Il buon cuore - Anno X, n. 16 - 15 aprile 1911/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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Religione Società Amici del bene

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PER LE MISSIONI


I PROTESTANTI E NOI



Dal rapporto del grande Congresso missionario protestante, tenutosi di recente a Edimburgo nella Scozia, col titolo di World Missionary Conference, si rileva che vi intervennero 1200 delegati dalle parti più remote del mondo.

Le adunanze si rinnovarono tre volte al dì per dieci giorni e l’Assembly hall capace di 3000 persone era sempre gremita per ogni seduta, tantochè nel discorso inaugurale il pastore Walace Williamson potè dire che mai, dai Concili ecumenici in poi, si era avuto una sì importante riunione.

Il nuovo Re Giorgio d’Inghilterra inviò un entusiastico messaggio, e Roosevelt scrisse dicendosi dolente di non poter intervenire a rappresentare la Chiesa riformata d’America.

Il grande risultato pratico della Conferenza fu la compilazione e l’approvazione del piano di un gran Comitato missionario internazionale.

Dei 1200 delegati, 600 rappresentavano sette e società missionarie americane. Le rappresentanze erano proporzionate all’annuo contributo di ciascuna società o chiesa per l’opera di evangelizzazione. Gli Stati-Uniti ed il Canadà, secondo le cifre sottoposte alla Conferenza, danno metà della somma che il mondo protestante spende annualmente per le missioni in tutto il mondo.

Le cifre presentate al Congresso sono quelle del 1907. La contribuzione dell’America nel 1907 fu di dollari 9.776.305 e cioè lire italiane 48.881.525. Questo contributo, che è pure enorme, nel 1909 è stato di dollari 11.317.000 — uguali a lire it. 56.585.000.

Furono presi ad esame i vari metodi d’apostolato, e fu in special modo incoraggiato ed encomiato il così detto movimento missionario dei laici testè costituitosi in America, come quello che richiama ogni cristiano al dovere di cooperare per la diffusione del Regno di Cristo nel mondo.

Si fece plauso all’opera di assistenza privata che attesta il fenomenale interesse dei popoli protestanti alle Missioni. Sono infatti ben 338 le Associazioni che mandano missionari tra gl’infedeli e 450 quelle Società che zelano la propagazione della fede col raccogliere offerte. La somma totale raccolta da queste associazioni durante l’anno 1907 ascende lire it. 123.382.900.

Vi sono nelle missioni protestanti 19.280 missionari, inclusi i medici ed i cooperatori laici, 5045 ministri ordinati indigeni e 92,918 aiutanti catechisti.

Dividendo la somma essi vengono a percepire annualmente oltre L. 1469 per ciascuno.

Stando invece al resoconto ufficiale pubblicato per cura della S. Congregazione di Propaganda, alla [p. 126 modifica]del 1906 il numero dei sacerdoti cattolici viventi in territorio di Missione era di 42.000, mentre i Fratelli coadiutori sommavano a 17.00o. Calcolando in cifra rotonda a 7 milioni le entrate dell’Opera della Propaga. zione della Fede, ed a 3 milioni quelle della S. Infanzia, si otterranno io milioni, che scompartiti fra i 59 mila missionarii permettono un sussidio annuo di circa 170 Lire a testa. E notisi che nelle cifre sopraddette non figurano le Religiose, di cui nella sola Africa si trovano 278 Comunità, con 3355 Suore.

È vero che il missionario cattolico non domanda per sè se non il vitto ed il vestito, è vero che egli non porta con sè una famiglia, è vero che egli dopo sei, otto o dieci anni di lavoro non esige una pensione nè pingue nè scarsa, tuttavia ognuno può notare l’enorme sproporzione delle cifre. Non sono il vitto ed il vestito il problema del missionario: vi sono scuole da istituire e sostenere, malati a migliaia da curare, attrezzi da provvedere per promuovere l’incivilimento col lavoro materiale, lunghi viaggi e dispendiosi, nuovi campi d’azione da aprire e che richiedono nuove fondazioni, ecc., ecc.

Considerate tutte queste circostanze, vedano i caritatevoli lettori a che cosa possono servire le L. 170, di cui sopra, se la Divina Provvidenza non apre altre vie.....

Ma intanto le nazioni protestanti vanno all’avanguardia del progresso nei continenti ignoti e tengono ormai nelle loro mani le bilancie e i tesori del mercato mondiale, laddove i cattolici stanno ad orecchiare alla porta.

