Il Corsaro Nero/CAPITOLO VII - Un duello fra gentiluomini

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Un duello fra gentiluomini

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CAPITOLO VI - La situazione dei filibustieri si aggrava CAPITOLO VIII - Una fuga prodigiosa

CAPITOLO VII
Un duello fra gentiluomini


La colazione, contrariamente alle previsioni di Carmaux, fu poco allegra ed il buon umore mancò, non ostante quell’eccellente prosciutto, il formaggio piccante e le bottiglie del povero notaio.

Tutti cominciavano a diventare inquieti per la brutta piega che prendevano gli avvenimenti, a causa di quel disgraziato giovanotto e del suo matrimonio. La sua sparizione misteriosa, unitamente a quella del servo, non avrebbe di certo mancato di spaventare i parenti ed erano da aspettarsi presto delle nuove visite di servi o di amici, o, peggio ancora, di soldati o di qualche giudice o di qualche alguazil.

Quello stato di cose non poteva assolutamente durare a lungo. I filibustieri avrebbero fatto ancora altri prigionieri, ma poi sarebbero certamente venuti i soldati, e non uno alla volta per farsi prendere.

Il Corsaro ed i suoi due marinai avevano ventilati parecchi progetti, ma nemmeno uno era sembrato buono. La fuga per il momento era assolutamente impossibile; sarebbero stati di certo riconosciuti, arrestati e senz’altro appiccati come il povero Corsaro Rosso ed i suoi sventurati compagni. Bisognava attendere la notte; era però poco probabile che i parenti del giovanotto dovessero lasciarli tranquilli.

I tre filibustieri, ordinariamente cosí fecondi di trovate e di astuzie al pari di tutti i loro compagni della Tortue, si trovavano in quel momento completamente imbarazzati.

Carmaux aveva suggerita l’idea di indossare le vesti dei prigionieri e di uscire audacemente, ma si era subito accorto dell’impossibilità di realizzare il suo piano, non potendosi utilizzare il costume del giovanotto, perché nessuno avrebbe potuto indossarlo, e poi la cosa era stata giudicata troppo pericolosa, coi soldati che battevano le campagne vicine. Il negro era invece tornato alla sua prima idea, cioé di recarsi ad acquistare delle divise di alabardieri o di moschettieri; anche questo per il momento era stato scartato, essendo costretti ad aspettare la notte per poterla effettuare con qualche successo.

Stavano pensando e ripensando per scovare qualche nuovo progetto, che fornisse loro il mezzo di uscire da quella situazione, che diveniva di minuto in minuto piú imbarazzante e pericolosa, quando un terzo individuo venne a battere alla porta del notaio.

Questa volta non si trattava di un servo, bensí d’un gentiluomo castigliano, armato di spada e di pugnale, qualche parente forse del giovanotto o qualcuno dei padrini.

— Tuoni! — esclamò Carmaux. — È una processione di gente che viene a questa dannata casa!... Prima il giovanotto, poi un servo, ora un gentiluomo, piú tardi sarà il padre dello sposo, poi i padrini, gli amici eccetera. Finiremo per fare il matrimonio qui!...

Il castigliano, vedendo che nessuno si era affrettato ad aprire, aveva cominciato a raddoppiare i colpi, alzando e lasciando cadere senza posa il pesante battente di ferro. Quell’uomo doveva essere certo poco paziente e probabilmente ben piú pericoloso del giovanotto e del servo.

— Và, Carmaux, — disse il Corsaro.

— Temo però, comandante, che non sia cosa facile prenderlo e legarlo Quell’uomo è solido, ve lo assicuro, ed opporrà una resistenza disperata.

— Ci sarò anch’io e tu sai che le mie braccia sono robuste.

Il Corsaro, avendo visto in un angolo della stanza una spada, qualche vecchia arma di famiglia che il notaio aveva conservata, l’aveva presa e dopo avere provata l’elasticità della lama se l’era appesa al fianco, mormorando:

— Acciaio di Toledo: darà da fare al castigliano.

