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Il Saggiatore/41

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Capitolo XLI

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Passi ora V. S. Illustrissima alla seconda proposizione. "Ait Aristoteles, motum causam esse caloris; quam propositionem omnes ita explicant, non quasi motui tribuendus sit calor, ut effectus proprius et per se (hic enim est acquisitio loci), sed quia, cum per localem motum corpora atterantur, ex attritione autem calor excitetur, mediate saltem motus caloris causa dicitur: neque est quod hac in re Aristotelem reprehendat Galilæs, cum nihil ipse adhuc afferat ab eiusdem dictis alienum. Dum vero ait præterea, non quamcumque attritionem satis esse ad calorem producendum, sed illud etiam potissimum requiri, ut partes attritorum corporum aliquæ per attritionem deperdantur; hic plane totus suus est, nec quicquam ab alio mutuatur. Cur autem hæc partium consumptio ad calorem producendum requiritur? An quod ad eumdem calorem concipiendum rarescere corpora necesse sit, in omni vero rarefactione comminui eadem corpora videantur ac minutissimæ quæque particulæ evolent? At rarefieri corpora possunt, nulla facta partium separatione ac proinde neque consumptione. An ideo hæc comminutio requiritur, ut prius particulæ illæ, utpote calori concipiendo magis aptæ, calefiant, hæ vero postea reliquo corpori calorem tribuant? Nequaquam: licet enim particulæ illæ, quo minutiores fuerint, magis calori concipiendo aptæ sint, ex quo fit ut sæpe ex attritione ferri excussus pulvisculus in ignem abeat, illæ tamen, cum statim evolent aut decidant, non poterunt reliquo corpori, cui non adhærent, calorem tribuere."

Vuole il Sarsi nel primo ingresso di questa disputa concordare il signor Mario ed Aristotile, e mostrar che ambedue àn pronunziato l’istessa conclusione, mentre l’uno dice ch’il moto è causa di calore, e l’altro, che non il moto, ma lo stropicciamento gagliardo di due corpi duri; e perché la proposizione del signor Mario è vera, né ha bisogno di chiose, il Sarsi interpreta l’altra con dire, che se bene il moto, come moto, non è cagione del caldo, ma l’attrizione, nulladimeno, non si facendo tale attrizione senza moto, possiamo dire che almanco secondariamente il moto sia causa. Ma se tale fu la sua intenzione, perché non disse Aristotile l’attrizione? io non so vedere perché, potendo uno dir bene assolutamente con una semplicissinia e propriissima parola, ei debba servirsi d’una impropria e bisognosa di limitazioni ed in somma d’esser finalmente trasportata in un’altra molto diversa. In oltre, posto che tale fusse il senso d’Aristotile, egli però è differente da quello del signor Mario; perché ad Aristotile basta qualunque confricazione di corpi, ben che tenui e sottili, e fino dell’aria stessa; ma il signor Mario ricerca due corpi solidi, e stima che il volere assottigliare e tritar l’aria sia maggior perdimento di tempo che quello di chi vuole (com’è in proverbio) pestar l’acqua nel mortaio. Io non son fuor d’opinione che possa esser che la proposizione sia verissima, presa anco nel semplicissimo senso delle parole; e forse potrebbe esser ch’ella uscisse da qualche buona scuola antica, ma che Aristotile, non avendo ben penetrata la mente di quegli antichi che la profferirono, ne traesse poi un sentimento falso: e forse non è questa sola proposizione vera in se stessa, ma appresa in sentimento non vero nella filosofia peripatetica. Ma di questo ne toccherò qualche cosa più a basso.

Ora seguitiamo il Sarsi, il quale vuole, contro al detto del signor Mario, che senza verun consumamento de’ corpi che si stropicciano sin che si riscaldino, si possa eccitare il calore; il che va provando prima con discorso, poi con esperienze. Ma quanto al discorso, io posso sbrigarmi in una parola sola da tutte le sue instanze; poi che, facendo egli alcune interrogazioni al signor Mario, egli stesso risponde per quello, e poi confuta le risposte; tal che se io dirò che il signor Mario non risponderà in quella guisa, bisogna che il Sarsi si quieti.

E veramente, quanto alla prima risposta, io non credo che il signor Mario dicesse che, per riscaldarsi, bisogni prima che i corpi si rarefacciano, e che rarefacendosi si sminuzzolino, e che le parti più sottili volino via, come scrive il Sarsi: dalla qual risposta mi par di comprendere ch’ei discordi dalla mente del signor Mario, e che, convenendo in questa azzione considerare il corpo che ha da produrre il calore e quello che l’ha da ricevere, il Sarsi stimi che il signor Mario ricerchi la diminuzione e consumamento di parti nel corpo che ha da ricevere il calore; ma io credo ch’ei voglia che quello che l’ha da produrre sia quello che si diminuisce, sì che in somma non il ricevere, ma il conferir calore, sia quel che fa la diminuzione nel conferente. Come poi si possano rarefare i corpi senza alcuna separazion di parti, e come cammini questo negozio della rarefazzione e condensazione, del quale mi par che con molta confidenza parli il Sarsi, l’averei ben volentieri veduto più distintamente dichiarato, essendo, appresso di me, una delle più recondite e difficili questioni della natura.

È manifesto ancora che il signor Mario non averebbe data la seconda risposta, cioè che tal consumamento di parti sia necessario acciò che prima si riscaldino queste parti più minute, come più atte per la lor sottigliezza a riscaldarsi, e da esse poi venga riscaldato il resto del corpo; perché così la diminuzione toccherebbe pure al corpo che ha da esser riscaldato, ed il signor Mario la dà a quello che ha da riscaldare. Devesi però avvertire che bene spesso accade, essere uno istesso corpo quello che produce il calore e quello che lo riceve: e così martellandosi sopra un chiodo, le parti sue, nel soffregarsi violentemente, eccitano il calore, e l’istesso chiodo è quello che si riscalda. Ma quello che ho voluto sin qui dire è, che il consumamento di parti depende dall’atto del produrre il calore, e non da quello del riceverlo, come per avventura più distintamente mi dichiarerò più di sotto. In tanto sentiamo l’esperienze onde il Sarsi pensa d’aver palesato, potersi con l’attrizione produr calore senza consumamento alcuno.