Il buon cuore - Anno XII, n. 09 - 1º marzo 1913/Religione

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Educazione ed Istruzione Beneficenza

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Vangelo della quarta Domenica di Quaresima

Testo del Vangelo.

In quel tempo, passando vide Gesù un uomo cieco dalla sua nascita; e i suoi discepoli gli domandarono: Maestro, di chi è stata la colpa, di costui, o de’ suoi genitori, ch’ei sia nato cieco? Rispose Gesù: Nè egli, nè i suoi genitori han peccato; ma perchè in lui si manifestino le opere di Dio. Conviene, che io faccia le opere di lui, che mi ha mandato, fin tanto che è giorno; viene la notte, quando nissuno può operare. Sino a tanto che io sono nel mondo, sono luce del mondo. Ciò detto sputò in terra, e fece con lo sputo del fango e ne fece un empiastro sopra gli occhi di colui. E dissegli: Va, lavati nella piscina di Siloe (parola che significa il Messo). Andò pertanto, e si lavò, e tornò che vedeva. Quindi è che i vicini, e quelli che l’avevan prima veduto mendicare, dicevano: Non è questi colui, che si stava a sedere Chiedendo limosina? Altri dicevano, è desso. Altri, no, ma è uno, che lo somiglia. Ma egli diceva: Io son quel desso. Ed essi dicevangli: Come mai ti si sono aperti gli occhi? Rispose egli: Quell’uomo che si chiama Gesù, fece del fango e unse i miei occhi, e mi disse: Va alla piscina di Siloe e lavati. Sono andato, mi son lavato, e veggio. E allora gli dissero: Dov’è colui? Rispose: Non so. Menano il già cieco ai Farisei. Ed era giorno di sabato, quando Gesù fece quel fango, e aprì a lui gli occhi. Di nuovo adunque l’interrogavano anche i Farisei, in qual modo avesse ottenuto il vedere. Ed ei disse loro: Mise del fango sopra i miei occhi e mi lavai, e veggio. Dicevan perciò alcuni dei Farisei: Non è da Dio quest’uomo, che non osserva il sabbato. Altri dice [p. 68 modifica]vano: Come può un uomo peccatore far tali prodigi? Ed erano tra loro in scissura. Dissero perciò di nuovo al cieco: Tu che dici di colui, che ti ha aperti gli occhi? Egli rispose loro: Che è un profeta. Non credettero però i Giudei, che egli fosse stato cieco e avesse ricevuto il vedere, sino a tanto che ebber chiamati i genitori dell’illuminato. E li interrogarono dicendo: E’ questo quel vostro figliuolo, il quale dite che nacque cieco? come dunque ora ci vede? Risposer loro i genitori di lui, e dissero: Sappiamo che questi è nostro figliuolo, e che nacque cieco; come poi ora ei vegga, nol sappiamo; e chi abbia aperti gli occhi, noi nol sappiamo; domandatene a lui, ha i suoi anni; parli egli da sè di quel che gli appartiene. Così parlarono i genitori di lui, perchè avevan paura dei Giudei; imperocchè avevan già decretato i Giudei, che, se alcuno riconoscesse Gesù per il Cristo, fosse cacciato dalla sinagoga. Per questo dissero i genitori di lui: Ha i suoi anni, domandatene a lui. Chiamarono adunque di bel nuovo colui, che era stato cieco, e gli dissero: Dà gloria a Dio: noi sappiamo che questo uomo è un uomo peccatore. Disse egli loro: Se ei sia peccatore, nol so; questo solo io so, che io era cieco, e ora veggio. Gli dissero: perciò: Che ti fece egli? Come aprì a te gli occhi. Rispose loro: Ve l’ho già detto, e l’avete udito perchè volete sentirlo di nuovo? V òlete forse diventar anche voi suoi discepoli? Ma essi lo strapazzarono, e dissero: Sii tu suo discepolo, quanto a noi siano discepoli di Mosè. Noi sappiamo, che a Mosè parlò Dio; ma costui non sappiamo donde ei sia. Rispose colui, e disse loro: E qui appunto sta la meraviglia, che voi non sapete, donde ei sia, ed ha egli aperti i miei occhi. Or sappiamo, che Dio non ode i peccatori; ma chi onora Dio e fa la sua volontà, questi è esaudito da Dio. Dacchè mondo è mondo, non si è udito dire, che alcuno abbia aperti gli occhi a un cieco nato. Se questi non fosse da Dio, non potrebbe far nulla. Gli risposero, e dissero: Tu sei venuto al modo ricoperto di peccati, e tu ci fai il maestro? E lo cacciarono fuora. Sentì dire Gesù, che lo avevan cacciato fuora, e avéndolo incontrato, gli disse: Credi tu nel Figliuoli) di Dio? Rispose quegli e disse: Chi è egli Signore, affinchè io in lui creda? Dissegli Gesù: E lo hai veduto, è colui che teco parla, è quel desso. Allora quegli disse: Signore, io credo. E prostratosi lo adorò.