Carmaux ed il negro avevano in quel frattempo aperta la porta che minacciava di venire sfondata sotto i furiosi ed incessanti colpi del battente ed il gentiluomo era entrato collo sguardo crucciato, la fronte aggrottata e la sinistra sulla guardia della spada, dicendo con voce collerica:

— Occorre il cannone qui, per farsi aprire?...

Il nuovo venuto era un bell’uomo sulla quarantina, alto di statura, robusto, dal tipo maschio ed altero, con due occhi nerissimi ed una folta barba pure nera, che gli dava un aspetto marziale.

Indossava un elegante costume spagnuolo di seta nera e calzava alti stivali di pelle gialla, colle trombe dentellate, e speroni.

— Perdonate signore, se abbiamo tardato, — rispose Carmaux, inchinandosi grottescamente dinanzi a lui, — ma eravamo occupatissimi.

— A fare che cosa? — chiese il castigliano.

— A curare il signor notaio.

— È ammalato forse?

— È stato preso da una potentissima febbre, signore.

— Chiamatemi conte, furfante.

— Scusatemi signor conte; io non avevo l’onore di conoscervi.

— Andatevene al diavolo!... Dov’è mio nipote?... Sono due ore che è venuto qui.

— Noi non abbiamo veduto nessuno.

— Tu vuoi burlarti di me!... Dov’è il notaio?...

— È a letto, signore.

— Conducimi subito da lui.

Carmaux che voleva attirarlo in fondo al corridoio prima di fare segno al negro di porre in opera la sua prodigiosa forza muscolare, si mise innanzi al castigliano; poi, appena giunse alla base della scala, si volse bruscamente, dicendo:

— A te, compare!

Il negro si gettò rapidamente sul castigliano; questi, che si teneva probabilmente in guardia e che possedeva un’agilità da dare dei punti ad un marinaio, con un solo salto varcò i tre primi gradini, scartando Carmaux con un urto violento e snudò risolutamente la spada gridando:

— Ah!... Mariuoli!... Che cosa significa questo attacco? Ora vi taglierò gli orecchi!...

— Se volete sapere che cosa significa questo attacco, ve lo spiegherò io, signore, — disse una voce.

Il Corsaro Nero era comparso improvvisamente sul pianerottolo, colla spada in pugno, ed aveva cominciato a scendere i primi gradini.

Il castigliano si era voltato senza però perdere di vista Carmaux ed il negro, i quali si erano ritirati in fondo al corridoio, mettendosi di guardia dinanzi alla porta. Il primo aveva impugnata la lunga navaja ed il secondo s’era armato di una traversa di legno, arma formidabile nelle sue mani.

— Chi siete voi, signore? — chiese il castigliano senza manifestare il minimo timore. — Dalle vesti che indossate vi si potrebbe credere un gentiluomo, ma l’abito non fa sempre il monaco o potreste esser anche qualche bandito.

— Ecco una parola che potrebbe costarvi cara, mio gentiluomo, — rispose il Corsaro.

— Bah!... Lo si vedrà piú tardi.

— Siete coraggioso, signore; tanto meglio. Vi consiglierei però di deporre la spada e di arrendervi.

— A chi?...

— A me.

— Ad un bandito che tende un agguato per assassinare a tradimento le persone?...

— No, al cavaliere Emilio di Roccanera, signore di Ventimiglia.

— Ah!... Voi siete un gentiluomo!... Vorrei almeno sapere allora perché il signore di Ventimiglia cerca di farmi assassinare dai suoi servi.

— È una supposizione affatto vostra, signore; nessuno ha mai pensato ad assassinarvi. Si voleva disarmarvi e tenervi prigioniero per qualche giorno e nient’altro.

— E per quale motivo?

— Onde impedirvi di avvertire le autorità di Maracaybo che qui mi trovo io, — rispose il Corsaro.

— Forse che il signor di Ventimiglia ha dei conti da regolare colle autorità di Maracaybo?

— Non sono troppo amato da loro o meglio da Wan Guld, il quale sarebbe troppo felice di avermi in sua mano, come io sarei ben lieto di averlo in mio potere.

— Non vi comprendo signore, — disse il castigliano.

