Il buon cuore - Anno X, n. 44 - 28 ottobre 1911/Educazione ed Istruzione

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[p. 347 modifica]Educazione ed Istruzione


Per una restaurazione

della musica italiana

Non è trascorso un mese da che le Cronache letterarie annunziarono, in un articolo di Giannotto Bastianelli, la costituzione di un comitato «per il risorgimento della grande musica italiana che, dalla fine del settecento ad oggi, ha seguito un periodo di decadenza e di affarismo».

La notizia e l’articolo che la conteneva, lo confesso, mi sorpresero, poichè non è facile intendere a che mirava il nuovo comitato. Esso è composto da Renzo Bossi, Ildebrando Pizzetti, G. Francesco Malipero, Ottorino Respighi e Giannotto Bastianelli, quasi tutti giovani e quasi tutti favorevolmente noti nel mondo musicale, alcuni per le loro opere, altri per la loro coltura e per le loro idealità artistiche. Da un gruppo così costituito, anche a voler essere pessimisti e diffidenti, c’è sempre da attendersi qualche cosa di buono... quando però è ben tracciata la via da percorrere e quando è ben definito il miraggio da perseguire.

Ora a me sembra che la nuova istituzione difetti appunto in questo: che, cioè, abbia formulato un assai vago ideale da raggiungere e che, nell’entusiasmo non abbia guardato nè ai mezzi per toccare il fine, nè alla consistenza e alla possibilità dell’ideale stesso.

Non c’è dubbio che «il risorgimento della grande musica italiana», la «decadenza», l’«affarismo» sono delle belle parole che impressionano chi le ascolta, non c’è dubbio neppure che messe assieme possano far senso a chi ama la musica italiana e la vuole onorata e rispettata, ma resta sempre da discutere e sempre da precisare.

Per partire da un punto estremo, noi constateremo senza difficoltà, che la crociata che muovono i futuristi contro la musica vecchia e più accessibile se non più persuasiva. Essi ci hanno detto, nel loro stile clamoroso, quello che vogliono e noi siamo padroni di riderne quanto ci piace, ma non di dubitare delle loro assurdità, il nuovo comitato — non se ne dispiacciano i componenti se li avvicino troppo ai futuristi — mi pare che voglia precisamente il contrario, mi pare, cioè che voglia la restaurazione del carattere nazionale della musica italiana. È così o m’inganno? E se è così, con quali mezzi vuole raggiungerla? E che cosa vuole intendere per restaurazione del carattere nazionale della musica? E quale — infine — è il carattere nazionale della nostra musica?

Se queste parole saranno lette per caso dai componenti il nuovo comitato di restaurazione, io penso già che muso faranno specialmente all’ultimo interrogativo. Ma quando si è in tema di divagazioni astratte, essi dicono la loro ed io la mia, e bisogna bene sopportarsi a vicenda.

I pochi interrogativi che ho enunciati sono i numeri di un largo questionario che mi viene in mente ogni volta che sento parlare di musica nostra e di musica degli altri: di musica nuova e di musica vecchia; di vergogna musicale presente e di splendori passati. L’occasione offerta dal comitato restauratore è buona se non a far risolvere tutto il questionario — e non sarebbe questo nè il tempo nè il luogo — almeno a discutere sui pochi interrogativi che ho formulati.

I mezzi per raggiungere questa restaurazione musicale, sono, mi sembra, pochissimi e forse due soltanto. O esumare le musiche vecchie ed imporle all’attenzione ed alla ammirazione del pubblico, o obbligare i musicisti, almeno quelli che compongono il comitato, a comporre musica, diciamo per ora, sroile a quella che nel passato diede un carattere alla produzione musicale italiana. Che ve ne sieno altri non so. Orbene anch’io ho visitato talvolta qualche biblioteca di un grande istituto musicale, anch’io ho visto dormire in quei grandi cimiteri tranquilli e polverosi centinaia di partiture orchestrali ed operistiche, anch’io ho pensato ai tesori di sentimento, di armonia, di passione che giacevano obliati e negletti negli scaffali rosi lentamente dal tarlo secolare. E con me molti altri non hanno sognato, ma hanno con fede ritenuto possibile una risurrezione di quelle vecchie melodie che fecero versare lacrime di tenerezza, che suscitarono, coi loro ritmi gai, clamori di entusiasmo, che provocarono, per la loro modernità, ire dispettose e controversie di popoli, che inebriarono per la loro semplicità, la quale parlava direttamente al cuore il più puro, il più nobile, il più suggestivo linguaggio della passione.

