Il buon cuore - Anno X, n. 48 - 25 novembre 1911/Religione

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Educazione ed Istruzione Società Amici del bene

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Vangelo della domenica terza d’Avvento


Testo del Vangelo.

Avendo Giovanni udito, nella prigione, le opere di Gesù Cristo, mandò due de’ suoi discepoli a dirgli: Sei tu quegli che sei per venire, ovvero si ha da aspettare un altro? E Gesù rispose loro: Andate e riferite a Giovanni quel che avete udito e veduto. I ciechi veggono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, si annunzia ai poveri il Vangelo, ed è beato chi non prenderà in me motivo di scandalo. Ma quando quelli furono partiti, cominciò Gesù a parlare di Giovanni alle turbe. Cosa siete voi andati a vedere nel deserto? una canna sbattuta dal vento? Ma pure, che siete voi andati a vedere? Un uomo vestito delicatamente? Ecco che coloro, che vestono delicatamente, stanno nei palazzi, dei re. Ma pure cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico io, anche più che profeta, imperocchè questi è colui, pel quale sta scritto: Ecco che io spedisco innanzi a te il mio angelo, il quale preparerà la tua strada davanti a te. In verità io vi dico: Fra i nati di donna non venne al mondo chi sia maggiore di Giovanni Battista: ma quegli che è minore nel regno de’ cieli, è maggiore di lui. Ora dal tempo di Giovanni Battista infin adesso, il regno dei cieli si acquista colla forza; ed è preda di coloro che usano violenza. Imperocchè tutti i profeti e la legge hanno profetato sino a Giovanni: e se voi volete capirla egli è quell’Elia che doveva venire. Chi ha orecchie da intendere, intenda.

S. MATTEO, cap. 11.


Pensieri.

Diversamente da ogni scuola di filosofia antica e moderna opera il profeta Giovanni — dal carcere dove l’aveva rinchiuso Erode — a favore dei proprii seguaci. Egli li manda da Cristo non a fine di udire la forza delle sue argomentazioni, la sottigliezza del suo dire, ma comanda loro che abbiano ad osservare le opere di Cristo: chiedessero di poi a Gesù se eglino dovevano credere a lui o non piuttosto ad un altro futuro.

Cristo — similmente a Giovanni — li invita ad ammirare l’opera delle sue mani: dapprima l’opera della pietà e della carità, poscia annuncia — ciò che in allora era uno scandalo — come ai poveri era annunciato il vangelo, o la buona novella oppure la verità che pareva — fino allora, — un solo privilegio e retaggio delle classi abbienti. Singolare modo di procedere! Cristo e Giovanni per indurre una verità nella nostra mente non seguono un metodo scientifico... s’appellano invece alla muta, ma eloquentissima espressione dell’opera.

[p. 381 modifica]Nel campo della fede, nel campo della virtù non è primo il più colto, non è migliore la mente più eletta... Preferibile assai la osservazione del fatto, il docile inchinarsi del cuore alla espressione pratica della fede nelle opere sante.

Non tuttavia si contradicono fede e coltura tanto religiosa quanto scientifica. Anzi a vicenda s’illustrano s’ajutano, quando esse si tengono nella via loro assegnata nè vogliano all’una applicarsi i metodi di procedere, dell’altra. Non ha mai la fede respinta la scienza: la scienza non ha mai projettata ombra qualsiasi sullo splendor della fede: ciò che alla fede nuoce è il gabbare per scienza ogni opinione, che in uno od latro momento prevalga in mezzo agli uomini; che oggi è applaudita e domani una critica più acuta distrugge soppianta.

La fede si conosce dall’opera: la scienza dagli argomenti: la fede — ovunque passa — crea la carità colle sue infinite diramazioni di luce allo spirito, di sollievo al corpo, mentre la scienza è pur il grande fattore della civiltà e del progresso dei popoli tutti. La fede è il retaggio dei grandi e dei piccoli, degli scienziati ed ignoranti, dei dotti e degli incolti, dei ricchi e dei poveri, dei civili e dei selvaggi; la scienza è l’arca chiusa ai popoli, e solo s’apre agli intelletti più forti, ai voleri più ostinati. La fede ci dà Cristo, la scienza non arriva lassù, ci dà il mondo e muore quaggiù di dove trasse l’origine.

