Il Governo Pontificio o la Quistione Romana/Capitolo 10

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CAPITOLO X


Pio IX.


Vecchiezza, maestà, virtù, sventura ispirano rispetto a tulle le onorate persone: non paventate ch’io mel dimentichi.

Ma la verità puranco vuol suo luoghetto; chè sebben vecchia, reina e santa, gli uomini la bistrattano sovente, e di sfregi la disonestano.

Nè perderò di vista che il Papa ha sessantasett anni; ch’ei cinge corona officialmente onorata da 139 milioni Cattolici; che sua vita privata è stata costantemente esemplare; ch’ei adopera il più nobile disinteresse sur un trono ove ha si lungamente seduto l’egoismo; che ha spontaneamente iniziato suo regno con beneficii; che le geste sue prime hanno sollevato a buona speranza Italia ed Europa; che ha patito le lente torture dello esilio; ch’egli esercita monarcato precario e dipendente sotto la protezione di due eserciti, e che vive in potere di cardinale. Ma ben più miseri di lui sono quei che, dietro sua dimanda e per riporlo in [p. 100 modifica]trono, furono spenti a colpi di cannone; quei che gli Austriaci, per consolidare suo potere, hanno fucilato, ed anche quei che grami affaticansi per arricchire il suo bilancio.

Giovanmaria, dei conti Mastai-Ferretii, nato il 13 maggio 1792, e nominato Papa il 16 giugno 1846 sotto nome di Pio IX, è uomo più invecchiato dell’età, anzi piccolo che no, obeso, un po’ dilavato, e di sanità cagionevole. La sua fisonomia paterna e sonnolente respira bontà e stanchezza; nulla ha di grave ed autorevole. Gregorio XVI, disavvenente e bitorzoluto, ma, per quello che contano, aveva aria di grandezza.

Pio IX fa mediocremente sua parte nelle grandi rappresentazioni della Chiesa cattolica. Gli ortodossi, che vengono di lontano per contemplarlo alla messa, maravigliano di vederlo annasar tabacco in mezzo ai perlati vapori dell’incenso. Nelle ore di ozio, per medica prescrizione, ei si esercita al giuoco del bigliardo.

Ei crede in Dio; e non è solo un vero cristiano, ma è anche divoto. Nel suo entusiasmo per la Vergine Maria, egli ha foggiato un dogma inutile, ed innalzato un monumento di cattivo gusto, che deturpa Piazza di Spagna. Puro è il suo costume, e fu maisempre, anco quando era giovane prete; merito assai fra noi comune, ma raro e miracoloso di là dai monti.

Nipoti egli ha, i quali (stupendo a dire!) non sono ricchi, non potenti, non principi. [p. 101 modifica]Eppure niuna legge gli vieta dispogliare i suoi sudditi a vantaggio di sua famiglia! Gregorio XIII dono al suo nipote Ludovisi quattro milioni in cedole, che valevano buona moneta. I Borghesi comperarono in un fiato novantacinque poderi con danaio di Paolo V. Una commissione riunita sotto la presidenza del R. P. Vitelleschi, generale dei gesuiti, stabili, per farla finita con gli abusi, che tutti i Papi restringerebbonsi a fondare un maggiorasco di 400,000 lire di rendita pel nipote favorito, salvo a creare una secondo-genitura in favor di un altro, e ch’eglino non potrebbero dare a ciascuna delle nipoti più di 900,000 lire in dote.

Mi si dirà che il nipotismo è andato in disuso dall’aurora del secolo XVIII; ma nulla vietava a Pio IX di ringiovanirlo, siccome già fece Pio VI. Egli non ha voluto. I suoi parenti sono di mezzana nobiltà e di mediocri fortune. Il conte Mastai Ferretti, suo nipote, s’è di fresco ammogliato, e il donativo di nozze del Santo Padre fu di diamanti del valore di 200,000 lire. Nè pensate che tal discreta liberalità abbia costato un centesimo alla nazione: i diamanti derivano dall’Imperator dei Turchi. Sono oramai dieci anni che il Sultano di Costantinopoli, commendatore dei credenti, offeri al commendatore degl’infedeli una sella guernita in pietre fine. I commessi viaggiatori, che affluivano a Gaeta ed a Portici, ne recarono buona parte nelle loro valigie; il rimanente sta nello scrigno della giovine contessa Ferretti. [p. 102 modifica]L’indole di cotesto onorato vegliardo è composta di divozione, di bonarietà, di vanità, di debolezza, di ostinazione con un tantin di rancura che di quando in quando sberleffa. Benedice con unzione, ma con difficoltà perdona; buon prete, ma re scemo d’uno spicchio.