Ma quante volte s’è tentato di mettere in iscena una vecchia opera, con tutto il rispetto che essa meritava, vale a dire con uno scenario decoroso, con artisti di fama, con una orchestra ben guidata, tante volte il successo è stato — come dire? — un successo di stima. Occorreva agli intenditori richiamare alla memoria l’epoca gloriosa alla quale l’opera apparteneva e tener presente la fama secolare del musicista, per accettare tutto il bagaglio di ritornelli, cadenze, virtuosità che l’opera conteneva. E le imprese, reso un omaggio all’arte italiana, ha finito sempre per restituire alle loro tombe le creature che una fervida, amorosa illusione, ha creduto di poter fare rivivere. Perchè tutto ciò? Perchè, io penso, manca al nostro pubblico una sufficiente educazione musicale che valga a fargli intendere tutti i pregi... archeologici delle vecchie musiche. Le [p. 348 modifica]quali sono belle e accettabili ancor oggi soltanto per coloro che vanno incontro ad esse con un corredo di cognizioni storiche, estetiche, musicali e quindi in condizioni di poterne intendere tutta la bellezza rispetto al tempo in cui furono prodotte. Esse vanno accolte, dunque, principalmente per il loro valore storico. Che se così non fosse, vale a dire se avessero tale valore estetico da soddisfare tuttavia il gusto di tutti i tempi, bisognerebbe ritenere che inutilmente sono passati nella vita e nell’arte i grandi riformatori da Gluck a Wagner e che l’opera melodrammatica meritava di rimanere allo stato in cui la crearono il Peri o il Monteverde.

Ora una restaurazione del carattere nazionale della musica, secondo le intenzioni del Comitato di recente formazione, vorrebbe dire, mi sembra, un ritorno all’antico, e questo ritorno può essere anche inteso in due modi.. Una educazione musicale collettiva, come si è fatto e fa costantemente in Germania, tale da mettere le masse in condizioni di poter intendere il valore storico delle vecchie musiche di teatro e da camera e constatare, a mezzo di esse, i progressi almeno formali che fatto la musica nel corso di secoli? E se è così, faccia pure il Comitato, che la sua opera sarà davvero utile e degna di elogi e di incoraggiamenti. Ma se il ritorno all’antico volesse dire non solo il bando all’esotismo, ma anche l’omaggio pedissequo alle vecchie forme e ai vecchi metodi, il Comitato farà opera anacronistica e sterile, poichè nessuno potrà seguirlo in un cammino a ritroso.

Anzitutto quali modelli si dovrebbero prescegliere per le nuove composizioni? Quale è quella musica o quel periodo musicale che abbia carattere veramente nazionale? Ci rivolgeremo al seicento, a Giacomo Carissimi, a Girolamo Frescobaldi, ad Arcangelo Corelli, ad Alessandro Scarlatti? O sceglieremo i nostri campioni più vicino a noi, nel settecento, fra Nicolò Jomelli, Nicolò Piccinni, Antonio Sacchini, Giovanni Paisiello, Domenico Cimarosa? O non ci fermeremo ad un periodo più complesso che si inizia con Gaspare Spontini e va fino al Rossini, al Donizetti, al Bellini, magari fino al Verdi?

La musica italiana, nello spazio di tre secoli ha subito tante vicende, tante evoluzioni, tante trasformazioni che mi pare assai difficile poter oggi stabilire il carattere nazionale di essa. Alfredo De Musset, in una lirica che è tutta una trama di singhiozzi e di rimpianti, quella del misterioso salice caro ad Ofelia, cantava, nei primi anni del secolo scorso:

Harmonie! Harmonie!

