<dc:title> Il Misogallo </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Vittorio Alfieri</dc:creator><dc:date>1789-1798</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Gli epigrammi le satire, il Misogallo di Vittorio Alfieri (1903).djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Il_Misogallo_(Alfieri,_1903)/Sonetto_XXXII&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20210211121925</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Il_Misogallo_(Alfieri,_1903)/Sonetto_XXXII&oldid=-20210211121925
Il Misogallo - Sonetto XXXII Vittorio AlfieriGli epigrammi le satire, il Misogallo di Vittorio Alfieri (1903).djvu
Gracchiare il dolce usignoletto apprenda,
L’ape a muggire, o ignobil raglio il cigno;
La marra Achille, od altro abbietto ordigno
Tratti, onde altrui risibile si renda:
Venali fogli ebdomadarj imprenda
L’alto Cantor di quest’Eroe ferrigno:
Men turpe ciò, ch’uom Tosco, udir benigno
Gli urli dei Galli, e ch’a impararli intenda. Di scabro bronzo soppannar l’udito,
La lingua armar di sozzo ottuso ferro,
Per poi macchiar l’almo sermone avito? Tuoi Toschi a trarre di sì stolid’erro,1
Febo, aiutami, o tu; s’io pur gradito
Vate indefesso all’are tue mi atterro.
Note
↑I Greci, ancorchè conquistati dalle armi, e non dalle chiacchiere, nè dagl’inganni, dei Romani, non impararono già per tutto ciò la lingua latina; ma bensì i Romani la greca. Chi non si sente, merita calci, e riceveli a maraviglia; ma chi si risente, li restituisce al doppio.