Il buon cuore - Anno XI, n. 28 - 13 luglio 1912/Educazione ed Istruzione

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Educazione ed Istruzione

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Necrologio Società Amici del bene

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La colonizzazione della Patagonia

e l’emigrazione italiana.

(Continuazione e fine, vedi n. 27).

Una buona soluzione per un avviamento conveniente della nostra emigrazione nel Sud si potrebbe avere se il capitale italiano si facesse guida e sostegno delle nostre forze di lavoro, provvedendo alla costituzione in quelle regioni di qualche seria ed importante impresa di colonizzazione, capace di procurare ai coloni italiani la desiderata indipendenza economica e di promuovere il conveniente raggruppamento etnico.

La cosa fu già altra volta oggetto di studio. Infatti fra i tanti progetti di colonizzazione italiana rimasti inattuati per varie difficoltà, o falliti, è degno di nota per la sua importanza uno che fu presentato poco più di dieci anni fa dal generale Ricciotti Garibaldi, d’accordo coi senatori Odescalchi e Medici, che si riferiva appunto alla colonizzazione della Patagonia col lavoro italiano. Si trattava di una società che avrebbe dovuto colonizzare in un periodo di cento anni tutti i terreni demaniali della Repubblica Argentina al sud della provincia di Buenos Aires, la cui estensione era allora di 29,000 leghe quadrate.

Ma il grandioso progetto, studiato particolareggiatamente nelle varie modalità e condizioni, e che da persone competenti era stato riconosciuto di grande vantaggio tanto per l’Italia come per l’Argentina, per difficoltà di vario genere sorte nelle trattative, non ebbe alcun seguito.

Ora le condizioni dell’Italia e dell’Argentina sono notevolmente cambiate, ed una impresa di simile entità non sarebbe più attuabile: la nostra emigrazione contenuta entro limiti più moderati non va più come allora, cercando un sfogo necessario; e buona parte di quelle terre fiscali cedute a compratori singoli di varie nazioni, più volte vendute all’asta (rematar) secondo il sistema argentino, dopo aver fatto molti passaggi di proprietario, hanno prezzi nominali assai elevati, mentre purtroppo il loro valore reale non è per niente salito, essendo rimaste in massima parte incolte e deserte. Dopo quel progetto nessun altro di importanza è stato fatto, che mirasse alla colonizzazione di terre della Patagonia con denaro italiano, nè si sa che attualmente ve ne siano in studio.

Esclusa quindi anche questa soluzione, noi non esitiamo ad esprimere il parere che non conviene per ora, e finchè tale si conservi lo stato delle cose nelle regioni meridionali argentine, che gli emigrati italiani vi si rechino, perchè ciò sarebbe contrario all’interesse loro ed a quello della patria.

Abbiamo detto che uno dei motivi che rende poco consigliabile l’avviamento dell’emigrazione italiana alle regioni meridionali argentine è la deficienza del capitale nazionale disposto a seguire l’emigrazione dei nostri lavoratori.

Questa deficienza che qui abbiamo rilevata non si riscontra solo nei riguardi della colonizzazione nostra in Patagonia, ma in tutti i paesi transoceanici: onde le osservazioni che seguono debbono riferirsi non solamente ad una regione o ad uno Stato, ma al problema generale della colonizzazione italiana oltre oceano.

L’orientamento del capitale italiano verso le colonie agricole dei nostri emigrati, sarebbe oltrechè un impiego sicuro e fortemente redditizio, il conseguimento di uno dei compiti più importanti della politica emigratoria, la valorizzazione della nostra emigrazione dal punto di vista nazionale.

Invece per ora, purtroppo, il capitale italiano si mostra restio e timido a mettersi su quella via, divenuto sospettoso e diffidente dopo qualche tentativo mal riuscito per inadeguata preparazione.

È questa una nostra particolare deficienza cui è di importanza capitale rimediare sollecitamente, se non si vuole pentirsene quando sarà troppo tardi. Dovrebbe il nostro Governo pensare seriamente a questa necessità che s’impone, ed anche se non creda conveniente [p. 222 modifica]impegnarsi esso stesso direttamente, potrebbe incoraggiare ed orientare con mezzi che a lui non mancano, qualche istituto bancario italiano verso quell’importantissimo compito nazionale delle terre d’oltre oceano, come altre volte già fece pel conseguimento di altri fini, in altri paesi.

Noi non dubitiamo che il capitale italiano, spinto dalla sua propria convenienza, non tarderà molto ad investirsi in imprese agricole nei paesi transoceani: ma frattanto diciamo che fino a quando esso, distolto da altri impieghi in Italia e fuori, indugierà a seguire la nostra emigrazione, sarebbe disastroso, dal punto di vista nazionale, abbandonare questa a sè medesima, come fino ad ora è avvenuto: è necessario in qualche modo provvedere, e ciò è possibile, come ora vedremo.