Langage que pour l’amour a créé le génie.

Qui nous vieni d’Italie et qui lui vient des cieux.

A quale dei nostri genii musicali pensava il poeta? al Pergolese, forse, o al Rossini? Entrambi composero musica italiana, ma quanto dissimile l’una dall’altra! Il carattere sostanziale di essa è la melodia, ma anche questa va soggetta a mutamenti ed abbellimenti formali. La melodia del Durante e del Marcello non è quella di Domenico Scarlatti, già più complessa e più ricca; la melodia di Alessandro Stradella non è quella di Leonardo Leo che fu tuttavia il più... melodioso fra i melodisti italiani. E non c’è bisogno di ricordare il magnifico esempio offerto da Giuseppe Verdi per venire alla conclusione che le conquiste dell’arte, ed opera dei genii che si succedono nei tempi, sono indistruttibili. Sono possibili nell’ora presente i grandi entusiasmi per Michelangelo e per il Bernini, senza offendere nessuno, che l’arte della scultura e quella dell’architettura non han fatto dai loro tempi ad oggi alcun progresso, se non son pure andate decadendo; ma non è possibile una rinascenza dell’amore per la musica di uno o due secoli fa — a meno che non abbia, come ho detto una ragione di curiosità storica — senza venir meno alle leggi imperiture del progresso. Dopo le grandi conquiste del sinfonismo è innegabile che una gran sede di melodia pura, fresca, limpida ci possegga e ci tormenti; ma se questa melodia non viene a placare la nostra arsusa non è certo per colpa del sinfonismo e se verrà non potrà certo scompagnarsi dalle nuove forme plurifoniche le quali sono la caratteristica del nostro tempo, come i facili procedimenti armonici distinsero, con la loro vezzosa leggiadria, la musica strumentale italiana del settecento. Chè se ad un musicista anche valoroso piacesse di offrire al nostro giudizio una sua opera in nulla dissimile, poniamo, dalla Serva padrona, dal Matrimonio segreto, dalla Semiramide o dalla Vestale, che sono altrettanti capolavori consacrati dal tempo, l’esito sarebbe, siatene sicuri, presso a poco disastroso. E se ne capisce il perchè mancherebbe all’opera il valore storico e mancherebbe al musicista quell’aureola di celebrità che è ormai la ragion d’essere di certe esumazioni che noi diciamo di concedere al nostro spirito come un desiderato refrigerio, ma che, in sostanza, sono la misura migliore del cammino che ha fatto l’arte della musica, e della evoluzione che in noi stessi, di pari passo, si è determinata.

Pasquale Parisi.


Progressi internazionali dell’antiduellismo

Non sia discaro ai lettori un breve riassunto delle notizie recentissime su ciò che gli antiduellisti fanno per ogni dove.

In Germania si accentua il movimento nella gioventù degli istituti superiori d’istruzione. Fra non molto essa terrà una grande assembliea probabilmente a Gottinga. Lo scopo ne sarà di sancire gli studi concreti fatti per istituire in tutte le scuole superiori tedesche Consigli d’onore per risolvere le vertenze.

Questi studi furono ordinati dalla recente assemblea tenuta a Geissen, alla quale presero parte i delegati di 150 associazioni studentesche, con intervento di professori universitari. Il favore per i Consigli d’onore erigendi vi fu unanime, ritenendosi che il solo modo di far cessare l’uso del duello consista nel sostituirgli qualche cosa di meglio, ossia nell’adoperarsi positivamente alla organizzazione della difesa effettiva dell’onore, e nel far passare questa in prima linea di fronte al concetto negativo dell’antiduellismo puro e semplice.

