Il Trecentonovelle/CXL

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Novella CXL

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CXXXIX CXLI

Tre ciechi fanno compagnia insieme, e veggendo la loro ragione a Santa Gonda, vegnono a tanto che si mazzicano molto bene insieme, e dividendo l’oste e la moglie, sono da loro anco mazzicati.

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Nel popolo di Santo Lorenzo presso a Santa Orsa nella città di Firenze tornavano certi ciechi, di quelli che andavono per limosina, e la mattina si levavono molto per tempo, e chi andava alla Nunziata, e chi in Orto San Michele, e chi andava a cantare per le borgora, e spesse volte deliberavano che, quando avessono fatta la mattinata, si trovasseno al campanile di Santo Lorenzo a desinare, dove era uno oste che sempre dava mangiare e bere a’ loro pari. Una mattina essendovene due a tavola, e avendo desinato, dice l’uno, ragionando del loro avere, o della loro povertà:
- Io accecai fors’è dodici anni, e ho guadagnato forse mille lire.
Dice l’altro:
- Ohi tristo a me sventurato, ch’egli è sí poco che io accecai, che io non ho guadagnato duecento lire.
Dice il compagno:
- O quant’è che tu accecasti?
Dice costui:
- È forse tre anni.
Giugne uno terzo cieco, che avea nome Lazzero da Corneto, e dice:
- Dio vi salvi, fratelli miei.
E quelli dicono:
- Qual sei tu?
E quelli risponde:
- Sono al buio, come voi -; e segue: - E che ragionate? E quelli contorono il tempo de’ loro guadagni.
Disse Lazzero:
- Io nacqui cieco, e ho quarantasett’anni; s’io avessi e’ danari che io ho guadagnati, io sarei il piú ricco cieco di Maremma.
- Bene sta, - dice il cieco di tre anni, - che io non truovo niuno che non abbia fatto meglio di me.
E facendo cosí tutti e tre insieme, dice questo cieco:
- Di grazia, lasciamo andare gli anni passati; vogliàn noi fare una compagnia tutti e tre, e ciò che noi guadagnamo, sia a comune; e quando andremo fuori tutti tre, noi andremo insieme, pigliandoci l’uno con l’altro; se bene bisognerà chi ci meni, il piglieremo.
Tutti s’accordorono, e alla mensa s’impalmorono e giurorono insieme. E fatta questa loro compagnia alquanto in Firenze, uno che gli avea uditi fermare questo loro traffico, trovandogli uno mercoledí alla porta di Santo Lorenzo, dà all’uno di loro un quattrino, e dice:
- Togliete questo grosso tra tutti tre voi -; e continuando, dove costoro si fermavano insieme a certe feste, costui facea sempre limosina d’uno quattrino, dicendo: - Togliete questo grosso tra tutti e tre.
Dice colui, che lo riceve alcuna volta:
- Gnaffe, e’ ci è dato un grosso che a me par piccolo com’uno quattrino.
Dicono gli altri due:
- O non ci cominciare già a volere ingannare.
Questi rispose:
- Che inganno vi poss’io fare? quello che mi fia dato, io metterò nella tasca, e cosí fate voi.
Disse Lazzero:
- Fratelli, la lealtà è bella cosa.
E cosí si rimase; e ciascuno ragunava; e deliberarono tra loro ogni capo d’otto dí mescolare il guadagno e partire per terzo.
Avvenne che, ivi a tre dí che questo fu, era mezzo agosto; di che si disposono, come è la loro usanza, d’andare alla festa della nostra Donna a Pisa; e movendosi ciascuno con un suo cane a mano, ammaestrato, come fanno, con la scodella, si misono in cammino cantando la intemerata per ogni borgo; e giunsono a Santa Gonda un sabato, che era il dí di vedere la ragione e partire la moneta; e a uno oste, dove albergorono, chiesono una camera per tutti e tre loro, per fare li fatti loro quella notte; e cosí l’oste la diede loro.
Entrati questi ciechi con li cani e co’ guinzagli a mano, quando fu il tempo d’andare a dormire nella detta camera, disse uno di loro, che avea nome Salvadore:
- A che ora vogliam noi fare la nostra faccenda?
Accordoronsi, quando l’oste e la sua famiglia fosse a dormire; e cosí feciono. Venuta l’ora, dice il terzo cieco che avea nome Grazia, ed era quello che era stato men cieco:
- Ciascuno di noi segga, e nel grembo noveri gli danari ch’egli ha, e poi faremo la ragione; e colui che n’avrà piú, ristorerà colui che n’avrà meno.
E cosí furono d’accordo, cominciando ciascuno annoverare. Quando ebbono annoverato, dice Lazzero:
- Io trovo, secondo ho annoverato, lire tre, soldi cinque, danari quattro.
Dice Salvadore:
- E io ho annoverato lire tre, danari due.
Dice Grazia:
- Buono, buono; io ho appunto quarantasette soldi.
Dicono gli altri:
- O che diavolo vuol dire questo?
Dice Grazia:
- Io non so.
- Come non sai? che déi avere parecchi grossi in ariento piú di noi, e tu ce la cali a questo modo: è la compagnia del lupo la tua: tu hai nome Grazia, ma a noi se’ tu disgrazia.