Che se poi consideriamo particolarmente l’Italia, dobbiamo arrossire dalla vergogna per l’abbandono, per la diffidenza, dirò ancora per il disprezzo con cui la maggioranza ignorante nel suo anticlericalismo di cattiva lega, abdica la sua dignità nazionale e preferisce ripiegare la bandiera della patria piuttostochè vederla sventolare in alto e lontano, accanto al vessillo della Croce, su quelle terre e su quei mari che già videro la gloria di San Giorgio e di San Marco, e sentirono dolce come una carezza e sacro come una benedizione il soave idioma d’Italia!

Contessa Rosa di San Marco.


PASSIFLORA

(LEGGENDA).


Dal Golgota fatai l’erta salìa
il Martire divino,
la traccia del cammino
facendo tutta del suo sangue rossa.
La natura, commossa,
pel deicidio un fremito sentìa;
di nubi il sol la faccia ricoprìa,
del maggior tempio si squarciava il velo
e i fiori sullo stelo
piegavano la testa.
Allora che dal margin della via
mosse la voce mesta
un fiorellin dalla dimessa vesta:
— O pietoso Signore,
che t’offri a morte vittima innocente,
tu che avesti per ogni sofferente
parole ognor d’amore,
per gli umili un sorriso
e per la gente oppressa
ineffabil promessa il paradiso,
volgi uno spardo a me, povero fiore.
Curvato sotto il peso della croce,
udì la tenue voce
il Nazzareno e volta la pupilla
al fiorellin — nella lontana storia
disse, di me tu serberai memoria. —
Del suo sangue una stilla
imporporò la zolla
dove il fiore mostrava la corolla.
Da allor, quali portenti i
gli spin, la lancia, i chiodi ed il martello,
che del martirio furon strumenti,
in sè mostra quel fiore strano e bello.

Oreste Beltrame.


ISTRUZIONE PROFESSIONALE AGRARIA



L’ora presente pare destinata ad un risveglio improvviso in favore del proletariato rurale.

Il Consiglio Superiore dell’agricoltura deve discutere e studiare i provvedimenti atti a diffondere l’istruzione professionale fra i contadini; istruzione di pratica agraria che deve tendere a distrugger la tradizione di certi sistemi empirici di cura per le piante e per gli animali, di seminagione, di potatura, di coltivazione.

A Torino si discute vivamente, sulla creazione di un istituto superiore d’agraria, e il Momento si occupò ex-professo della questione.

I due fatti, sebbene apparentemente mirino a due scopi diversi, l’alta cultura e la bassa istruzione, pure, se bene si osserva, s’incontrano nello stesso scopo; e dalla formazione d’una classe di valorosi insegnanti d’agraria, il proletariato rurale trarrà immediato vantaggio.

Oggidì si parla continuamente di apprendisaggio, o meglio, per dirla con parola italiana, di tirocinio, ma, il più delle volte si pensa puramente al tirocinio industriale o commerciale; e si dimentica l’agricoltura. Però gli agricoltori non nascono mica bell’e fatti!... La terra è ancora la grande sacrificata. L’esodo rurale dimostra che non ci si cura troppo di conservarle i suoi lavoratori, dandole degli uomini che conoscano il mestiere, formati per la vita e pe’ bisogni de’ campi, che abbiano quella mentalità rurale, che il benemerito agronomo francese, Méline, celebrava non è molto. [p. 127 modifica]Per far nascere e far vivere codesta mentalità, bisogna anzitutto rifare il nostro insegnamento primario e post-scolastico, che è il primo mezzo d’iniziamento agricolo per le giovani generazioni, e insieme il mezzo più potente. Non sarebbe logico pretendere che si trasformino le nostre scuole primarie in scuole d’agricoltura e vi si impartisca un insegnamento agricolo tecnico. Codesto sarebbe troppo difficile per l’intelligenza del fanciullo, e lo disgusterebbe invece di attrarlo.

Il maestro non deve insegnare a’ fanciulli l’agricoltura pratica, ma deve preparare il loro spirito e la loro intelligenza per la futura professione, insinuando loro i principi generali e facili, che permetteranno loro di conoscere più tardi la scienza e la pratica agricola, e sopratutto sforzandosi d’interessarli alle cose della terra suscitando in loro il gusto e l’amore per esse.

