Il Trecentonovelle/CVII

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Novella CVII

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CVI CVIII

Volpe degli Altoviti, essendo a tagliere con uno, taglia testicciuole di cavretto, e ’l compagno, mentre che taglia, si mangia l’occhi; il quale, ciò veggendo, gli proffera si mangi anco i suoi.

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Io ho pur voglia di raccontare una brieve novelletta, e piacevole, la quale col piú bel motto del mondo gittò a mensa uno degli Altoviti chiamato il Volpe. Il quale essendo ad un suo luogo in una villa che si chiama Palazzuolo, presso all’Ancisa a un miglio, gli capitorono di maggio certi Pratesi che andavano verso Arezzo; ed elli per sua cortesia li ritenne la sera a cena e albergo. Ed essendo venuta l’ora della cena, e postosi a tavola, vennono certe testicciuole di cavretto; e ’l Volpe, essendo a tagliere con uno di loro, recasi innanzi una testicciuola e cominciala a partire: e messo un occhio sul tagliere, il Pratese, sanza aspettar altro, subito il piglia e manucaselo. E ’l Volpe pone in sul tagliere l’altro; e come fu in sul tagliere, e quelli fa il somigliante. Quando il Volpe vede questo, pon giuso il coltello, e voltosi verso costui, alzando le mani agli occhi, e sciarpatili, fu tutt’uno, dicendo a questo Pratese:
- Deh, mangiati anco questi per lo mio amore.
Il Pratese conobbe il motto e vergognossi, dicendo che avea il pensiero altrove. Dissono i compagni:
- Per certo tu se’ assai piacevole compagnone a tagliere.
E costui disse:
- Volpe mio, io l’ho in boto: che poi che gli occhi d’una giovane m’uccisono, essendo da loro morto, io mi botai sempre mangiare gli occhi, ovunche io gli trovasse, com’uomo che fo una mia vendetta.
Il Volpe udendo questo, levasi e dilungasi da lui su uno deschetto:
- Alle guagnele! se codesto è, quelli che io ti profferea tu non se’ per avere; e se mai tu mangerai piú meco, io vorrò il salvocondotto per gli occhi, o tu ti anderai con Dio.
L’amico lasciava pur dire e foderavasi, dando al tagliere il comandamento dello sgombrare, tale che se ’l Volpe avesse posto piú occhi che non furono mai di cera appiccati a Santa Lucia, tutti se gli arebbe mangiati. E cosí si recò la cattività in ischerzo, ridendosi del suo costume. E ’l Volpe poi sel menò una volta a cena, e non gli dié testicciuole né occhi, ma diégli peducci, sí ch’egli apparasse a sonar le sampogne, o di sonare zuffoli diventasse buon maestro. E cosí con piacere e con diletto, e con nuove vivande venne sí digrossando questo Pratese, che era uno grandissimo manicatore, che rado poi volle mangiare col Volpe, assai lo invitasse.
Grande scostume è, stando a un tagliere con un altro, che uno non ha tanta temperanza che si possa un poco aspettare, e non fa la ragione del compagno. A molti n’è stata fatta tanta vergogna che sarebbe meglio che avessono fatto tre dí dieta.