[p. 349 modifica]In Austria la riunione generale della Lega contro il duello, tenuta sotto la presidenza del conte Geroslao Thun, che come si sa è cognato dell’Arciduca ereditario, fu informata che nell’anno le giurie della lega avevano onorevolmente e pacificamente risoluto otto vertenze d’onore. Si compiacque dell’enorme diminuzione del duello nell’esercito, dovuto in gran parte alla vigilanza del ministro della guerra oggi dimissionario, barone Schdnaich, generale di fanteria, sopra le giurie d’onore militari create nel 1908, e che in parte furono prese a modello in Italia dai ministri Casana e Mirabello. Le cifre dei duelli militari, così considerevoli quando 11 anni addietro sorse il primo Comitato antiduellista, e fu appunto a Vienna, sono andate scemando tanto da finire a zero. Tra i 18 mila ufficiali dell’Impero, dal gennaio 1910 a oggi, nessuna coppia si è battuta più.

Ora la Lega austriaca si sta adoperando per rendere obbligatorio l’intervento delle giurie anche nelle vertenze tra militari e borghesi, non credendo essa sufficiente il provvedimento, col quale il ministero della guerra ha soltanto permesso questo intervento, quando la parte borghese liberamente lo invochi.

Molte questioni fra studenti viennesi sono state risolute dalla speciale Lega universitaria «per il miglioramento della difesa dell’onore», la quale si sta adoprando per costituire stabilmente un Consiglio generale d’onore per gli studenti. A Praga si nota lo stesso movimento, il cui frutto più visibile è stato il deferimento di cinque vertenze ad un Consiglio che fu presieduto dal giovane Emilio d’Hofmannsthal, l’apostolo dell’antiduellismo giovanile in Austria.

Nella Polonia Austriaca la Lega per la difesa dell’onore, riunitasi sotto la presidenza del principe Czartoryski dette conto di diciassette vertenze da essa risolute nell’anno scorso ed ebbe notizia d’un’inchiesta fatta da medici, sull’esempio italiano, per raccogliere l’opinione dei colleghi sull’intervento di sanitari negli scontri. La maggioranza degli interrogati aveva risposto che un tale intervento costituisce un complicità colpevole.

In Ungheria la Lega ha regolato nei mesi d’inverno assai affari: ha preparato un largo appoggio alla proposta del deputato Richter per una riforma del codice penale; ha stabilito un concorso con premio di 500 corone al migliore scritto per propagare l’antiduellismo fra i giovani; si adopra pei Consigli d’onore nelle scuole superiori e medie.

Nella città di Pecs il Comitato dei medici studia il modo che essi si astengano coercitivamente dagli scontri in specie se medici militari, e in caso di permesso straordinario, il loro intervento sia gratuito per essi e frutti una contribuzione dei duellanti in favore di istituti benefici.

Nella città di Hont un club elegante — serva ciò di esempio anche in Italia, ove occorre — interrogato da un membro che a provocazioni non volle rispondere per vie cosi dette cavalleresche, ha dichiarato «che il Club deve incoraggiare gli sforzi dei suoi soci in favore del progresso e della civiltà e quindi non può obbligarli a cercare una riparazione all’onore nelle armi».

In Spagna sarebbe troppo lungo l’enumerare tutto ciò che negli ultimi tempi si è fatto, in gran parte per opera di ufficiali in attività di servizio. Il numero dei Comitati attivi vi supera di molto il centinaio e quello dei soci si conta per parecchie diecine di migliaia. I duelli fino a pochi anni addietro frequentissimi, sono oramai più che altro un ricordo. Una commissione del Comitato centrale, composta del presidente S. E. Ugarte, d’un generale, d’un colonnello e di due altri elevati personaggi, ha presentato al Re una pergamena, come diploma della sua carica di presidente onorario. Il Re l’ha ricevuta con grande onore dicendosi fervente fautore degli ideali della Lega. Egli darà uno dei sei premi pel concorso di scritti antiduellisti testè bandito.

