Il Trecentonovelle/CCXV
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Jacopo di ser Zello mena uno garzone contadino da Altomena per farlo sperto orefice; e certi suoi compagni li mostrano come meni lo smalto, di che si ritorna a casa.
Non volle Jacopo di ser Zello nostro cittadino che uno garzonetto figliuolo d’uno contadino stesse in contado acciò che non gli fosse furato il porco. Questo Jacopo, essendo ricco orefice, andando a suo’ luoghi ad Altomena, ed essendo tra certi contadini, cominciò a ragionare che la spazzatura della sua bottega valea ogni anno piú d’ottocento fiorini; e voltosi verso loro, disse:
- E voi state sempre qui poveri a rivolgere le zolle!
E veggendo uno figliuolo d’uno ivi presente, che avea forse sedici anni, disse se volea darlilo, che lo avviarebbe e farebbelo buon uomo. Al contadino parve mill’anni, credendo subito che divenisse ricco, e spezialmente considerando alla valuta della spazzatura ch’egli avea detto.
E tornando Jacopo a Firenze, ne menò il detto garzone con seco, e l’altro dí vegnente il menò alla sua bottega; e passato in uno fondachetto, dove lavoravono due piacevoli uomeni, li quali l’uno era chiamato Miccio e l’altro Mascio, il raccomandò loro, dicendo che come a sua cosa gl’insegnassono ben l’arte. Costoro dissono di farlo: e partitosi un poco Jacopo da loro, dice l’uno all’altro:
- Questo nostro maestro è un nuovo pesce, che non gli pare che noi abbiamo tanto a fare a digrossare l’ariento, che ci mena di contado contadini a dirozzare.
- Alle guagnele! - dice Mascio, - che io gl’insegnerò come fia degno.
E andato su per una scaletta, il detto Mascio, come s’era composto col Miccio, salí su un palco dove menavano lo smalto, e là su chiamò il garzone; il quale giunto suso, e Mascio mettendosi mani alle brache, dice a costui:
- Va’, mena qua.
Il giovene tutto vergognoso si volge d’altra parte. E Mascio dice:
- Va’, mena qua, ti dico.
Risponde il garzone:
- Io non so che voi mi vogliate far fare; io non ci venni per questo.
E Mascio, dettogli ancora che menasse, e ’l giovane aombrando e contradicendo, però che avea ragione, Miccio, che era di sotto e ogni cosa udía, chiama Jacopo e dice:
- Voi ci menate gent’ebrea, e voleteli fare orafi! quel vostro da Altomena è sul palco, e non vuol fare cosa che Mascio gli dica.
Come Mascio sente Jacopo di sotto, grida forte al garzone, che meni; e dice forte:
- O Jacopo, e’ non vuole menare.
Jacopo che avea il pensiero al menare dello smalto, grida, volgendosi in su:
- Mena, che sie mort’a ghiado, e’ mi sta molto bene, io ho tolto a dirozzare villani: mena, che tu sia tagliato a pezzi.
Il giovane, sentendosi tanto dire, andò verso Mascio, per ubbidire al suo maestro, e non senza grande e temerità e vergogna. E Mascio, veggendo cosí venire il semplice verso lui, rimise la cosa naturale nel debito luogo, e lui menò verso il menatoio dello smalto, dicendo:
- Figliuolo, perché tu non intenda cosí bene, nello ’mprincipio non te ne curare, ché io feci anche io cosí io -; e cosí gli fece menare lo smalto poi da dovero quasi tutto dí.
L’altra mattina vegnente, o per la prima novità di Mascio, o per la fatica d’avere menato lo smalto, il garzone, sanza dire alcuna cosa, si tornò al padre ad Altomena; e ’l padre, maravigliandosi, domandava della cagione. Il garzone dicea:
- Mandatevi un altro che appari quell’arte, ché io non son buono a ciò.
E tanto lo scongiurò che ’l garzone li disse ciò che Berta filò. Il padre, smemorato della novità del fatto, fra sé stesso dicea: «È questa la spazzatura che valea fiorini ottocento? deh! dàgli il malanno a lui e agli altri mercatanti, se sono cosí fatti». E passati certi giorni, tornò Jacopo ad Altomena; trovandosi col padre e col garzone, si dolea che se n’era venuto, e come per la prima cosa, ciò era il menare dello smalto, egli avea preso ombra, ed erasene venuto; e che chi si ponea ad un’arte, non che dovesse menare lo smalto quando gli era detto, ma, se gli fosse detto mena il diavol di ninferno , il dovea fare; sí che non si vuol fare cosí dell’o ci .
- Io l’avea accomandato a due migliori lavoranti che io avesse mai in bottega, ed èvvi tale che guadagna l’anno mille fiorini, e ha nome Miccio, che ’l dovete conoscere pur al nome; ma sapete che vi dico? statevi nelle zolle, e voi zolle averete.
Il padre disse:
- Jacopo mio, io credo che gli uomeni nascono con le venture in mano: sta pur che le sappiano pigliare; e cosí sono di quelli che nascono con le sciagure in mano, e questo mio figliuolo è di quelli: steasi in contado tra le zolle, e forse fia il suo megliore.
E mai non disse piú oltre, e cosí rimase la cosa.
Assai vollono dimostrare questi due piacevoli uomeni a Jacopo, se elli l’avesse voluto intendere, che non erano con lui a quello mestiere per dirozzare contadini. E ciò che feciono, non feciono perché fosse occulto, ma perché la novella si sapesse d’attorno, riputandosi d’esserne tenuti piú piacevoli; però che chi udío poi la novella, tre cotanti rideano di Jacopo, che essendo di sotto biestemmava il garzone perché non volea menare, che non rideano o di loro o del garzone.