Pensieri. La narrazione — stranamente particolareggiata nella minuta polemica circa la miracolosa guarigione del cieco nato — ci insinua il sospetto che l’accorto evangelista abbia voluto non solo dare serietà di controllò ed evasiva risposta alla critica nell’opera di Cristo, ma abbia voluto ancora dirci quanto disastroso ed esiziale sia il pregiudizio e le umane prevenzioni nel campo religioso., Invero balza chiara la logica limpida e concludente del cieco, che difende l’opera di Gesù: pronta è

la sua riconoscente difesa ’di lui contro il Sinedrio che s’accanisce; pronta la sua fede che lo china e lo atterra quando chi gli parla gli si rivela come il Figlio di Dio, Gesù. Di contro a questo spettacolo sta il dispetto dei nemici di Cristo: Scribi, Farisei, dottori della legge, sacerdoti, relatori delle purissime tradizioni ebraiche e mosaiche: essi, impotenti a negare la grandiosità e — più ancora — la potente logica di vero che da quello scaturisce, s’indugiano coi genitori del cieco dapprima, poi con lui, poi minacciano — quando il poverino, credendo al loro zelo ed alla buona fede, li invita a seguire essi pure Cristo — una terribile... scomunica! In queste due situazioni l’evangelista ci presenta in un’aria di simpatia e piacere, la cara figura del cieco, e senza sforzo ci fa respingere la superbia ostinata, furiosa dei Farisei. Perchè?

  • * *

Evidentissima la risposta. Il cieco ragiona: innanzi al fatto, ai diritti della logica scopre il vero, il buono e docile lo segue, attrattovi dal naturale impulso verso il bene, ovunque si trovi. Diversamente nei Farisei, i quali correbbero anche... il bene, ma il bene, perchè ottenga i loro ossequi, deve assoggettarsi e venire a patto con loro, cioè coi loro interessi, colle loro mire umane, coi loro pregiudizi. Il bene sì, venga, ma deve essere fatto così come loro vogliono e possono... diversamente bene non è. Contro del vero, del bene mettono innanzi i loro pregiudizi, le loro umane prevenzioni. Ed è per questa forza, per queste ragioni che vediamo uomini di senno, d’ingegno, di una certa naturale virtù, degni di rispetto, resistere al vero religioso, alla dolcezza del dogma, impugnare la santità della morale cristiana. Non la conoscono; non si occuparono mai nè dell’una nè dell’altra, la coprirono se non di disprezzo, di compatimento perchè a loro — dalle purissime convinzioni e tradizioni umane — non poteva soddisfare e garbare quel vero, quel bene, che con tanta facilità è dato alle folle, alle plebi ignoranti. Essi — come gli antichi — in un pregiudizio terribile — gridano: «Siamo i discepoli di Mosè... Siamo i figli del nostro secolo, della scienza, del progresso, della libertà, non accorgendosi che non può aver l’azione loro la luce del cielo, non perchè manchi di forza, ma solo perchè non può arrivare a quegli occhi che le si chiudono contro, o sono già dal pregiudizio occupati. E’ un grido antico! — conta secoli e secoli di vita:’ — a questo solo domanda la fede: non venga condannata sconosciuta: osservate, studiate i criteri esterni, i criteri interni: osservate su di lei passare il sigillo della divinità nei miracoli... condannate allora, non prima. • •

