Il Tesoro (Latini)/Illustrazioni al Libro IV/Capitolo IV

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Capitolo IV

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Brunetto Latini - Il Tesoro (XIII secolo)
Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
Capitolo IV
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Capitolo IV.


Insegna il Tesoro: «Delle moriche l’uomo tinge le porpori di diversi colori.» Usandosi nella nostra lingua purpureo, come equivalente a rosso, comunemente si crede che tutta la porpora fosse di tal colore. È falso. Leggansi, Amati De restitutione purpurarum, Cesena 1784: Capelli, De antiqua et nupera purpura, ibid: Michele Rosa, Dissertazione delle porpore, e delle materie vestiarie presso gli antichi, 1776.

Scrive l’Amati: Non bisogna intendere colla parola porpora un colore unico, ma un genere particolare di tintura, per la quale usavano colori animali, cioè il liquore di certe conchiglie, e che differiva da un’altra specie di tintura, la vegetale, ove non adoperavano che piante, colores herbacei (cap. I. parte I.)

Nella prima era compresa un’infinita varietà di colori: poiché oltre la porpora ordinaria, che era rossa, ne tingevano di bianca, di nera, e quasi di tutte le gradazioni. Si contano ben nove colori semplici di porpora, dal bianco puro, al nero, e cinque mischiati. I primi sono, il nero, il grigio (lividus), [p. 123 modifica]il violetto, il rosso, il bleau oscuro o chiaro, il giallo, il rossastro, ed il bianco (Ibid.)

La bellezza e varietà dei colori, non provenivano solamente dalla diversità delle conchiglie, ma altresì dal loro apparecchio, e dal loro mischiamento. Per ottenere la porpora rossa oscura, inzuppavano la lana nel liquore della purpura, e poi ch’era pettinata, in quello del buccinum. Per ottenere il violetto, usavano il processo contrario. Era anche una manipolazione per determinare il grado di cottura del colore.

I Fenici possedevano ancora l’arte di dare al colore un cotal lustro cangiante che facevagli riflettere differenti gradazioni, e che sembra avere avuto per essi molta attrattiva (Heeren, Pensieri sulla politica e sul commercio degli antichi, compendiati da C. Cantù. Documenti alla Storia universale, lib. II).

Ora, se purpureo vuol dire colore lucido moltiforme, o cangiante, vediamo di tratto perchè Virgilio in fine del libro IV delle Georgiche, cantò che l’Eridano mette foce in mare purpureum. Perchè pretendere che qui sia un errore geografico, confondendosi l’Adriatico col mar Rosso? Virgilio, nato a Mantova, non doveva ignorare il coreo del Po. Perchè pretendere vi sia un seicentismo, che sarebbe assurdo nel bello stile del maestro di Dante? Purpureo mare, vuol dire, mare che cangia colore ad ogni agitarsi dei flutti e dei venti, per cui non troviamo colore che dai poeti non sia stato veduto nel mare.