Tu es, qui venturus es, an alium expectamus?....

Universale domanda fra gli uominil In tutti i tempi, attraverso tutti i secoli e popoli sorse la domanda a Cristo: sei tu colui, che debba venire oppure dobbiamo aspettarne un’altro? Cristo sotto la forma di benessere collettivo ed individuale, sempre ovunque fu cercato dalla società intera e da tutti i singoli uomini nelle lotte loro, nei loro traffici, nelle loro scienze, arti.... Cristo è sempre il punto radioso della felicità....

Tu es....?

Sì, è Cristo! lo dice lo studioso nella ansietà del vero: nelle sue dottrine l’ingegno e la mente trovano le grandi armonie del vero, senza strappi, senza violenze.... Sì, è Cristo, in una sanissima, santissima morale dai precetti divini, inimitabili.... Sì, è Cristo, nella divinità di sua vita, nel suo esempio, da cui ci deriva quella forza inafferabile ma poderosa che è la grazia... strana forza alla mente, al cuore che li muove li agita senza toccare e menomare alcunchè del più gran dono umano: la libertà!

Sì, è Cristo, lui che nell’applicazione rigida di sua legge, compatisce alla infermità della carne, all’imbecillità della mente, all’ambiente viziato per cui l’uomo decade di sua grandezza e nobiltà.

Si, è Cristo, lui che il peccatore redime, a cui tempera le lagrime; di cui sente il dolore calmo, a cui sorride — riso di cielo, — un perdono celeste....

Sì, è Cristo, lui che convive colla prudenza del vecchio, lui che raccoglie i fremiti del giovane entusiasmo, che sostiene ed addolora sulle agonie d’una madre, che innamora di sua bellezza le giovani esistenze d’una donna!...

Sì, è Cristo! è Cristo è Dio perché la scienza, i tempi, lo spazio non lo esaurisce, perchè per tutti ha una parola che crea e comprende, perchè per tutte le indefinite varietà dello spirito ha indefiniti contatti di vita e di santità....

....an alium expectamus?

Contro ogni credere la società aspetta altro che sia Cristo. È il capo famiglia che sogna nei traffici, nella operosità, la sua sicurezza.... è la madre che — della prole noncurante — nel salotto, nella conversazione, nella corte di adoratori che insidiano colla galanteria l’onor della famiglia crede bene spesa la sua esistenza... è la giovane speranza — fino ad jeri tanto pia e buona — oggi sognante l’ebbrezza d’amor di fango, cercante i fior dal loto e forse più basso ancora.... è lei che si esaurisce in vanità, punto velenosi pensieri e letture che... fosser almen frivoli! tradiscono la interna piaga... è il giovane che cerca il suo Cristo dove? dove domani non raccoglierà che lacrime, disinganni e... morte!

Tu es, qui venturus es... non alium expectamus?....

B. R.


Mesto e gentile ricordo


Moriva all’Ospedale Maggiore il giorno 6 del mese corrente la giovane cieca Carizzoni Pierina. Era da molti anni allieva nell’Istituto dei Ciechi di Milano, dove non potè più a lungo essere trattenuta perchè affetta da progredita tubercolosi. Nei tre mesi che fu all’Ospedale, amorosamente assistita dalle Suore, e spesso visitata dalle compagne, andò lentamente preparandosi all’ultimo passo, che affrontò con animo rassegnato e sereno, sebbene la giovane età le facesse sentire ben vivi i legami che la stringevano alla vita.

Uno stuolo di compagne dell’Istituto ne seguirono il feretro fino al Cimitero. Una compagna, la signorina Armida Lambrughi, maestra cieca nell’Asilo Infantile, disse parole così commoventi nella loro semplicità, che ci parve abbiano a star bene nelle colonne del Buon Cuore.

«Alla mia cara e compianta amica Pierina Carizzoni. Tributo di affettuosa e sincera amicizia.