Dice costui:
- Io non so che disgrazia; quando colui dicea che ci dava un grosso, a me parea egli uno quattrino; e che che si fosse, come io vi dissi, io il mettea nella tasca; io non so; io serei leale come voi in ogni luogo, che mi fate già traditore e ladro.
Dice Salvadore:
- E tu se’, poiché tu ci rubi il nostro.
- Tu menti per la gola, - dice Grazia.
- Anzi menti tu.
- Anzi tu - , e cominciansi a pigliare e dare delle pugna; e danari caggiono per lo spazzo.
Lazzero, sentendo cominciata la mischia, piglia la sua mazza, e dà tra costoro, per dividerli; e quando costoro sentono la mazza, pigliano le loro e cominciansi a batacchiare, e tutti li danari erano caduti per lo spazzo. La battaglia cresce, gridando, e giucando del bastone; li loro cani abbaiavono forte, e tale pigliava per lo lembo co’ denti or l’uno or l’altro; e’ ciechi, menando le mazze, spesso davano a’ cani, e quelli urlavano: e cosí parea questo uno torniamento. L’oste, che dormía di sotto con la moglie, dice alla donna:
- Abbiàn noi demoni di sopra?
Levasi l’uno e l’altro, e tolgono il lume e vanno su, e dicono:
- Aprite qua.
I ciechi, che erano inebriati su la battaglia, udivano come vedeano. Di che l’oste pinse l’uscio per forza, e aprendolo, intrò dentro, e volendo dividere i ciechi, ebbe d’una mazza nel viso; di che piglia uno di loro, e gittalo in terra:
- Che vermocane è questo, che siate mort’a ghiado? - e pigliando la mazza sua, dando a tutti di punta, dicea: - Uscitemi di casa.
La donna dell’oste accostandosi e schiamazzando, come le femmine fanno, uno cane la piglia pel lembo della gonnella, e quanto ne prese, tanto ne tirò. Alla per fine perdendo costoro la lena, ed essendosi molto bene mazzicati, e chi era caduto di qua e chi di là, dice Lazzero:
- Oimè, oste, che io son morto.
Dice l’oste:
- Dio gli ti mandi, uscitemi testè di casa.
E quelli tutti si dolgono e dicono:
- Oimè, oste, vedi come noi stiamo -; che aveano li visi lividi e sanguinosi - e peggio, che tutti li nostri danari ci sono caduti.
Allora l’oste dice:
- Che denari, che siate mort’a ghiado, che m’avete presso che cavato l’occhio?
Dice Lazzero:
- Perdonaci, che noi non veghiamo piú che Dio si voglia.
- Io vi dico: uscitemi di casa.
E quelli dicono:
- Rico’ ci li danari nostri, e faremo ciò che tu vorrai.
L’oste fa ricogliere i danari; i quali non assegnò mezzi, e disse:
- Qui ha forse cinque lire; voi m’avete a dare delli scotti lira dua, restacene lire tre; io voglio andare al Vicario quassú, e voglio che mi faccia ragione, che m’avete fedito, e alla donna mia da’ vostri cani è stata stracciata la gonnella.
Quando costoro odono questo, tutti ad una voce dicono:
- Amico, per l’amor di Dio, non ci volere disfare; togli da noi quello che possiamo, e anderenci con Dio.
L’oste disse:
- Poiché cosí è, io non so se mi perderò l’occhio; datemi tanto che io mi possa far medicare, emendate la cotardita della donna mia, che pur l’altro dí mi costò lire sette.
Brevemente, li ciechi dierono all’albergatore li danari caduti, che erano nove lire, soldi due, e altrettanti che n’aveano addosso; e cosí di notte, pregorono l’oste che perdonasse loro, e andaronsene cosí vergheggiati, chi sciancato, e chi col viso infiato, e chi col braccio guasto, per bella paura tanto oltre, che furono sul contado di Pisa, la mattina. Quando furono a una taverna appiè di Marti, cominciorono a rimbrottare l’uno l’altro; e l’oste, veggendoli sanguinosi e accaneggiati, si maravigliava, dicendo:
- Chi v’ha cosí conci?
E quelli dicono:
- Non te ne caglia - : e ciascuno addomanda uno quartuccio di vino, piú per lavarsi le busse o le percosse del viso, che per bere.
E fatto questo, dice Grazia:
- Sapete che vi dico? io facea in fede i fatti vostri, come i miei, e non fu’ mai né ladro né traditore; voi m’avete dato di ciò uno buon merito, che io ne sono quasi disfatto in avere e in persona: egli è meglio corta follia che lunga, e farò come colui che dice: «Uno, due e tre, io mi scompagno da te»; e con voi non ho piú a fare nulla, e l’oste ne sia testimone -; e vassi con Dio.
Dicono questi altri:
- Tu hai nome Grazia, ma tale la dia Dio a te, chente tu l’hai data a noi.
E andossene solo a Pisa: e Lazzero e Salvadore se n’andorono anche alla festa con questa tempesta. E perché oltre all’essere ciechi, erano tutti laceri dalle bastonate, fu loro fatte a Pisa tre cotanti limosine; onde ciascuno di quelle mazzate, non che se ne dessi pace, ma e’ non averebbon voluto non averle per tutto il mondo, solo per l’utilità che se ne vidono seguire.