— Ciò non vi interessa. Orsú, volete arrendervi?

— Oh!... E voi lo pensate! Un uomo di spada cedere senza difendersi?

— Allora mi costringete ad uccidervi. Non posso permettervi di andarvene, o io ed i miei compagni saremmo perduti.

— Ma chi siete voi infine?

— Dovreste ormai averlo indovinato: noi siamo filibustieri della Tortue. Signore, difendetevi, perché ora vi ucciderò.

— Lo credo dovendo fare fronte a tre avversari.

— Non preoccupatevi di loro, — disse il Corsaro, indicando Carmaux ed il negro. — Quando il loro comandante si batte hanno l’abitudine di non immischiarsene.

— In tal caso spero di mettervi presto fuori di combattimento. Voi non conoscete ancora il braccio del conte di Lerma.

— Come voi non conoscete quello del signore di Ventimiglia. Conte, difendetevi!...

— Una parola se me lo permettete. Che cosa avete fatto di mio nipote e del suo domestico?

— Sono prigionieri assieme al notaio, ma non inquietatevi per loro. Domani saranno liberi e vostro nipote potrà impalmare la sua bella.

— Grazie, cavaliere.

Il Corsaro Nero s’inchinò lievemente, poi scese rapidamente i gradini ed incalzò il castigliano con tanta furia, che questi fu costretto a retrocedere di due passi.

Per alcuni istanti nell’angusto corridoio si udí solo lo stridore dei ferri. Carmaux ed il negro, appoggiati contro la porta, colle braccia incrociate assistevano al duello senza parlare, cercando di seguire cogli sguardi il fulmineo guizzare delle lame. Il castigliano si batteva splendidamente, da spadaccino valente, parando con grande sangue freddo e vibrando stoccate bene dirette; dovette ben presto convincersi però d’avere dinanzi un avversario dei piú terribili e che possedeva dei muscoli d’acciaio.

Dopo le prime botte, il Corsaro Nero aveva riacquistata la sua calma. Non attaccava che di rado, limitandosi a difendersi come se volesse prima stancare l’avversario e studiare il suo gioco. Fermo sulle sue gambe nervose, col corpo diritto, la mano sinistra avanzata orizzontalmente, gli occhi lampeggianti, pareva che giocasse.

Invano il castigliano aveva cercato di spingerlo verso la scala colla segreta speranza di farlo cadere, vibrandogli una tempesta di stoccate. Il Corsaro non aveva fatto un solo passo indietro ed era rimasto irremovibile fra quello scintillio della lama, ribattendo i colpi con una rapidità prodigiosa, senza uscire di linea.

D’improvviso però si slanciò a fondo. Battere di terza la lama dell’avversario con un colpo secco, legarla di seconda e fargliela cadere al suolo, fu un colpo solo.

Il castigliano, trovandosi inerme, era diventato pallido e si era lasciato sfuggire un grido. La punta scintillante della lama del Corsaro rimase un istante tesa, minacciandogli il petto, poi subito si rialzò.

— Voi siete un valoroso, — disse, salutando l’avversario. — Voi non volevate cedere la vostra arma: ora io me la prendo, ma vi lascio la vita.

Il castigliano era rimasto immobile col piú profondo stupore scolpito in viso. Gli sembrava forse impossibile di trovarsi ancora vivo. Ad un tratto fece rapidamente due passi innanzi e tese la destra al Corsaro, dicendo:

— I miei compatrioti dicono che i filibustieri sono uomini senza fede, senza legge, dediti solamente al ladronaggio di mare; io posso ora dire come fra costoro si trovano anche dei valorosi, che in fatto di cavalleria e di generosità possono dare dei punti ai piú compiti gentiluomini d’Europa. Signor cavaliere, ecco la mia mano: grazie!...

Il Corsaro gliela strinse cordialmente, poi raccogliendo la spada caduta e porgendola al conte rispose:

— Conservate la vostra arma, signore; a me basta che voi mi promettiate di non adoperarla, fino a domani, contro di noi.

— Ve lo prometto, cavaliere, sul mio onore.

