Il Trecentonovelle/CLXXII

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Novella CLXXII (frammento)

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- ...denaio de’ suoi; e se gli avessi aúti, se gli averebbe fatti dare, e averebbe pagato l’oste. Ma qui mi pare che ci sia una gran malizia: che ’l fiorentino colse tempo sul principio della messa e disse al frate che costui avea difetto, e che gli dicesse certe orazioni; e venendo poi costui al frate, udito che disse: «Va’ e vieni a terza, e io farò ciò che fia da fare», Nuccio avea creduto che dica di darli i danari, ed egli averà detto delle orazioni. Nuccio Smemora allora piú gridava e dicea che gli avea promesso Roma e Toma. I frati diceano:
- Nuccio, sappi meglio fare un’altra volta che sia certo che colui averà fatto il desinare, e stato nell’albergo alle tue spese, però che dee essere tutto proprio come frate Avveduto ha detto.
Costui gridava e quasi come aombrato se n’andò al Vescovo; il quale fece richiedere il frate; e carminandosi la questione per tutte le congiunture, fu veduto che ’l cavaliero Gonnella era stato cattiva gonnella per l’oste, tale che gli dié il mal verno; e con lettere e con amici, scrivendo a Firenze di questo cavaliero e chi fosse, giammai non ne poté sentire alcuna cosa; però che ’l Gonnella si tornò al marchese a Ferrara, dond’era partito, di che malagevole sarebbe stato a rinvenirlo.
E Nuccio (che per lui si dice Nuccio Smemora) non facendo le cose sue caute, credendo guadagnare, perdé grossamente, e ancora ne rimase buon tempo come aombrato, come il Gonnella l’avea fatato.