«No, Pierina; non rattristarti! non è per una delle solite convenienze (pur troppo così frequenti anche dinnanzi alla morte), ch’io voglio rivolgerti, a nome di [p. 382 modifica]tutti, prima di affidarti all’ultima dimora, l’estrema, dolorosa parola. No, te lo ripeto: non è per questo; ciò ripugnerebbe alla tua ed alla mia sincerità. Qui è soltanto il cuore che parla: il cuore col suo palpito d’affetto, col suo impulso di compianto! Tu ci eri cara, Pierina nostra; cara per quell’affetto reciproco che univa cordialmente noi a te, te a noi; cara per le continue sofferenze che tracciarono il tramite spinoso della tua povera vita. Ed ora, dopo aver tanto sofferto con te e per te, specialmente in questi ultimi mesi, eccoci qui, addolorati e commossi, a darti l’ultimo saluto. Ma noi ti salutiamo non come una morta, ma come una partita; non come una perduta, ma come una cara lontana: e, come tale, sapremo farti vivere fra noi nella evocazione dei ricordi, dei pensieri, degli affetti; nella visione eterna di Dio. Il saluto ch’io ora ti porgo è l’espressione tenerissima de’ tuoi genitori adottivi che tanto ti amarono, della tua amata Teresina che ti fu, fino alla morte, più che amica sorella; vi è insomma il cuore de’ tuoi superiori, maestri, delle persone che ti confortarono con attenzioni e cure nella malattia, specialmente della tua Angelica Suora e di tutte le tue fedeli compagne presenti e assenti. Addio, povera cara! La nostra preghiera ti assorga all’eterna pace dei giusti; la nostra lagrima melanconica, quale offerta e tributo di redenzione, ti dischiuda il Cielo.

«Armida Lambrughi

«Maestra Cieca».

PENSIERI


Sopportare in sé stesso con dignità le traversie e le amarezze, onde si riempie la vita, è segno di forza, e compatire, non in senso sterile e inerte, ma in senso attivo e benefico, gli errori, le colpe e le sventure del prossimo, è segno di amore, e ambedue sono i cardini, sui quali gira l’umana bontà.




IN MEMORIAM

Poco più di un anno è trascorso da che moriva nella sua villa di Torno, sul Lago di Como, la signora Maria Bernasconi Moja.

Le virtù dell’elettissima madre e consorte lasciarono di Lei tale rimpianto, che ancora oggi la famiglia tutta si riunisce, con non affievolito dolore, a commemorarne la santa memoria con una cerimonia mesta e gentile — il trasporto della povera salma nella nuova Edicola Mortuaria di Famiglia.

Il marito ragioniere Felice Moja, indovinando un supremo desiderio della defunta consorte, volle che la famiglia, la quale Ella in vita ebbe cara sopra ogni cosa, le fosse in morte sempre vicina e compagna. Tradusse così il pensiero in realtà erigendo un’Edicola Mortuaria nel Cimitero Monumentale di Milano.

E questa opera di devozione e pietà, verrà benedetta dal Rev.mo Monsignor Giuseppe Polvara che fu dell'Estinta, anche nei più tristi momenti, devoto consolatore.

Diamo qui sotto un disegno dell’Edicola, che, per la linea severa, semplice ed armonica, ricordante l’antica Arte Lombarda, si distingue, e risponde a quella mestizia e serietà, che è richiesta in tali monumenti.

La costruzione è tutta in pietra viva. Lo zoccolo, il basamento ed il coronamento sono in ghiandone, e li collega, sul fronte principale, un robusto portale che forma con essi come una grande tale croce; il corpo centrale ed il cappello sono in granito bianco.

Le tinte di queste due pietre, sullo stesso tono grigio ma di differente forza, producono un effetto distinto e gradevole.

La finestra e l'altare sono in marmo di Gandoglio (detto del Duomo), e l'interno è decorato in grafito tanto sulla volta a vela che sulle pareti.

L’edicola contiene sedici colombari, di cui sei sotterranei, chiusi da lastroni di marmo di Carrera contornati di bardiglio.

Il progetto è opera dell’ingegnere Regondi Ignazio di Milano; il cancello e le ferriate furono eseguite dall’Arcari, e le decorazioni dai pittori Jemoli e Felli.



La NONNA è un capolavoro di una freschezza e di una originalità assoluta.



Edicola Mortuaria nel Cimitero Monumentale di Milano.