In Francia si aspetta la discussione del progetto dell’abate Lemire deputato, che domanda una legge contro il duello. Come è noto, in Francia il codice penale non lo contempla come reato speciale. Guarda in teoria soltanto alle conseguenze dello scontro armato; quindi lo punisce come omicidio o ferimento. Questa parificazione del duello ai reati comuni parve un tempo a molti antiduellisti la via migliore, tant’è vero che i socialisti italiani la proposero dopo la morte di Cavallotti, e qualche tentativo ne fu fatto in Spagna. Ma, come noi abbiamo sempre sostenuto, si tratta di una dannosa illusione. L’esempio della Francia lo dimostra. La mancanza di una legge speciale vi diffuse la opinione che dunque la legge lo permettesse. Fino al 1839 una tal enormità fu sostenuta perfino dalla Cassazione. Quando poi questa si ricredette pensarono i giurati a mantener in vita il suo pregiudizio. Quando l’anno scorso il giornalista Houbé insultò atrocemente e ingiustamente Paolo Robert, sindaco di Orleans Ville e poi l’ammazzò in duello, l’uccisione di questo padre di famiglia, benefattore della sua città, che nel testamento lasciato a sua moglie aveva dichiarato di non voler sparare per parte sua se non in aria, fu punita dai giurati coll’ammenda di una lira. Una ignota signora, che si assicura appartenga alla più alta società, ha scritto su questa tragedia un opuscolo che fa fremere e che è stato diffuso in tutta Europa.

Poi sta il fatto che mentre da qualche anno il duello è talmente diminuito dapertutto, che, per aggiungere altre cifre a quelle citate e prendere soltanto gli eserciti, in Germania dai 212 casi del 1900 — anno in cui il principe Alfonso di Borbone fondò la Lega antiduellista internazionale — si è scesi nel 1910 a 32, e in Italia dai 60 d’allora si è venuti ai soli 13, in Francia, sia perchè le ire politiche vi hanno impedito l’azione antiduellista, sia perchè manca una legge, se ne sono avuti nientemeno che 617 nel 1908 e 862 nel 1909. Quindi l’«alto là» dell’on. Lemire è atteso come una sospirata necessità.

In Portogallo, il governo provvisorio, usando opportunamente per una volta dei suoi poteri illimitati, ha pubblicato un decreto che vieta il duello e istituisce una Corte d’onore per le vertenze fra cittadini con facoltà di condannare fino a 5000 lire d’ammenda l’ingiusto offensore, convertibili nel carcere fino ad un mese in caso d’insolvenza. Questa facoltà della Corte [p. 350 modifica]si estende alla sospensione dei diritti politici e all’esilio quando l’offesa abbia carattere di speciale gravità.

Frattanto il moto s’estende anche fuori di Europa. Parlammo a suo tempo dei felici inizi nell’America del Sud. Ora abbiamo liete novelle dalle Indie Orientali Neerlandesi. A Batavia nella società scientifico-militare il capitano dell’artiglieria olandese H. Kerremans, antico duellista e autore d’un manuale ad uso dei duellanti, ottenute notizie da tutte le Leghe europee, e convintosi della bontà e della praticità dei loro scopi, annunziò il suo proposito di fondare una Lega. Esso fu così bene accolto che al primo appello risposero iscrivendosi 11 ufficiali superiori, 57 capitani e tenenti, nonchè borghesi e signore. Fra i militari iscritti 12 sono decorati per atti di valore sul campo di battaglia. Il comandante in capo dell’esercito si felicitò per iscritto con lui, e vivamente mostrano d’interessarsi allo sviluppo della Lega il governatore generale e il ministro delle colonie all’Aja.

Dei progressi della Lega italiana ci riserviamo di dire a parte in una prossima occasione. Ci basta per ora di concludere, che quando, nella ventura primavera, i delegati di tutte le Leghe, convocati dal Bureau Central sedente in Budapest, si riuniranno a Monaco di Baviera, si toccherà e si farà toccare con mano quanto cammino in ir anni abbia fatto l’iniziativa genialmente presa e instancabilmente proseguita da Don Alfonso di Borbone, e come tutti gli scetticismi e le resistenze d’un tempo siano sul punto d’essere debellati per sempre.

F. Crispolti.