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Il Parlamento del Regno d'Italia/Gaspare Finali

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Gaspare Finali

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Giovanni Carlo Domenico Cagnone Achille Bernardi
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia

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È questi uno de’ più giovani, e diciamolo subito, a rischio anche di offendere la di lui modestia, uno dei più simpatici rappresentanti della nazione nel nuovo Parlamento.

È nato in Cesena il 20 maggio del 1829 dal notajo Giovanni e da Maria Zamboni. Compiti rapidamente gli studî letterarî e filosofici in patria e in Ancona, si recò sedicenne appena — nel 1845 — a seguire le discipline legali nell’università di Roma.

A diciott’anni, nel 1848, al rompersi della guerra per l’indipendenza nazionale i suoi condiscepoli il chiamavano a far parte del comitato universitario istituito nella città eterna, allo scopo di promuovere l’arruolamento per quelle sante battaglie; più tardi, nel periodo repubblicano, il Finali prese parte attiva nei circoli politici, ove di già la sua parola netta e assennata richiamava l’attenzione ed eccitava il plauso degli ascoltatori.

Cadute le sorti italiane, e gli Austriaci tiranneggiando nell’atroce modo che ognun sa le Romagne, il Finali non si ristette un momento dal dividere colla valorosa e ardente gioventù romagnola i rischi d’una perpetua cospirazione.

Ciò non impedivagli tuttavia di continuare i suoi studî legali, e difatto nel 1854 il vediamo abilitato all’esercizio dell’avvocatura. Nè gli studî legali erano i soli cui intendesse la mente il nostro protagonista, il quale, avendo fede nel nazionale risorgimento, prevedeva come incombesse a tutti coloro cui questa ferace terra d’Italia era stata larga d’ingegno, di prepararsi nel modo il più acconcio ad ajutare la patria nello svolgimento de’ suoi grandi futuri destini.

Così avvenne che il Finali percorresse con grande attenzione e molto profitto le pagine di quei sapienti che dettarono le norme le più sicure e le più vantaggiose agli ordinamenti civili, sociali ed economici delle [p. 132 modifica]nazioni, e ch’ei continuasse in pari tempo ad ornarsi lo spirito di quelle cognizioni letterarie che tanto giovano anche all’uomo di Stato, se vuole che il proprio concetto più facilmente sia compreso ed approvato da altri.

Se non che l’affanno ispiratogli dal crudele spettacolo delle patrie sventure, che la polizia papale e l’inferocire del soldato straniero tuttodì rendevano più aspre, era sì cocente nell’animo del bennato giovine, che la prudenza mancogli e nell’aprile del 1855, dopo aver già sopportate infinite molestie da quei governanti, scampò quasi per miracolo ad una mano di soldati portatisi di notte tempo in sua casa, per arrestarlo. Così ei prese come tanti altri infelici il duro cammino dell’esilio, e riparatosi dapprima in Toscana, passò da questa in Piemonte, ore chiese indarno di essere abilitato all’esercizio della sua professione.

Tolta allora in mano la penna scrisse articoli letterarî, e visse e sopportò la penosa vita dell’emigrato con animo nobile e forte.

Sul finire del 1856 accettò impiego presso una società commerciale in Sardegna, ove stette da venti mesi spesso travagliato dalle febbri. Colà apprese la morte dell’infelice suo padre — infelice davvero che nel distaccarsi per sempre da questa terra non poteva avere la suprema consolazione di stringere un’ultima volta al seno l’amato figlio! — e seppe della condanna che il tribunale austriaco aveva pronunciata contro di lui; condanna, tuttavia, che ignorasi qual pena sentenziasse contro il Finali, mentre non pubblicò le sue conclusioni risguardanti i contumaci.

Surse finalmente la beneaugurata primavera del 1859, i cui fiori non dovevan cadere prima che l’Italia vedesse in parte avverata la diuturna speranza del suo riscatto, e il nostro protagonista fu uno de’ più attivi membri d’un comitato che si era prefisso il santo scopo di promuovere l’arruolamento de’ volontarî degli Stati romani nell’esercito sardo.

E ognun ricorda in fatti come arrivassero a torme quei nobili figli dell’Emilia, caldi anch’essi come i Toscani, come i Lombardi e i Veneti di desio di brandire un’arma e di marciare contro il nemico della patria.

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Costituitosi un governo provvisorio a Cesena, il Finali fu tosto chiamato a farne parte; ma ei non potè partir subito per alla volta della sua città natale, che anelava pur tanto di rivedere, mentre imperiose e rilevanti cure il ritenevano a Torino. Appena disbrigato da queste, volò colà, ma non dovette rimanervi a lungo chè ricevette pressante invito di recarsi a Bologna, a reggervi il gabinetto del governatore delle Romagne.

In questo incarico, che non mancava, come ognun sel può credere, d’importanza e di difficoltà, rimase il Finali fino al settembre, epoca in cui il 5.° collegio di Cesena lo deputò a suo rappresentante in seno all’Assemblea dell’Emilia.

Sulle savie e patriottiche deliberazioni di quel Parlamento il nostro protagonista pubblicò una memoria, che ne riassume con molta chiarezza ed ordine la sostanza.

Cessato il governo delle Romagne e costituito quello dell’Emilia, il Finali fu chiamato a far parte del gabinetto del ministro dell’interno, impiego al quale volle rinunciare per accettare la candidatura del 2.° collegio di Cesena, che nell’aprile ultimo decorso lo elesse quasi all’unanimità a proprio deputato presso il primo Parlamento del nuovo regno.

L’avvocato Finali ha già varie volte nella breve sessione trascorsa presa la parola e richiamata e cattivata a sè l’attenzione della Camera. Il suo modo di porgere è de’ più aggradevoli, l’accentuazione delle più nette e omogenee, sobrio il gesto, l’espressione del volto animata, e tale da eccitare propensione in chi l’ode. La sua maniera d’argomentare è logica e convincente; il frizzo — questa grand’arma dell’oratore, quando sia usata parcamente e a proposito — cade spontaneo e opportuno dalle sue labbra, infine la sua facondia non è oziosa, ma va dritta verso lo scopo, che sa raggiungere senza divagamenti o esitanza.

Queste invidiabili qualità, in parte naturali e in parte acquisite, aggiunte ad un solido fondo di cognizioni, fanno fin da questo momento presagire, senza tema d’andare errati, che il giovine deputato di Cesena, [p. 134 modifica]il quale ha così bene esordito nella difficile ed importante sua missione, sarà per divenire uno de’ più diserti oratori e de’ più utili membri dell’illustre consesso del quale ci siam fatti istoriografo.

Ultimamente il governo del Re, che, ne andiam convinti, fa esso pure dell’avvocato Finali quel caso che merita, lo ha insignito della decorazione dell’ordine Mauriziano.