Se la nostra gente emigrata non è andata assolutamente dispersa ed assorbita, e se più qua e più là se ne vedono delle collettività unite e numerose, ciò si deve solamente al suo numero straordinariamente grande ed al flusso continuo dei nuovi emigranti che vanno ogni anno a rinfrescare le colonie degli emigrati più vecchi; a quella distribuzione automatica provvidenziale, fatta per mezzo della corrispondenza e dei richiami degli emigrati ai parenti ed amici rimasti in patria.

Ora però che le statistiche ci mostrano come la nostra emigrazione di carattere permanente vada ogni anno più riducendo le sue cifre, non possiamo non preoccuparci di quel tempo, più o meno prossimo, in cui il numero degli emigranti permanenti, come è avvenuto da alcuni anni alla Germania, sarà quasi completamente scomparso.

Dobbiamo preoccuparci del fenomeno per dominarlo e farlo servire ai nostri fini, ora che abbiamo ancor tempo.

L’emigrazione di carattere permanente, sia pure in numero non grandissimo, può essere ora efficacemente utilizzata per fare opera di raccoglimento e di consolidamento in alcune nostre colonie.

Una delle difficoltà maggiori dei nostri emigranti è quella di orientarsi e di avere indicazioni sui luoghi ove convenga loro recarsi: tanti ve ne sono che vanno alla ventura, oppure consigliati dagli uffici di immigrazione dei paesi americani, e naturalmente costoro sono sbalestrati dovunque capita, dove quei Governi hanno interesse a mandarli, e spesso vanno a finire in luoghi lontani, isolati dalla collettività dei connazionali, dove scarse sono le probabilità di avvantaggiarsi.

Fare ad essi conoscere le opportunità che si presentano in località dove già risiedono collettività italiane, indirizzarveli ogniqualvolta che in esse, cosa facile e frequentissima, possono utilmente lavorare, non solo nell’agricoltura, ma anche esercitando altri mestieri e professioni che sono richiesti a mano a mano che i nuclei coloniali si ingrandiscono, è questo un compito importantissimo diretto ad evitare ogni ulteriore dispersione, pel quale ci si può adoperare molto efficacemente, anche mancando del sussidio del capitale; ed al quale in modo speciale si propone di cooperare l’Italica Gens, ed abbiamo fiducia, con risultati adeguati.

E tale avviamento si può dare non solo agli emigranti che vi arrivano dall’Italia, ma anche a tanti altri connazionali che già risiedono nelle grandi città transoceaniche, dove traggono vita misera, economicamente, fisicamente e moralmente, e che ben volentieri cambierebbero quel loro stato per la vita agricola, se l’incognito dei campi di colonizzazione non li spaventasse, se conoscessero qualche luogo dove potersi convenientemente stabilire. Non potendo disporre di capitale, si tratta di vedere dove è possibile, anche senza di questo, che i coloni abbiano una posizione buona ed indipendente, e che prospetti loro una elevazione delle proprie condizioni, cui è giusto che aspirino essi che a quello scopo hanno affrontato il sacrificio dell’esilio.

E questo che bisogna fare ed è ciò che l’Italica Gens va cercando, raccogliendo dai suoi corrispondenti, largamente sparsi nei paesi transoceanici, dati di fatto e notizie sulle possibili opportunità dei vari luoghi.

Dalle indagini per ora fatte a tale scopo in Argentina, risulta che condizioni molto favorevoli all’acquisto della proprietà da parte dei nostri emigranti nelle provincie in cui già risiedono colonie italiane non esistono, ed anzi quella probabilità va ogni anno più facendosi difficile. Ciò non perchè manchi il terreno disponibile. che anzi per estensioni vastissime si vede incolto anche intorno ai più importanti nuclei coloniali, ma perchè quei terreni in forza della sfrenata speculazione di cui sono oggetto hanno per lo più prezzi elevatissimi.

Dimodochè sono inaccessibili ai nostri coloni non solo che volessero immediatamente acquistarli, ma anche che, come molti hanno potuto fare nelle provincie di Cordova e di Santa Fè fino a non molti anni addietro, si accontentassero di pervenire ad esserne padroni dopo averli coltivati per lunga sequela di anni, prima come mezzadri e poi come affittuari.

Con questo non vogliamo escludere che la colonizzazione non abbia ancora in Argentina un campo immenso da sfruttare, ciò che certamente sarà fatto specialmente per opera di chi disponga di capitali; altra volta parleremo più a lungo della situazione fondiaria di quella Repubblica: solo qui ci basti avere accennato alle difficoltà che essa offre alla colonizzazione pei nostri emigranti.

Volgendo lo sguardo agli altri Stati Sud-Americani, dobbiamo notare che vi sono alcune regioni le quali attualmente, a preferenza di altre, possono offrire opportunità alla nostra emigrazione permanente; ed esempio gli Stati meridionali del Brasile: e crediamo si debba di essi tener conto nelle investigazioni dirette a studiare la miglior distribuzione della emigrazione secondo gli intendimenti esposti.