Invece d’insegnare a’ piccoli contadinotti gli elementi di tutte le scienze, che, non avendo alcun rapporto colla professione agricola, possono far prendere loro la terra in uggia o in oblio, il maestro dovrebbe, senza trascurare la formazione del fanciullo per quel che dicesi cultura generale, dar a’ suoi allievi, secondo il voto del Méline, una mentalità rurale. Tutto dovrebbe, nell’insegnamento rurale primario, convergere verso la formazione di codesta mentalità. E all’attuale certificato di studi si potrebbe sostituire assai utilmente un certificato di studi rurali. Non si tratterebbe punto di fare, d’ogni allievo, un ingegnere agronomo, ma semplicemente un iniziato. Il giardino scolastico sarebbe una cattedra suggestiva per la lezione delle cose rurali.

Molti emigranti sono vittime di un’illusione; essi abbandonano il suolo natio, credendo di vivere più felici altrove. Perchè non istruire i nostri giovani contadini sui pericoli e le miserie della vita urbana, come li si istruisce sugli scempi dell’alcoolismo? Se pure di codesto insegnamento non rimanesse, nello spirito del fanciullo, che una vaga prevenzione, una suggestione confusa, si sarebbe già ottenuto un benefizio considerevole.

Tocca agli amici dell’agricoltura, agli uomini illuminati che possono fare il paragone fra l’esistenza in città e in campagna, di mostrare agli agricoltori, che li s’inganna, quando si cerca di persuaderli che il paradiso e in città. Ahimè! il paradiso diventa troppo spesso un inferno.... Quel che si deve dire altresì loro si è che oggidì siamo in un’epoca in cui la situazione dell’agricoltura si migliora tutti i giorni, mentre la condizione dell’operaio urbano e de’ piccoli impiegati va facendosi sempre più precaria e penosa.

Così inteso, l’insegnamento agricolo primario non è una nomenclatura arida di formule inanimate, di nozioni scientifiche indigeste, è una lezione di cose, vivente e attraente, che istruisce il fanciullo e lo diverte, stuzzicando la sua curiosità, e che, insensibilmente fa germogliare in lui l’amore per l’agricoltura. La botanica, la chimica, la mineralogia elementare, la zoologia stessa, messe così alla portata de’ fanciulli con l’applicazione alle cose che essi vedono tutti i giorni e in mezzo alle quali vivono, saranno per essi delle vere ricreazioni.

A lato di codesto insegnamento diretto, vi è quello che può dirsi indiretto,, che non è forse meno importante e che permetterebbe di far profittare l’agricoltura di tutte le altre branche d’insegnamento. Basterebbe, per codesto, fare l’applicazione alle cose agricole di tutto quanto s’insegna al fanciullo e vi si può riattaccare. Le letture e i dettati, per es., potrebbero riferirsi ai lavori agrari, presentandoli sotto il loro aspetto più interessante e seducente. I problemi potrebbero riferirsi alla contabilità agricola; e così via.

Tutto codesto programma dimostra una cosa, che l’opera di istruzione professionale agricola non può attuarsi, per la sua prima parte, senza il concorso intelligente della Minerva e dell’attuale o futuro ministro della pubblica istruzione. Possiamo sperarlo? Ai posteri...

Ma, si osserva: tutto quanto voi dite, sta bene: ma il vostro programma costituisce, insomma, un pre-tirocinio, che sarebbe rappresentato dalla mentalità rurale. Ma basterà codesto?

Rispondiamo all’obbiezione, osservando che, anzitutto, parlando dell’istruzione primaria rurale, noi l’abbiamo indicata come la prima parte dell’opera d’istruzione professionale agricola, il preludio, direi così in termine musicale.

D’altra parte bisogna osservare che, se nell’industria il pre-tirocinio è ben lungi dal bastare all’operaio, nell’agricoltura può, a rigore, soddisfare ai bisogni essenziali della mentalità del contadino. Il fanciullo delle campagne ha sotto gli occhi, tutti i giorni, e tutto il giorno, le scene della vita agricola: egli abita nel laboratorio rurale e non esce mai dall’ambiente dove si operano le trasformazioni annuali e periodiche dei prodotti dei campi. Egli compie un vero tirocinio dai suoi primi anni, e, ancora fanciullo, prende già parte ai lavori famigliari. Egli presenta adunque una superiorità ben netta sul fanciullo destinato a diventar operaio nelle fabbriche.

(Continua). Paolo Cesare Rinaudo.

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