L’ingegno suo, che ne diede si lusinghiere speranze, si crudeli disinganni, non levasi sopra la mezzanità. Non credo che nelle cose temporali sia infallibile. L’istruzion sua è quella di tutti i cardinali italiani; nè male favella francese.

Il popolo degli Stati suoi lo ha giudicato a vanvera, fin dal giorno della sua esaltazione. Nel 1847, allorchè in buona fede desiderio esprimeva di ben fare, i Romani gli ebbero appiccato il nomignolo di grande. Che! Eccellente uomo avrebberlo dovuto appellare, che era desideroso di agir meglio de’ suoi predecessori, e di meritare qualche plauso dell’Europa. Nel 1859, al contrario, è stimato retrivo violento, perché gli avvenimenti hanno sfiduciato il suo buon volere, e soprattutto, perchè il cardinale Antonelli ritiralo violentemente indietro. Io nol trovo nè al presente odibile, nè ammirabile in passato. Compiangolo, che abbia mollato la briglia al popol suo, non avendo mano ferma per quassarla in buon punto. Compiangolo soprattutto dell’infermiccio suo stato presente, che lascia fare più male in suo nome ch’egli non abbia fatto bene. [p. 103 modifica] La mala riuscita di tutti i suoi intraprendimenti, e tre o quattro casi avvenuti in sua presenza hanno messo in credito,frammezzo al popolo minuto un curioso pregiudizio. S’immagina che il Vicario di Gesù Cristo sia un jettatore, o che abbia il cattiv’occhio. E quando traversa il corso nel cocchio, le donne dabbene cadono ginocchioni: ma sottecchi fannogli le fiche.

I membri delle società secrete gl’imputano, per altri motivi però, ogni sventura e servaggio d’Italia. Certo egli è che di molto semplificherebbesi la questione italiana se non fosse Papa in Roma; ma l’odio dei mazziniani contro Pio IX è riprovevole in tutto ciò che riguarda la persona. Ed eglino ucciderebberlo infallantemente, se i soldati nostri non istessero là per sua difesa. Cotėsto micidio saria tanto ingiusto, quanto quello di Luigi XVI, e non manco inutile. La ghigliottina troncherebbe la vita al vegliardo, che è buono; ma non ucciderebbe il principio della monarchia sacerdotale, che è cattivo.

Non ho chiesta udienza a Pio IX, né ho baciato la sua mano, o la pantofola; il solo contrassegno di riguardo che abbiami mai accordato sono alcune linee ingiuriose nel Giornale di Roma. Ciò non ostante emmi impossibile non prenderne la difesa, quando è accusato innanzi a me.

Ponetevi al luogo di questo troppo illustre e troppo infelice vegliardo. Dopo essere stato il favorito dell’opinione pubblica ed il Lion [p. 104 modifica]d’Europa, egli è stato forzato di sloggiare in gran pressa dal Quirinale, e contare a Gaeta ed a Portici le ore impazienti che inaspriscono lo spirito dell’emigrato. Un grande e antichissimo principio, la cui legittimità non è punto dubbiosa per lui, si violava nella sua persona. I consiglieri ripetevangli à coro: «La è colpa vostra; voi avete condotta a pericolo la monarchia con le vostre idee di progresso. L’immobilità dei reggimenti è la condizione sine qua non della fermezza dei troni: non ne dubiterete più se leggerete la storia dei vostri predecessori.» Egli aveva avuto tempo per abbracciare tale sistema, lorchè le truppe ortodosse gli dischiusero di nuovo il cammino per Roma. Lieto di veder salvo il principio, ei fece a sè stesso il giuramento di nulla più mai compromettere e di regnare immobile, seguendo la tradizione dei Papi. Ma, ecco, gli stranieri, suoi salvatori, gl’impongono condizione d’andare innanzi! Che cosa fare? Non osava nè tutto rifiutare, nè tutto consentire. Fu lungamente fra due; dipoi entrò, suo malgrado, in parola; quindi si sciolse, mirando agl’interessi del futuro, dagl’ impegni contratti mirando agl’interessi del presente. Ora poi bifonchia contro il popolo, contro i Francesi, contro sè stesso. Sa che la nazione è sofferente, ma non ismette dal dire che la sventura della nazione è indispensabile alla sicurezza della Chiesa. I borbogliamenti di sua coscienza vengono [p. 105 modifica]soffocati dalle rimembranze del 1848 che gli si schierano innanzi, e dalla paura della rivoluzione, e gli fanno addosso la canata. Ei pertanto, chiusi occhi ed orecchi, si applica ad uscir tranquillo tra’ suoi sudditi furiosi e tra’ suoi protettori scontenti. Tutti gli uomini senz’energia si governerebbero com’esso, se fossero al suo posto. Nè bisogna condannar lui, ma la debolezza e la vecchiaia.

«La sarebbe lunga raddrizzare i becchi agli sparvieri.»