Vogliamo alludere specialmente agli Stati di Rio Grande do Sul e di Santa Catharina, dove sono nuclei coloniali italiani numerosi e noti per la loro unione e per la conservazione dello spirito nazionale. Data la deficienza di comunicazioni ferroviarie, quelle colonie, oggi non sono generalmente molto ricche, ma ciò non di meno si può con sicurezza affermare che esse hanno tutti gli elementi per un prospero avvenire. Intorno a codesti nuclei coloniali, in cui i nostri connazionali sono [p. 223 modifica]quasi tutti piccoli proprietari, vi sono tuttavia estensioni di terreno in grande quantità, che i Governi di quegli Stati cedono in proprietà a prezzi moderatissimi agli emigrati che vogliono colonizzarli.

E’ certo che tutti i coloni proprietari di terreni in quelle regioni, che ora vivono modestamente, ma in posizione sicura ed indipendente, riguardo ai mezzi di sussistenza, appena coll’aumentare della popolazione ed il conseguente arricchirsi delle finanze locali si avranno ferrovie sufficienti e miglioramenti in tutti i servizi più importanti (e questo tempo non si annunzia lontano), saranno tutti possidenti benestanti, e costituiranno le migliori colonie libere che l’Italia abbia nei paesi transoceanici.

Allo stato attuale delle cose noi crediamo che si debba prendere in seria considerazione se, anzichè lasciare che i nostri emigranti vadano dispersi come mano d’opera salariata nel crogiuolo cosmopolita che si va formando nelle regioni della colonizzazione patagonica, non convenga indicare ai nostri colonizzatori che si dirigono all’America del Sud, ed anche a quelli che, già arrivati al Plata, si aggirano ancora per le sue città senza pur aver trovato la loro stabile posizione, quelle regioni meridionali del Brasile che mostrano di possedere buoni elementi per una ordinata e proficua espansione della nostra razza.

Ciò, salvo ben s’intende che opportunità più favorevoli, sia per opera del Governo Argentino sia per l’aiuto del capitale italiano, non si aprano nella Repubblica Argentina, dove vivono e prosperano in tante parti colonie italiane numerosissime e fiorenti.

Noi crediamo che sia necessario affermare chiaramente, e far comprendere anche ai paesi che vogliono ricevere la nostra emigrazione, la nuova situazione di fatto che si va delineando nel nostro paese. Se, per l’addietro, si è potuto portare come scusa più o meno giustificata dell’atteggiamento assolutamente passivo del nostro paese di fronte al fenomeno della emigrazione e dell’assenza completa di ogni politica emigratoria, la irruenza irrefrenabile del movimento, la deficienza nel paese di elementi economici, di base territoriale; di mezzi che ci dessero la possibilità di padroneggiarlo e guidarlo secondo i nostri fini, ora invece quella situazione va felicemente risolvendosi col progredire celere del nostro paese, che sta per uscire da un periodo transitorio di concentramento e di rinnovamento interno ed incomincia a sentire la necessità e la possibilità di curare che nessuna sua forza, anche oltre i patrii confini, vada dispersa. In cambio del valore immenso sotto forma di popolazione, di progresso e di lavoro che l’Italia dà ai paesi di immigrazione colle sue preziose correnti di lavoratori, è giusto che essa esiga di ricevere quei vantaggi civili e commerciali che sempre ritrasse ogni popolo che colle sue genti abbia popolato e fecondato terre nuove, anche se ad altri appartenenti.

Ranieri Venerosi.




RODI


Lo stemma di Savoja
a Rodi ov’era nato,
da secolar esigilo,
alfin è ritornato.


Itali cavalieri
nell’era medioevale,
prescelsero a dimora
quell’isola ospitale.


Dal sole prediletta,
dal greco mar lambita.
come un bel fior si schiude
quell’isola romita.


Presso al severo mirto
balda la rosa appare,
qui melodie di terre
qui melodie di mare;


cui porse orecchio intento
il cieco vate Omero
e le tradusse in epico
ed immortal pensiero.


D’artisti eletta schiera
fiorì su questo suolo,
del Sol narrò la gloria
di Laocoonte il duolo.


Gl’itali cavalieri,
con mistico fervore,
a Rodi l’alma croce
portaron del Signore.


Di S. Giovanni il nome
prese la pia milizia,
fu di bontà ministra
di pace e di giustizia.


E quando l’ottomano
Rodi d’assedio cinse
con impeto e valore
da Rodi lo respinse.


A' prodi diede aita
un Conte valoroso,
un Conte di Savoja
credente e generoso.


De’ cavalier la croce,
dopo la gran vittoria,
il Conte volle incisa
sull’armi di Savoja.


Sovra il destin di Rodi
vegliò la croce santa
per dugent’anni ancora,
poi fu dal turco infranta,


Infranta, non distrutta
chè all’itala contrada
portata l’avea il Conte
sulla vittrice spada.


L’esercito d’Italia
d’degli avi nostri degno,
oggi su Rodi spiega
il benedetto segno.


Raccolte intorno ad esso
supplici stan le genti,
d’esser sottratte al turco
richiedono fidenti.


Il dritto lor sostieni,
misericorde croce,
previeni la vendetta
dell’ottoman feroce.

Samarita.