— Ora lasciatevi legare senza opporre resistenza. Mi rincresce dovere ricorrere a questa necessità; ma non posso farne a meno.

— Fate quello che credete.

Ad un cenno del Corsaro, Carmaux si avvicinò al castigliano e gli legò le mani, poi lo affidò al negro, il quale s’affrettò a condurlo nella stanza superiore a tenere compagnia al nipote, al servo ed al notaio.

— Speriamo che la processione sia finita, — disse Carmaux, rivolgendosi verso il Corsaro.

— Io credo invece che fra poco altre persone verranno ad importunarci, — rispose il capitano. — Tutte queste misteriose sparizioni non tarderanno a creare dei gravi sospetti fra i familiari del conte e del giovanotto, e le autorità di Maracaybo vorranno immischiarsene. Noi faremo bene a barricare le porte e prepararci alla difesa. Hai osservato se vi sono armi da fuoco in questa casa?...

— Ho trovato nel granaio un archibugio e delle munizioni, oltre ad una vecchia alabarda arrugginita ed una corazza.

— Il fucile potrà servirci.

— E come potremo resistere, comandante, se i soldati verranno ad assalire la casa?...

— Lo si vedrà poi; ti assicuro che, vivo, Wan Guld non mi avrà mai!... Orsú, prepariamoci alla difesa. Piú tardi, se avremo tempo, penseremo alla colazione.

Il negro era tornato, lasciando Wan Stiller a guardia dei prigionieri. Messo al corrente di ciò che si doveva fare, si mise alacremente all’opera.

Aiutato da Carmaux, portò nel corridoio tutti i mobili piú pesanti e piú voluminosi della casa, non senza provocare, da parte del povero notaio, una sequela di proteste affatto inutili. Casse, armadi, tavoli massicci, canterani furono accumulati contro la porta, in modo da barricarla completamente.

Non contenti, i filibustieri rizzarono con altre casse ed altri mobili una seconda barricata alla base della scala, per potere contrastare il passo agli assalitori, nel caso che la porta non avesse potuto piú resistere.

Avevano appena terminati quei preparativi di difesa, quando videro Wan Stiller scendere la scala a precipizio.

— Comandante, — disse, — nella viuzza si sono aggruppati parecchi cittadini e tutti guardano verso questa casa. Io credo che ormai si siano accorti che qui succedono delle misteriose sparizioni d’uomini.

— Ah!... — si limitò ad esclamare il Corsaro, senza che un muscolo del suo viso si fosse alterato.

Salí tranquillamente la scala e si affacciò alla finestra che dominava la viuzza tenendosi nascosto dietro le persiane.

Wan Stiller aveva detto il vero. Una cinquantina di persone, divise in vari gruppetti, ingombravano l’opposta estremità della viuzza. Quei borghesi parlavano con animazione e s’indicavano vicendevolmente la casa del notaio, mentre alle finestre delle case vicine si vedevano apparire e scomparire gli inquilini.

— Ciò che temevo sta per succedere, — mormorò il Corsaro, aggrottando la fronte. — Orsú, se devo morire anch’io in Maracaybo, cosí doveva essere scritto sul libro del mio destino. Poveri fratelli miei, caduti forse invendicati!... Oh!... Ma la morte non è ancora giunta e la fortuna protegge i filibustieri della Tortue... Carmaux, a me!...

Il marinaio sentendosi chiamare non aveva indugiato ad accorrere, dicendo:

— Eccomi, mio comandante.

— Tu mi hai detto d’aver trovato delle munizioni.

— Un barilotto di polvere della capacità di otto o dieci libbre, signore.

— Lo collocherai nel corridoio, dietro la porta e vi metterai una miccia.

— Lampi!... Faremo saltare la casa?

— Sí, se sarà necessario.

— Ed i prigionieri?

— Peggio per loro se i soldati vorranno prenderci. Noi abbiamo il diritto di difenderci e lo faremo senza esitare.

— Ah!... Eccoli... — esclamò Carmaux che teneva gli occhi fissi sulla viuzza.

— Chi?

— I soldati, comandante.

