcò in capo il cappello e seguì il carceriere.

Camminato che ebbero un po’ in silenzio, questi alzando il saliscendi dell’uscio, fece segno al signor Pickwick di entrare. Era una camera vasta, nuda, desolata, con un gran numero di letti di ferro, sopra uno dei quali giaceva l’ombra di un uomo: un viso pallido, disfatto, da spettro. Avea il respiro grosso e faticoso e si lamentava dolorosamente. Al capezzale sedeva un vecchietto con davanti un grembiule da ciabattino, che con l’aiuto di un par d’occhiali d’osso leggeva ad alta voce la Bibbia. Era il fortunato legatario.

L’infermo posò la mano sul braccio del suo assistente, e gli fece segno di smettere. Il ciabattino chiuse il libro e lo posò sul letto.

— Aprite la finestra, — disse l’infermo.

L’aprì. Il rumore delle carrozze e dei carri, lo stridere delle ruote, le grida degli uomini e dei fanciulli, tutti i suoni e il trambusto di una immensa moltitudine affaccendata ed irrequieta, confusi in un solo rumore lungo e profondo, entrarono a ondate nella camera. Sopra il tumulto roco ed incessante levavasi di tanto in tanto una risata fragorosa, o la nota di una allegra canzone feriva un tratto l’orecchio e si perdeva subito in mezzo al rumoreggiar delle voci e dei passi — in mezzo al frangersi dei flutti dell’irrequieto oceano della vita che si accavallavano di fuori. Sono sempre malinconici suoni questi per un tranquillo ascoltatore, ma quanto più malinconici per uno che vegli presso il letto della morte!

— Non c’è aria qui, — disse debolmente l’infermo. — Questo luogo la corrompe; era fresca tutt’intorno, quand’io ci passeggiavo tanti anni fa; ma diventa calda e greve passando per queste mura. Io non la posso respirare.

— L’abbiamo respirata insieme per tanto tempo, — disse il vecchio. — Via, via, coraggio!

Seguì un breve silenzio, durante il quale due spettatori si accostarono al letto. L’infermo pigliò una mano del suo vecchio compagno di prigione e stringendola con affetto fra le sue, la tenne forte.

— Spero, — disse affannando dopo un poco, e così debolmente che dovettero chinarsi sul letto per afferrare i suoni che le sue labbra livide e fredde formavano appena, — spero che il giudice misericordioso si ricorderà la grave punizione che ho sopportato su questa terra. Venti anni amico mio, venti anni in questo sepolcro. Mi si spezzò il cuore quando mi morì il bambino, e non lo potetti nemmeno baciare nella sua piccola bara. Da allora, la mia solitudine in tutto questo tumulto, in questa allegria, è stata spaventevole. Che Dio mi perdoni! Egli l’ha veduta la mia agonia solitaria, lunga.

Intrecciò le mani e mormorando qualche altra parola che non potettero udire, fu preso dal sonno — solo dal sonno, perchè lo videro che sorrideva.

Bisbigliarono insieme per poco, quando il carceriere chinandosi sul guanciale si ritrasse in fretta.

— È libero, per Dio! — esclamò.

Era libero. Ma avea camminato così presso alla morte nella vita, che non si accorsero ch’era morto.