Per arrivare a noi osserviamo se dei pregiudizi siamo liberi sempre, ovunque. Non abbiamo pregiudizi coritro... l’invadenza del [p. 69 modifica]la Chiesa nel campo della scienza, della politica, nell’azione sociale? Non abbiamo prevenzioni contro l’azione del Sacerdote a favore del povero,.dell’umile, del diseredato? Nella beneficenza non sospettiamo mai il secondo fine, di propaganda, di rèclame nel fratello, che degli altri s’occupa e s’interessa? Noi — oziosi — non sappiamo con facilità lanciare insinuazioni su chi corre, s’agita, si occupa, lavora? Non sappiamo — in nome di.... Mosè! --impedire un’azione buona solo perchè da noi non è approvata, sfugge al nostro monopolio di... bene? Non abbiamo prevenzioni — senza motivo, nè causa, sol perchè non ci è simpatico, solo perchè non soddisfa il nostro morboso sentimento — contro l’uno più che contro l’altro ministro di Dio? Non sono queste preferenze, non sono terribili pregiudizi, prevenzioni che Dio maledice, ed abborre.? Quanta cara la lezione del cieco! Innanzi a Gesù che l’ha guarito — non importa in qual modo -chiede dove sia il Messia, dideroso di seguirlo, essergli fedele fino alla morte. Gesù dice: Io sono che ti parlo! L’altro, pronto, e felice di gridargli ai piedi: Credo, o Signore! e di adorarlo. B. R. i.

MESSA D’ARGENTO DI

Don PIETRO STOPPANI

Domenica, all’Istituto dei Ciechi, si svolse una commovente cerimonia: si celebrava il venticinquesimo della messa del prof. don Pietro Stoppani, nel quale, come si leggeva in bella epigrafe, un riverente stuolo di discepoli, di amici e di ammiratori, Salutava il sacerdote e il cittadino eminente per al tezza di ingegno, per dignità di carattere, per feconda operosità nel bene. L’oratorio e il salone risuonavano di dolci melodie, mentre don Pietro Stoppani, all’altare, assistito dal venerando comm. abate Luigi Vitali, quale padrino spirituale, e dai padrini laici cav. uff. Enrico Bertarelli e dott. Stefano Dozzio, inaugurava la seconda metà della sua vita sacerdotale. La funzione religiosa fu completata dal proposto di’ S. Babila,’ don. Pellegrini, il quale impartì la benedizione. Il festeggiato pronunziò anche un elevato discorso, ispirato a nobilissimi sentimenti, esprimendo la più affetuosa riconoscenza per quanti direttamente od indirettamente avevano voluto intervenire alla simpatica cerimonia, che si chiuse con declamazioni, con un concerto, con la presentazione di un calice artistico e dí un album e infine con una felice improvvisazione del comm. abate Luigi Vitali. Gli intervenuti, congedandosi, dicevano: — Ed

ora prepariamoci a festeggiare la messa di diamante del venerando Rettore.

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Una solenne, commovente funzione è quella cne si è compiuta domenica, 23 corr., nell’Oratorio e nel Salone dell’Istituto dei Ciechi. Don ’Pietro Stoppani, da oltre quindici anni Direttore Spirituale nell’istituto stesso, celebrava la sua Messa d’Argento. La Chiesa e il Salone erano decorosamente parati. Un ampio cartello, drappeggiato, portava la seguente iscrizione: DON PIETRO STOPPANI CELEBRA IL XXV ANNIVERSARIO DELLA• SUA PRIMA MESSA CIRCONDATO DA RIVERENTE STUOLO DI DISCEPOLI, • AMICI, AMMIRATORI CHE IN LUI SALUTANO IL SACERDOTE, IL• CITTADINO EMINENTE PER ALTEZZA D’INGEGNO PER DIGNITÀ’ DI CARATTERE PER FECONDA OPEROSITÀ) NEL BENE.