— Va’ a prendere il barile, poi verrai a raggiungermi assieme a Wan Stiller. Non dimenticare l’archibugio.

Alla estremità della viuzza era comparso un drappello di archibugieri comandati da un tenente e seguito da un codazzo di curiosi. Erano due dozzine di soldati, perfettamente equipaggiati come se si recassero alla guerra, con fucili, spade e misericordie alla cintura.

Accanto al tenente, il Corsaro scorse un vecchio signore, dalla barba bianca, armato di spada, e sospettò che fosse qualche parente del conte o del giovanotto. Il drappello si fece largo fra i borghesi che ingombravano la viuzza e fece alt a dieci passi dalla casa del notaio, disponendosi su una triplice linea e preparando i fucili come se dovessero aprire senz’altro il fuoco.

Il tenente osservò per alcuni istanti le finestre, scambiò alcune parole col vecchio che gli stava vicino, poi si avvicinò risolutamente alla porta e lasciò cadere il pesante martello, gridando:

— In nome del Governatore, aprite!...

— Siete pronti, miei prodi? — chiese il Corsaro.

— Siamo pronti, signore, — risposero Carmaux, Wan Stiller ed il negro.

— Voi rimarrete con me e tu, mio bravo africano, sali al piano superiore e guarda se puoi scoprire qualche abbaino che ci permetta di fuggire sui tetti.

Ciò detto aprí le imposte e curvandosi sul davanzale, chiese:

— Che cosa desiderate, signore?...

Il tenente vedendo comparire, in luogo del notaio, quell’uomo dai lineamenti arditi, con quell’ampio cappello nero adorno della lunga piuma nera, era rimasto immobile guardandolo con stupore.

— Chi siete voi? — gli chiese, dopo qualche istante. — Io domando del notaio.

— Per lui rispondo io, non potendo egli muoversi, per il momento.

— Allora apritemi: ordine del Governatore.

— E se io non volessi?

— In tal caso non risponderei delle conseguenze. Sono accadute delle cose assai strane in questa casa, mio gentiluomo, ed ho avuto l’ordine di sapere che cosa è avvenuto del Signor Pedro Conxevio, del suo servo, e di suo zio, il conte di Lerma.

— Se vi preme di saperlo, vi dirò che sono in questa casa vivi tutti, anzi di buon umore.

— Fateli scendere.

— È impossibile, signore, — rispose il Corsaro.

— Vi intimo di obbedire o farò sfasciare la porta.

— Fatelo, vi avverto però che dietro la porta ho fatto collocare un barilotto di polvere e che al primo vostro tentativo di forzarla, io darò fuoco alla miccia e farò saltare la casa assieme al notaio, al signor Conxevio al servo ed al conte di Lerma. Ora provatevi, se l’osate!...

Udendo quelle parole pronunciate con voce calma, fredda, recisa e con tono da non ammettere alcun dubbio sulla terribile minaccia, un fremito di terrore aveva scossi i soldati ed i curiosi che li avevano seguiti, anzi parecchi di questi si erano affrettati a prendere il largo, temendo che la casa fosse lí lí per saltare in aria. Perfino il tenente aveva fatto involontariamente alcuni passi indietro.

Il Corsaro era rimasto tranquillamente alla finestra come se fosse un semplice spettatore, non perdendo però di vista gli archibugi dei soldati mentre Carmaux e Wan Stiller, che si trovavano dietro di lui, spiavano le mosse dei vicini, i quali erano accorsi in massa sulle terrazze e sui poggiuoli.

— Ma chi siete voi? — chiese finalmente il tenente.

— Un uomo che non vuol essere disturbato da chicchessia, nemmeno dagli ufficiali del governatore, — rispose il Corsaro.

— Vi intimo di dirmi il vostro nome.

— A me non garba affatto.

— Vi costringerò.

— Ed io farò saltare la casa.

— Ma voi siete pazzo.

— Quanto lo siete voi.

— Ah! Insultate?

— Niente affatto, signor mio, rispondo.

— Finitela!... Lo scherzo è durato troppo.

— Lo volete? Ehi, Carmaux... Và a mettere fuoco al barile di polvere!...