Il Tesoretto (Assenzio, 1817)/XVIII
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XVIII.
Consiglio, che non mente;
In qualche parte sia,
Tu non usar bugia:
Ch’uom, che dice menzogna
Ritorna ’n gran vergogna,
Perciocchè ha breve corso.
E quando vi se’ scorso,
Se tu a le fïate
Dicessi veritate,
Non ti saria creduta.
Ma se tu hai saputa
La verità d’un fatto,
E poi per dilla ratto
Grave briga nascesse;
Certo, se la tacesse
Se ne fossi ripreso,
Saria da me difeso.
E se tu hai parente,
O altro ben vogliente,
Cui la gente riprenda
D’una laida vicenda;
Tu déi essere accorto
A diritto, et a torto
In dicer ben di lui:
E per fare a colui
Discerner ciò, che dice;
E poi quando ti lice,
Del fatto, onde s’imbriga.
Cosa, che tu prometti,
Non voglio, che l’ometti:
Comando, che s’attenga,
Pur che mal non t’avvenga.
Ben dicon buoni, e rei,
Se tu fai ciò, che déi,
N’avvenga ciò, che puote.
Sai poi chi ti riscuote
S’un grande mal n’avviene?
Foll’è chi teco tiene.
Ch’i’ tegno ben leale
Chi per un piccol male
Sa schifare un maggiore,
Se ’l fa per lo migliore;
Sì, che lo peggio resta.
E chi ti manifesta
Alcuna sua credenza,
Abbine ritenenza:
E la lingua sì lenta,
Ch’un altro non la senta
Sanza la sua parola:
Ch’i’ già per vista sola
Vidi manifestato
Un fatto ben celato.
E chi ti dà prestanza
Sua roba ad iserbanza,
Rendila sì a punto,
Che non sia ’n fallo giunto.
E chi di te si fida
Sempre lo guarda, e guida:
Nè già di tradimento
Non ti venga talento.
E vo’, ch’al tuo Comune,
Rimossa ogne ragiune,
Sie diritto, e lëale:
E già per nullo male,
Che ne possa avvenire
Non lo lasciar perire.
E quando sei ’n conseglio
Sempre ti poni al meglio.
Nè prego, nè temenza