Nell’atrio, sopra appositi fogli, venivano raccolte le firme degli intervenuti, da presentarsi in un Album di festeggiato. Tutti poi, sul palco, prima di entrare in salone, potevano ammirare un artistico calice d’argento, che l’artista Lomazzo aveva cesellato, ricopiando un disegno di Cellini. Padrino spirituale fu Monsignor Vitali, e padrini civili il sig. Bertarelli Enrico e dottor Stefano Dozzio. ’Assisteva pure, in cappa magna, il Prevosto di S. Babila, don Gaetano Pellegrini, e un numeroso stuolo di allieve del Collegio Reale delle Fanciulle, dove lo Stoppani è pure Direttore spirituale. Dopo il Vangelo della Messa letta, il funzionante rivolse all’affollato pubblico, un breve discorso, altissimo nei concetti, elegante nella forma, in cui esaltava l’opera del Sacerdote nel completare l’opera di Dio nella redenzione ed elevazione delle anime, opera divisa dal popolo cristiano. I Ciechi accompagnarono la funzione con scelta musica vocale e istrumentale, chiusa colla benedizione del SS. Sacramento. Raccoltisi poi tutti nel salone, i Ciechi eseguirono a quattro voci, il solenne coro: Più presso a te, mio Dio. Alcuni bambini ciechi, destando la commozione generale, recitarono un breve dialogo. Due allieve cieche lessero poi due poesie, composte dalla Maestra Motta e dall’ex-allieva Ambrosi. Il lavoro della Motta lo pubblichiamo più sotto. Il Rettore, presentando, insieme al calice, l’album colla firma degli offerenti per le onoranze, n cordò i meriti di Don Pietro Stoppani come Sacerdote dotto, educatore della gioventù, pubblicista multiforme e conferenziere, forza viva di bene nel paese, Don Pietro Stoppani ringraziò tutti, attribuendo non a sè, ma alla benevolenza altrui le onoranze tributategli: ringraziò Dio, lasciando ai Ciechi di espri [p. 70 modifica]mere a Lui il suo ringraziamento con un Alleluja, ripetuto in un Inno solenne a quattro voci, col quale si chiuse la solenne cerimonia.

PIÙ PRESSO A TE! Ne/ suo ritmo di pianto e di preghiera, che alla sacra esultanza di quest’ora dà un’armonia soavemente austera, il noto canto qui si leva ancora: canto di morituri, eroica voce che ci risponde trepida nel cot, con la virtù de l’abbracciata croce! a Più presso a Te,più presso a Te, Signor!» Per la vita che soffre, urge e s’afferma d’ombra e di luce in un perpetuo dramma, per questa vita, onde la poive inferma palpita, accesa da un eterea fiamma; mai dal labbro salì nota più degna, mai più sublimi anelito d’amor, nè di vittoria più sicura insegna: Più presso a Te, più presso a Te, Signor!» Che profondo squallor, se, ne la notte scesa per sempre su lo sguardo mio, se de’ miei giorni fra l’occulte lotte, non m’arridesse la tua luce, o Dio! Sia benedetta la fedel parola che di mia vita fin dai primi albori, quando, nel buio, già sgomenta e sola, la mia parte chiedea d’astri e di fiori, suonò sì buona all’animo smarrito, di mie speranze orientando il vol! a quel raggio di gloria e d’infinito, ch’è presso a Te, mio Dio, mio vero Sol! Da un pio labbro d’aspostolo mi viene questa che serbo nel pensiero anelo, brama d’arnor, di verità, di bene! da uno spirto, cui il senso è tenue velo, poi che dal verbo tuo divino attratto, entro un fulgor di non mutabil fede, avvinto il cuor da un generoso patto, pronto, ai fratelli e al nome tuo si diede. Signor, come nell’ora inobliata che, fra mille armonie di paradiso, Ei la prima Ti offerse Ostia adorata, trasfigurato da un superno riso; come in quell’ora mistica, o Signore, fa che il tuo regno in Lui, per Lui discenda; e in un consenso di volente ardore, a Te più sempre, a Te più presso ascenda! MARIA MOTTA. Maestra cieca

Il Municipio di Milano ha ordinato 200 abbonamenti per distribuire in tutte le scuole i fascicoli dell’ENCICLOPEDIA DEI RAGAZZI.

Una conferenza tenuta dal Prof. GIOVANNI RONZONI Giovedì, 27, nella sede del Circolo Filologico femminile, in Corso Porta Romana, il Prof. Gaetano Ronzoni, tenne una conferenza dal titolo: a Per combattere un flagello sociale: la Tubercolosi. a L’oratore esordi ringraziando la Presidenza del Circolo Filologico per l’ospitalità concessa, poi entrò subito in materia. La tubercolosi — l’orrenda micidiale malattia che tanta strage compie ovunque, diffondendo lacrime e dolori dove la vita dovrebbe pulsare feconda di forze e di sorrisi, è in progresso continuo in Italia, in cui s’annoverano annualmente 6o mila morti per tubercolosi, e solo nella nostra Milano, più di 130o. — Indagare le cause del male è compito del medico, ed è anche uno studio complesso che tocca la questione sociale. L’esaurimento di razza, la povertà, il mal costume sono tutti contributi, sono tanti cooperatori alla diffusione di questo flagello, che soffoca nelle famiglie ogni sorgiva di vita fisica, e morale. Dalla constatazione dei fatti, l’oratore, con parola convinta e convincente, passa a considerare il problema sotto un altro punto di vista: dal lato di difesa individuale e sociale. In questo campo ognuno di noi può avere una parte attiva, può porgere il proprio contributo d’azione e raccogliere una messe larga di bene. Il compito è arduo, ma la meta da cui irradia una possente luce incoraggiante, ci invita al lavoro. Le iniziative private sono buone; certa però che la coordinazione delle energie è maggiormente efficace. L’Italia, e la nostra Milano, in cui ogni iniziativa bella trova una larga eco d’adesione, già da tre anni spiegò la bandiera a prò di questa santa crociata. Lo scetticismo, che accoglie quasi sempre il sorgere di ogni opera nuova, circondò col suo gelido soffio anche i primordi della lotta antitubercolare, ma non ne paralizzò le energie. Ed ora, dopo anni di tentativi e di sacrifici, l’efficacia dell’opera è saldamente confermata. Col concorso di voi tutti, signori e signore, — continua il conferenziere — la nostra causa proseguirà vittoriosa e benefica. Interessanti proiezioni illustrarono tratto, tratto la conferenza e alcune di esse fecero conoscere all’uditorio il a Dispensario antitubercolare di Via Bergamini a il primo sorto in Milano, a scopo eminentemente profilattico, a cui però sono annessi i riparti curativi. Accennando appena al servizio di questi ultimi, il Professore si diffonde sullo scopo della sezione profilattica, e ne descrive lo svolgimento del lavoro. Ad essa accorrono, ogni giorno di visita, più di trenta ammalati, i quali, consci ormai dell’importanza della cosa — una coscienza popolare si forma e si impernia intorno alla lotta — domandano consigli ed aiuti. — Vengono visitati, soccorsi, sono diffuse fra loro quelle nozioni semplici che, col rendere coscienti della gravità del contagio, suscitano il desiderio di evitarlo; si tenta provvedere all’ospedalizzazione dei malati più gravi, all’invio al sanatorio dei meno colpiti; si pensa alle cure marine e climatiche (per quanto lo permettano i mezzi ancora esigui dell’istituzione). Le signore Patronesse provvedono indumenti pei più bisognosi e sofferenti che esse ed i medici visitano in casa, diventando le amiche e le protettrici. Signore e Signori, conclude l’oratore, molto si è fatto in questa via di redenzione — lavoro di pochi, fidenti e concordi — ma molto ancora ci resta da compiere per raggiungere i nostri ideali. — All’animo gentile e buono delle signore, faccio uno speciale e caldo appello; il continuo progresso sociale, affermando le nostre forze, ci mostra nuovi doveri da compiere; le energie siano pari al bisogno. Il Sanatorio di Ornago, che, sotto la direzione del D.r Banfi, s’erge nella verde [p. 71 modifica]pineta presso Vimercate, è ricco di soccorso ai nostri assistiti. Ma io esprimo il vivo desiderio di veder presto sorgere — come aiuto al dispensario, fra altre istituzioni, nell’aria salubre della campagna anche un asilo permanente pei bambini predisposti alla tubercolosi, appartenenti a famiglie soccorse da noi. La scuola all’aperto, che fra le carezze dei raggi primaverili, nell’artistica Bicocca, s’aprirà in via di saggio, per accogliervi i bambini gracili delle nostre scuole, è una lieta promessa di migliore avvenire. n Il conferenziere, la cui fervida ed illuminata parola avrà certo trovato un largo consenso di adesione, ringraziò il numeroso uditorio, e quanti lavorano per la causa da lui tanto efficacemente difesa, onde combat tere un flagello sociale, e risanare una fra le più dolorose piaghe dell’epoca nostra. NIRINA FALCHI.

Monsignor GIAMBATTISTA ROTA A 79 anni, dopo breve malattia, santamente moriva Mons. Giambattista Rota, Vescovo di Lodi da cinque lustri. Mente eletta, cuore nobile, di spiccata cultura e di larghe idee, Mons. Rota era da tutti stimato ed amato.